“Adoro l’idea di disegnare i miei fumetti da segaiolo su un’agenda…”
“Michele chi? Rech? Come il tasto della registrazione? Cosa dici? Zerocalcare? E chi sarebbe?” Probabilmente gli amici transalpini avrebbe detto questo prima dello sbarco francese della Profezia dell’armadillo. Ora, invece, a due anni dall’arrivo in Francia dell’autore romano (i cui titoli, ultimo dei quali Kobane Calling, continuano a essere tradotti in francese), dall’altra parte delle montagne non solo lo hanno apprezzato, ma hanno perfino individuato uno dei suoi maggiori riferimenti che, per forza di cose, è sfuggito alla stragrande maggioranza dei lettori italiani. Stiamo parlando di Gilles Roussel, meglio noto col nome d’arte di Boulet, fumettista che da almeno un decennio spopola nella patria di Giovanna D’Arco con il suo blog, dove pubblica una sorta di diario a fumetti delle sue quotidiane dis-avventure pregne di autoironia, spesso sfociando, nel rapporto con gli altri e le nuove realtà moderne, nel manifesto della sua generazione.
Tutto questo, con uno stile particolare, con continui riferimenti alla cultura pop, protagonisti ritratti come personaggi delle Serie TV e dei cartoni animati per “tutelarne la privacy” e un sorprendente umorismo che va dalla vita di ogni giorno alle fantasie più assurde. Vi ricorda qualcosa? Assomiglia un po’ allo stile iniziale del nostro fumettista di Rebbibia? Esattamente: lo stesso Zero ha raccontato in diverse occasioni (anche nelle tavole introduttive al primo volume di Appunti di vita: Born to be a larva, pubblicato sempre da BAO nel 2015, e quelle di questo secondo volume) di essere stato artisticamente ispirato dal lavoro dell’autore francese.
La vita scorre tranquilla come sempre per Boulet, tra scadenze, lotte con il computer e il tremebondo regno dell’Internet, libri da pubblicare, rapporti con i conquilini, a metà tra l’esaurimento nervoso e il manicomio. Un giorno qualunque, accetta per sbaglio l’invito ad una festival di fumetti chiamato “Creuse ta Bulle” nella ridente (?) cittadina di Aubusson e, sei mesi dopo, riceve una telefonata che lo avverte dell’imminente evento e dei biglietti, l’albergo e gli incontri già prenotati a suo nome. Una volta sfogata la rabbia e la frustrazione, l’autore-personaggio si trova costretto a partecipare per non tradire le aspettative e fare una discreta figuraccia. Il viaggio si rivelerà molto più ostico del previsto, naturalmente, e sarà l’occasione per rievocarne altri, tra i più disparati, intrapresi nel corso della carriera.
L’onorevole e mitologico titolo di “Boulet” significa nella lingua madre, udite udite, “polpetta“. Significato che pare piuttosto azzeccato per descrivere la raccolta, che unisce diverse storie apparse sul blog unite da un racconto cornice, in questo casoo la trama della fittizia fiera Creuse ta Bulle, inventata dall’autore (e che gli abitanti di Aubusson hanno davvero organizzato dopo l’uscita del libro). Questa trama, questa “catena narrativa“, diventa poi il pretesto per raccontare altro, per rivivere tavole già pubblicate e narrare altre esperienze simili collezionate in giro per il mondo, dal Camerun al Canada. Struttura che in Italia è diventata famosa proprio grazie al nostro Zerocalcare, con il quale si possono facilmente individuare i punti di contatto, e che si dimostra efficace in qualunque situazione, se dosata correttamente. Infatti, quello della raccolta di storie tratte dal blog è un genere che sta recentemente ottenendo molto successo, per diversi motivi. Permette di editare autonomamente dei singoli racconti, attraverso i portali web, combinarli tutti insieme nei volumi da libreria e farli leggere a chi, magari, non frequenta i fumetti sul web ma è un assiduo lettore del medium nella sua forma cartacea.
Qualcuno magari storcerà il naso di fronte a questo metodo, ma bisogna dire che gli autori, di fumetti e non, lo fanno da sempre, seppure in forme diverse. Ad esempio: le novelle pubblicate sui giornali e i romanzi a puntate, poi riuniti in volume, strumento che permettevano a tanti scrittori perennemente in bolletta (per citarne due, Charles Dickens e il nostro conterraneo Giovanni Verga) di usare più di una volta i propri lavori, per avere visibilità e un ritorno economico. Spesso, pensate un po’, questi libri venivano completati con del materiale inedito realizzato ad hoc. Anche questo vi suona familiare? Ebbene, oggi è cambiato il supporto, dalla carta stampata alla rete, ma questa tipologia di pubblicazione è rimasta in gran parte la stessa.
A differenza del suo collega italiano, comunque, Boulet ha uno stile molto diverso e attinge ad un repertorio vastissimo, sia dal punto di vista artistico che grafico, passando dal bianco e nero al colore, dalle vignette smarginate alla gabbia libera, e riproduce animali antropomorfi e zombie con la medesima disinvoltura, risultando comunque molto fedele quando imita tratti più americani o orientaleggianti. Rispetto a Zerocalcare, tende di più capace a variare registro, senza per questo rinunciare ad un segno personale. Anche le situazioni che raffigura sono tra loro molto differenti e partono da riferimenti ampi, tra momenti intimi di puro cazzeggio tutt’altro che creativo, esperienze, piccole difficoltà di tutti i giorni, pensieri, idee, perle umoristiche, ricordi…
Tutto imbottito di una sana e straordinaria autoironia, una genuina capacità di prendersi in giro. È un raccontare molto più intimo di quello che potrebbe sembrare e trasforma il fumetto in un modo per parlare di se stessi e analizzarsi, una terapia con disegni e parole che consente di esorcizzare alcuni aspetti del proprio carattere, delle proprie sfighe giornaliere, delle nevrosi e di riderci su. E in tutto questo trova anche lo spazio per alcune riflessioni sulla condizione di fumettista, sul suo lavoro, su ciò che ne consegue e sulle sue aspirazioni che da piccolo lo hanno portato ad intraprendere quella strada. Insomma, una vera e propria raccolta di “appunti di vita“.