Una lista di picchiaduro sconosciuti di cui forse non ricordavate l’esistenza
Il panorama dei picchiaduro è sempre stato florido sin dalla sua nascita, da quelli a scorrimento in due dimensioni, come il mai dimenticato cabinato di Kung Fu Master, fino ad arrivare ai fighting game ultratecnici come Virtua Fighter. Nel corso degli anni sono svariate le serie che si sono imposte come vero e proprio punto di riferimento del genere, arrivando a volte anche oltre il decimo capitolo. Ma così come esistono titoli elevati a divinità del videogame, ne esistono altrettanti che, poverini, vuoi per problemi tecnici, vuoi per semplice sfortuna, sono stati bellamente ignorati e/o dimenticati dai più. Molto spesso giustamente, aggiungerei.
Scopriamo le perle nascoste del genere di cui molto probabilmente, non avete mai sentito parlare.
Tao Feng: Fist of the Lotus
Ricordo ancora la curiosità nell’ormai lontano 2003, quando fece capolino questo picchiaduro per la primissima Xbox; titolo che presentava un curriculum di tutto rispetto. Un’esclusiva per la console di casa Microsoft, sviluppata da John Tobias, co-autore in casa Midway di quel certo pilastro del genere chiamato Mortal Kombat. Tobias fece i bagagli e decise di lavorare in proprio, dando alla luce Tao Feng. Un picchiaduro fortemente grezzo nelle meccaniche, con qualche problema nel bilanciamento e nel ritmo di gioco (era fortemente basato sul countering). A parte questo, il titolo presentava una grafica di tutto rispetto per l’epoca, con texture e modelli dei personaggi soggetti a ferimento durante il combattimento.
Era possibile infatti notare, dopo mosse particolarmente violente, i personaggi sanguinare e ricoprirsi di tagli ed abrasioni, un qualcosa di decisamente moderno per l’epoca. Per non parlare dell’utilizzo delle arene di gioco come arma ulteriore atta ad offendere l’avversario. Tutte cose peraltro, che ricordano un pochino le meccaniche dei Mortal Kombat in tre dimensioni più recenti. Per non parlare di alcuni personaggi del gioco, praticamente presi di peso dalla serie di MK, su tutti un clone di Kano, senza il viso metallico. Della serie “va bene tutto, ma la denuncia non la vogliamo”. Gioco finito nel dimenticatoio quasi immediatamente dopo l’uscita, nonostante fosse un’esclusiva abbastanza peculiare e avesse addirittura la colonna sonora personalizzabile.
Red Earth
Conosciuto in giappone come War-Zard, si tratta dell’unico gioco uscito su piattaforma Arcade Capcom CPS-III a non aver ottenuto nessun porting su console casalinghe. Il gameplay è particolare, diviso in due modalità distinte. La Quest mode è un combattimento tra il giocatore, che è libero di scegliere tra i quattro personaggi disponibili, e una creatura. In sostanza si tratta proprio di un uno contro uno tra il giocatore e una serie di quelli che sono a tutti gli effetti dei boss di fine livello controllati dalla CPU.
Sconfitto uno di questi si passa al prossimo, ottenendo però esperienza che farà salire di livello il nostro personaggio, sbloccando nuovi attacchi. Il Versus mode invece è un combattimento tra due giocatori, utilizzando due dei quattro personaggi disponibili.
Un picchiaduro basato esclusivamente sulle boss battle, con uno spruzzo di gioco di ruolo, che presenta una grafica e delle animazioni allo stato dell’arte. Penalizzato purtroppo dall’inspiegabile mancanza di porting.
