La genesi e l’estasi del paleopunk
Difficile dimenticare l’annuncio di Horizon: Zero Dawn. Difficile per due motivi. Da un lato la meraviglia dell’annuncio in sé, tanto per la bellezza del trailer che lo presentò al pubblico, tanto per la fame che quest’ultimo aveva (ed ha) di novità. Non è un mistero che la nuova ed attuale generazione console sia partita con il freno a mano tirato, riservando pochi e rarefatti momenti di estasi, misti a remastered e rimpastamenti vari. Horizon si è presentato sulla scena come una novità, una nuova IP particolarmente ispirata tirata fuori – e qui sta l’altro motivo – da un team che non sembrava per nulla avvezzo all’esplorazione aperta in terza persona. Perché, ricordiamolo, Horizon è il primo open world di Guerrilla Games, la casa che ha passato la sua intera vita a raccontare di fucili ed Hellgast con il suo Killzone, e rigorosamente con la visuale e la filosofia di un FPS. Un team che sceglie una strada nuova, passando nello stupore generale, gli ultimi cinque anni a lavorare su Horizon e sulla sua protagonista Aloy. Cinque anni, ma qual è il risultato?
Il risultato è immenso, anzi pensando alle macchine presenti nel gioco diremmo “titanico”. Un mondo open world vastissimo e ricco di contraddizioni, in cui ci si possono passare ore ed ore solo a scorgere il paesaggio e la cui trama principale, diciamolo subito, può tenervi incollati allo schermo per una trentina buona di ore, senza troppo tediarvi ed anzi invogliandovi di volta in volta a marciare verso una nuova, lontanissima meta. Questa è la premessa eccellente di Horizon, ed il volerne confermare il fascino e l’eleganza ci ha portati a questa recensione. Tardiva rispetto alle innumerevoli che sono uscite nei giorni scorsi, ma con un motivo. Abbiamo allora deciso di pubblicare dopo gli altri, a patto di avere chiaro ogni aspetto del gioco, fregandocene dell’embargo imposto alla stampa, consci che il gioco sarebbe stato immenso e che avrebbe richiesto ben più di un paio di giorni per essere giocato a fondo. Ne è venuto fuori un gioco enorme, ricco di sfaccettature bellissime, ma anche di difetti grossolani, il cui sunto è in queste parole e, come sempre, nel nostro verdetto di fine articolo.
https://www.youtube.com/watch?v=RRQDqurZJNk
“Paleopunk”
Ambientato in un imprecisato futuro, Horizon mette il giocatore su due piani di racconto diversi, concentrati tutti all’interno delle esperienze della sua protagonista: Aloy. La ragazza è una Nora, un membro di una tribù matriarcale le cui regole sono imposte direttamente dalla dea, La Madre, che protegge la tribù dalle impurità dell’esterno e la pone in uno stato di costante rispetto verso la natura tutta, macchine comprese. I Nora, tuttavia, hanno una legge tribale molto dura, che divide sostanzialmente in due distinte classi i suoi abitanti, gli audaci e i reietti, coloro i quali hanno violatola legge tribale e che per questo vivono in una condizione di isolamento (talvolta erratico) nell’oblio del silenzio. Non si parla con un reietto, non si aiuta un reietto, e soprattutto non lo si accoglie nel villaggio. Partorita da madre ignota (e dunque impura), Aloy nasce reietta, e ad un reietto viene affidata per la sua crescita, Rost, un uomo duro ma gentile, capace di insegnarle il rispetto per la natura e le basi del combattimento e della caccia. Il primo piano narrativo ci parla dunque di Aloy, e della ricerca del suo posto nel mondo, costantemente cacciata dagli altri e nell’oblio di un silenzio imposto, che mal si scontra con la sua naturale curiosità e con la sua volontà di partecipare alla vita del villaggio. Questo è il cardine del suo addestramento, della sua decisione di viaggiare alla ricerca di sua madre, nodo di congiunzione perfetto con l’altro piano narrativo, quello relativo al passato ed al futuro del pianeta, diviso dalla guerra con macchine sempre più violente e dalla guerra tra le tribù. Cosa ha fatto capitolare l’umanità? Da dove vengono le macchine? Perché tentano di distruggere gli uomini?