Rabbit
Tra i picchiaduro sconosciuti non possiamo fare a meno di inserire questo titolo. Sviluppato in esclusiva per Sega Saturn ed il circuito Arcade giapponese nientepopodimeno che da EA nel 1997, Rabbit è un picchiaduro in due dimensioni incredibilmente cartoonesco nel design, con personaggi coloratissimi e totalmente fuori di testa. Oltre ai soliti recovery e dash, il gioco ruota soprattutto sulla meccanica degli “animal spirit”, particolari spiriti di animali che possono essere evocati alle spalle del personaggio come se fossero degli Stand ne “Le Bizzarre Avventure di JoJo”, e che permettono colpi speciali o super combo, a patto di aver riempito la solita barra dell’energia.
Si va dal coniglio del titolo a lupi, cinghiali e tori. Particolarità della versione Arcade, quando si sconfigge un avversario, si assorbe anche il suo animal spirit, permettendo quindi di accumularne diversi e decidere quale usare contro il prossimo nemico, incoraggiandone la sperimentazione. Nel Versus invece entrambi i giocatori dispongono di tutti gli animal spirit fin dall’inizio.
Kaiser Knuckle
Cercando di seguire la scia del successo che Street Fighter II aveva creato negli anni ’90, la Taito decide di sviluppare un titolo che sembra esserne un clone a tutti gli effetti. Conosciuto fuori dal giappone come Global Champion, si tratta di un fighting game da sala giochi in due dimensioni, con il classico uno contro uno ad incontri e personaggi provenienti da varie parti del globo. Ricorda qualcosa? Perfino il mappamondo prima degli incontri e i segmenti di dialogo dopo di essi sono stati praticamente ricopiati dalla leggendaria serie Capcom.
Nonostante ciò il titolo presenta piccole novità, come la possibilità di distruggere gli oggetti sui fondali di gioco, la pavimentazione e le pareti quando si colpisce l’avversario con una mossa speciale caricata in una determinata zona dell’arena di combattimento, mosse denominate “desperation moves” e perfino la possibilità di modificare gli input di gioco passando dai classici sei pulsanti (tre per i pugni, tre per i calci, ognuno differente per potenza e velocità) a cinque, trasformando l’attacco debole in parata. I personaggi giocabili sono in tutto 9, più tre boss non utilizzabili.
Tra loro spiccano il clone senza troppe pretese di Bison, qui chiamato laconicamente General; una specie di mostro di Frankenstein ricoperto di bende di nome Marco; e Gonzales, un possente lottatore russo vestito da judoka che indossa un cappello di procione, come quello delle Giovani Marmotte. Non lo so, non fate domande. Di certo un gioco che non mancava di cura nei dettagli, forse la troppo palese ispirazione a Street Fighter lo ha portato inevitabilmente verso l’oblio. Certamente indimenticabile però è la difficoltà del boss finale.
Rakuga Kids
Picchiaduro per Nintendo 64, ad opera di Konami. Nonostante il gameplay sia dei più classici, con i soliti 6 tasti più uno per le magie, la grafica di gioco è tra le più peculiari del genere picchiaduro. Un mix tra 2D e 3D che si avvicina allo stile di Parappa The Rapper, i personaggi sono fortemente stilizzati e sembrano disegnati con dei pastelli da un bambino. Un gioco tanto dolce quanto semplice nel gameplay, che può ricordare un po’ Smash Bros, come meccaniche. Sicuramente uno dei titoli più interessanti per la console Nintendo, oltre che uno dei più sottovalutati.
Breakers
Uscito inizialmente su Neo Geo, ed in seguito in una versione riveduta e corretta denominata Breakers Revenge, che presentava un ribilanciamento del gameplay, un nuovo personaggio e la possibilità di utilizzare il boss finale come giocabile. Il gioco riprendeva fortemente le meccaniche dei picchiaduro made in SNK dell’epoca con cancel, dashing che variavano a seconda del personaggio e mosse speciali da attivare caricando la solita barra d’energia. Nonostante fosse praticamente sconosciuto, nell’ultimo periodo, soprattutto in Giappone, è possibile imbattersi in veri e propri tornei su questa piccola perla dimenticata.
Si tratta infatti di un gioco che presenta un bilanciamento tra i personaggi tra i più curati dell’epoca, rendendolo per l’appunto terreno fertile per il competitivo. Tra i personaggi spiccano sicuramente Pielle Montario, un italiano mascherato che combatte con lo stocco, che ricorda vagamente Zorro e ha un doppiaggio così atroce da essere inquietante e Alsion III, un antico faraone non-morto in grado di allungare gli arti per combattere come se fossero di gomma, tecnica che ricorda Dhalsim di Street Fighter.
Una particolarità del gioco è che, quando nella modalità in singolo ci si imbatte in match a specchio nel quale sia il giocatore che la CPU utilizzano lo stesso personaggio, invece di cambiare semplicemente il colore del costume, come è consuetudine per i picchiaduro, il giocatore si troverà ad affrontare un personaggio chiamato in modo differente e addirittura con un diverso background, pur essendo di fatto una semplice modifica nella palette di colore.
Dragoon Might
Dragon Might è il tentativo da parte di Konami di prendere i tre migliori picchiaduro in 2D in circolazione all’epoca e mixarli in un unico titolo. Abbiamo i controlli a 6 tasti resi famosi da Street Fighter, la struttura di combattimento tra team di 3 personaggi tipica di King of Fighters e l’utilizzo dell’arma bianca e lo stile di combattimento preso da Samurai Showdown. Il gioco aggiunge qualche particolarità, come la possibilità di aggrapparsi a determinate zone degli scenari per evitare gli attacchi nemici ed avere una maggiore mobilità; determinate mosse in grado di disarmare l’opponente, diminuendone quindi la capacità offensiva e le cosiddette “Bomber Moves”, vere e proprie manovre suicide che infliggono consistenti danni all’avversario ma anche all’utilizzatore delle stesse.
Suicide soprattutto perché queste particolari mosse sono disponibili quando la barra della vita è prossima all’esaurirsi, rendendole assai pericolose per entrambi i personaggi. Utilizzarle al momento sbagliato equivale ad un ben poco onorevole harakiri. Nonostante queste piccole novità al gameplay, la sensazione è quella di trovarsi davanti ad un qualcosa di già visto. Forse è proprio questa mancanza di personalità ed originalità nelle scelte a non aver permesso ad un titolo che, badate, è assolutamente godibile, di spiccare dalla massa.
Kensei: Sacred Fist
Konami colpisce ancora. Cosa accadrebbe se Tekken e Virtua Fighter avessero un figlio? Kensei: Sacred Fist è un po’ la risposta, se i videogiochi potessero procreare ovviamente. Un picchiaduro 3D per la prima mitica Playstation, dalla grafica onesta per l’epoca, con alcuni personaggi carismatici e ben variegati negli stili e un di gameplay fortemente basato sul tempismo e la tecnica, piuttosto che sulla pressione selvaggia dei pulsanti. La velocità di gioco è molto più lenta, lasciando spazio a grosse aperture nelle difese nel caso di una mancata combo; il salto inoltre è disponibile solo per alcuni personaggi.
Scelte che rendono i combattimenti molto più piantati a terra, più ragionati e meno impulsivi, rischiando però di infastidire il giocatore abituato a duelli più forsennati. La struttura dei controlli è semplice quanto efficace: un pulsante per i pugni, uno per i calci, uno per la parata/schivata ed infine uno per i counter, che in Kensei sono vere e proprie prese sull’avversario, piuttosto che semplici reversal. Il gioco offre solo nove personaggi iniziali, ma completando i 10 stage sarà possibile affrontare un sotto-boss differente per ognuno di essi e sbloccarlo, portando il totale dei personaggi giocabili a ben ventidue, aumentando la rigiocabilità del titolo.
Il particolare gameplay di Kensei: Sacred Fist non gli ha permesso di approdare sul mercato dell’arcade, circoscrivendolo a quello super saturo di picchiaduro della Playstation e forse condannandolo all’oblio. Brutta fine per un prodotto che all’epoca era considerato come il vero rivale di Tekken 3.