Ma soprattutto qual è il cataclisma che ha ucciso gran parte dell’umanità? Horizon: Zero Dawn risponderà a questa ed a ogni altra domanda relativa ai misteri aperti dalla trama del gioco, la qual cosa ci era stata anticipata dal suo producer, Patrick Munnik, e questo non può che renderci felici. Le premesse, come l’ecosistema, sono interessanti e spingeranno la vostra curiosità da un confine all’altro del vastissimo e lussureggiante mondo di gioco, caratterizzato da una natura che nel corso degli anni del crepuscolo umano ha saputo riappropriarsi di città e rovine. A guardia dell’ecosistema ci sono poi le “Macchine”, robot dall’aspetto zoomorfo, che pascolano, combattono e pasciono su tutto il pianeta. Talune non più grandi di una mucca, altre immense, imponenti, semplicemente letali.
In questo mosaico di metallo e pietra, i pochi uomini rimasti si sono ricongiunti alla natura, dividendosi in tribù storicamente in contrasto, ma tutti più o meno accomunati da un comune rispetto, misto a timore, per le creature di metallo. Tra chi le ritiene guardiane della natura in virtù degli antenati che furono (laidi peccatori e corruttori del mondo) e chi le vede come una fonte da cacciare e sfruttare per la loro componentistica all’avanguardia. Immaginate dunque, se vi è possibile, un mondo che viaggia tra il primitivo e il medievale, con contaminazioni di culture rupestri e vichinghe, e sorretto da una tecnologia avanzatissima e gravida, che dispensa agli abitanti misteri e strumenti non sempre comprensibili. Archi, frecce, ma anche mitragliatrici e laser. Trappole primitive e strumenti da hackerare. Il mondo di Horizon vive questa lunga e complessa contraddizione, per certi versi inedita e innovativa, tale da trovare i suoi più sensati riferimenti nella cultura fantascientifica dello steampunk e del dieselpunk, ma con accezioni inedite e diverse. La chiamerei “paleopunk” per il suo modo di coniugare la sensazione di un futuro arretratissimo, a quelle di un passato avanzatissimo. Il che, se ci pensate, è un contrasto, ma di fatto è così ed è forse tra le più belle conquiste di Guerrilla. E sarebbe di per sé perfetto così se proprio nella trama e nei dialoghi in generale, non riscontrassimo i primi tentennamenti dell’esperienza di gioco. Sarà per inesperienza o chissà per cosa, ma chi conosce Guerrilla sa che il team è sempre stato poco avvezzo alla narrazione, anche quando ha provato a puntare l’attenzione su quest’ultima in certi specifici episodi del suo Killzone. Lo stile di Guerrilla è asciutto, lineare (come si confà a un FPS del resto) e spesso sbrigativo, la qual cosa si evidenzia in modo netto nei dialoghi di questo Horizon, il più delle volte stereotipati e scialbi e spesso anche mal recitati tanto dai modelli quanto dalla loro recitazione.
Per alcuni, forse i più strafottenti, sarà qualcosa di poco conto. In fin dei conti la storia e l’immedesimazione con il mondo di Horizon fanno il loro lavoro egregiamente, ma vi assicuriamo che alla lunga si percepisce questa crasi che si crea tra il teatro più bello del mondo e gli attori amatoriali che cercano di animarlo. Non un limite del doppiaggio s’intende, ma del lavoro di sceneggiatura e soprattutto di scrittura, tali da non poterlo anche solo lontanamente equiparare a quello che è il caposaldo del genere, The Witcher 3. Horizon non manca di carisma, ma manca dello stile, della bontà della scrittura, ed anche di “storie”, nella misura in cui le sue quest secondarie diverranno un vero e proprio tedio da ascoltare e leggere. Le svolgerete, sì, ma lontani da ogni interesse o ragione morale. Insomma odierete i dialoghi di Horizon, nella loro banalità, il che, considerando tutto il resto, tra mondo, tradizioni, e soprattutto veste grafica, vi farà vivere l’esperienza come quello che è: la prima prova di un team che, di per sé poco abile a raccontare, si è imbattuto in una prova molto ardua con tutti i difetti dati dall’inesperienza.
Oltre i confini dell’orizzonte
Poi le parole finiscono, e ricevete un incarico. Il giorno si avvia al suo crepuscolo e arriva la notte. Il cielo è illuminato tenuemente dalla luna, mentre viaggiate sul terreno di una boscaglia fitta e oscura. La luce blu degli occhi delle macchine vi circonda, e quando queste si allertano, il giallo si sostituisce al blu dando al buio un aspetto spettrale. Superate agevolmente, e in silenzio, la bestia meccanica dall’imponente aspetto felino. Troppo grande, troppo forte, e voi malamente equipaggiati. Da qualche parte si sentono rumori lontani di creature che combattono, o forse è lo stridio metallico dei piccoli e agili “spazzini” che scavano tra le carcasse. Ignorandoli raggiungete un dirupo. L’altura da cui vi trovate vi mostra l’orizzonte lontano. Una bestia altissima dalla testa a forma di disco cammina lentamente. Potrà essere ad almeno un migliaio di metri da voi. Da qui sembra minuscola. Più in basso vedete dei cacciatori erranti combattere con macchine a guardia di una mandria. Un rumore i muove dietro di voi. Uno scatto, una capriola, vi girate tendendo l’arco…
Si potrebbero scrivere innumerevoli storie sulle esperienze passate in Horizon, e quella che vi ho descritto non è altro che una delle innumerevoli sessioni di gioco che hanno portato alla recensione. Non ero alla ricerca di nulla, ero arrivato lì spinto solo dalla curiosità dettata dai miei occhi.
E qui veniamo ad un pregio: Horizon è forse il gioco tecnicamente più bello che abbia mai visto. Si fa presto a prendere come pietra di paragone titoli recenti dall’incredibile ricchezza visiva, ma vi assicuro che il paragone è impietoso. Giochiamo in casa, prendiamo Uncharted 4. Si tratta forse di uno dei titoli tecnologicamente più avanzati dell’era PS4. Di norma si ritiene che un titolo come Uncharted abbia dalla sua il suo mondo di gioco “chiuso” che dunque delimitato da paletti virtuali permette al team di sviluppo di spremere ogni bit del motore di gioco, regalando un’esperienza visivamente impressionante. Lo si pensa, ed è così e ad oggi non credevo che un sistema aperto, un mondo cioè molto più grande, potesse competere in termini poligonali con quello offerto dal capolavoro Naughty Dog. Guerrilla Games ci ha invece stupito. Horizon non è solo imponente e lussureggiante, ma è pura estasi in termini di estetica e di bellezza in generale. La mole poligonale, così come l’orizzonte visivo sono enormi, e il risultato è quello di un mondo quanto mai ricco e lussureggiante.
Del resto Guerrilla ha sempre avuto una predilezione per l’imponenza visiva e il lavoro su Horizon, considerando la vastità del mondo offerto e l’assenza di momenti di caricamento (che non siano conseguenti al download di un salvataggio o a un viaggio rapido) rendono il tutto ancor più lodevole. L’orizzonte di Horizon, a differenza di ogni altro titolo simile (compreso il succitato e blasonato The Witcher 3) non scende a compromessi. Quello che vedete, anche a metri e metri di distanza è sempre la prospettiva di quello che potrete raggiungere. Non c’è effetto blur a nascondere le imprecisioni e il colpo d’occhio è sempre pulito e appagante. Certo il gioco maschera abilmente qualche passo falso, con un po’ di pop up e qualche saltuario accomodamento di frame rate, ma in linea di massima è una solida bellezza a farla da padrona. Anche i modelli di uomini e macchine sono ricchi di dettagli e l’idea generale è che Horizon sia tranquillamente considerabile come il nuovo punto zero dello sviluppo tecnico degli open world su console.