WeaponLord
Senza tanti giri di parole: WeaponLord non fa parte solo dei picchiaduro sconosciuti ma è anche il più complesso picchiaduro in 2D mai creato. Nato dalle menti di James Goddard, uno degli autori della Champion Edition di Street Fighter II, nonché designer del personaggio di Dee Jay in Super Street Fighter II, e di Dave Winstead, al lavoro su Super Street Fighter II Turbo. Due veterani del genere, che decisero di abbandonare l’ala protettrice di Capcom per poter lavorare alla loro visione di gameplay, iniziando quindi a sviluppare il gioco per conto della Namco.
A causa di problemi di spazio dovuto ai supporti fisici del Mega Drive e dello SNES, il gioco prevede soltanto sei personaggi giocabili, di un’ispirazione che attinge a piene mani dalle storie di “Conan il Barbaro”. Proprio a causa di questo, gli sviluppatori hanno deciso di concentrare in questi pochi personaggi una quantità incredibile di mosse e feature. Più di 10 mosse speciali per personaggio; un sistema di danneggiamento delle armi e del vestiario, e di fatality che ricordano quelle di Mortal Kombat per crudezza e violenza; i counter, mosse per disarmare l’avversario; knockdown che permettono colpi particolari al nemico a terra e perfino un sistema di parry simile a quello ripreso anni più avanti da Street Fighter III.
Da non dimenticare poi i finali multipli per ogni personaggio. Anche qui purtroppo, le recensioni dell’epoca che criticavano aspramente la grafica e le animazioni un po’ troppo legnose e la mancata uscita del titolo nel mercato Arcade, non hanno permesso al gioco di brillare come avrebbe potuto, cancellandone i progetti per un seguito. Non è difficile pensare però che le meccaniche, così complesse e sfaccettate, siano poi state utilizzate da Namco come ispirazione per la creazione di una delle serie più conosciute del genere: la serie di Soul Blade, poi divenuta SoulCalibur.
Cardinal Syn
E proprio parlando di Soul Blade e SoulCalibur, Cardinal Syn ha molto in comunque con essi. Il gioco è sostanzialmente un Soul Blade che incontra lo stile esplicito di un Mortal Kombat, ma c’è molto di più. Tenendo premuto un pulsante, ad esempio è possibile correre liberamente per le arene di gioco. Non si tratta di una feature buttata lì a caso, ma di un vero e proprio fulcro di gameplay: infatti per tali arene sono disseminati particolari scrigni che, una volta aperti, donano diversi power-up che vanno dall’aumento di danni a pozioni di salute, passando per bombe trappola e pozioni del mana che permettono un attacco speciale.
Non mancano poi interazioni con l’ambiente, come il ring out o la possibilità di gettare l’avversario su spuntoni e trappole varie, oltre ad elementi dello scenario che applicano status dannosi, tipo una pozza di veleno che avvelena e prosciuga inesorabilmente la vita del personaggio, salvo trovare un bonus salute negli scrigni, unico modo per curare l’avvelenamento. Immancabili poi le fatality, o qualcosa di simile. Esistono infatti determinate catene di combo che se utilizzate per dare il colpo di grazia all’avversario terminano con una mossa speciale in grado di amputarlo in un bagno di sangue. Non esiste un sistema di proiezioni e prese, e per compensare a questo la difesa è molto tecnica e diametralmente opposta all’offesa.
Ad ogni attacco corrisponde un determinato tipo di parata, portando la profondità negli scontri a livelli soddisfacenti. Gli attacchi sono tre: alto, medio e basso (più il pulsante di parata). La difesa invece è divisa in blocco semplice, che è regolato da una barra sullo schermo, parry alto e basso e insta-counter. Insomma, un picchiaduro per Playstation profondo e tecnico quanto basta, ma inspiegabilmente dimenticato.