Tutto è al suo posto, con un rigore e una perizia che hanno del maniacale. Riprendete il mio breve racconto e immaginate anche solo il ciclo giorno/notte. Esistono moltissimi titoli che propongono un naturale ciclo della giornata, ma quello offerto da Horizon (che poi sapientemente, e randomicamente, si mescola al ciclo climatico) ha dalla sua una regia luminosa da capogiro, tale da evitare ad esempio il tipico tedio proposto all’esplorazione notturna. Giocare “di notte” ad Horizon è invece un’esperienza bellissima che non farà che rinforzare la sensazione di sopravvivenza che il gioco vorrebbe trasmettere, specie nell’esplorazione libera così abilmente riconsegna al giocatore. Un lavoro certosino, purtroppo non esente da alcuni difetti grossolani, ma ben progettato e appagante.
“Mostri”
La parola “mostro” deriva dal latino. Essa ha un’accezione completamente diversa da quella con cui comunemente si intende. Non definisce infatti una creatura infernale o crudele, ma significa invece “antico prodigio” o anche “creatura miracolosa”. Questo termine è forse il migliore per definire le macchine che calpestano il mondo di Horizon. Organismi meccanici figli di un passato eccezionalmente progredito, ed il cui mistero della genesi e dello scopo è visceralmente nascosto nel mondo di gioco. Le creature di Horizon sono “miracolose” nell’essere la coniugazione perfetta tra un robot tipicamente concepito e un animale biologicamente inteso. Le macchine hanno abitudini, preferenze alimentari, pattern di attacco e difesa. Pascolano, a volte si uccidono a vicenda. Sono sempre a metà tra comportamenti scriptati e istinto, rendendo difficile comprendere se siano effettivamente senzienti o se siano invece schiave di un codice binario.
Ma al di là di questo, questi prodigi del mondo che era sono i principali antagonisti della nostra avventura, così come la principale fonte di sostentamento per Aloy e per quel che resta dell’umanità. Abbiamo detto che le tribù si dividono tra chi le macchine le teme, chi cerca di comprenderle e chi le venera, ma il filo conduttore è la loro capacità di essere una fonte inesauribile di risorse per tutti, e in quanto tali creature da cacciare al pari (se non di più) di qualunque altro animale. Su questo imprinting narrativo si fa dunque il primo incontro con il sistema di combattimento di gioco, il cui completo tutorial altro non si rivelerà che essere la punta dell’iceberg. In modo molto semplicistico potremmo accostare il sistema di combattimento e “caccia” di Horizon, a quello già sperimentato e apprezzato in titoli come Monster Hunter. Aloy è libera di esplorare il mondo come vuole, conscia che dietro ogni angolo può esserci una mandria di macchine potenzialmente letali. La caccia richiede attenzione e disciplina e forse la cosa pi bella che potrete sperimentare è il continuo senso di inadeguatezza che c’è tra voi e la macchina.
Esistono robot di tutti i tipi, grandi piccoli, volanti e non. Quel che li accomuna è la volontà di attaccarvi quando possibile, cercando di atterrarvi con ogni mezzo. Dal canto suo Aloy ha a disposizione armi apparentemente molto primitive, la cui arretratezza si sposa talvolta con caratteristiche del tutto futuribili (“paleopunk” abbiamo detto). A farla da padrone da subito sarà la principale arma del gioco, l’arco, che con l’incedere dell’avventura verrà declinato in molteplici forme e usi, differenti per gittata, potenza, tipologie di frecce e annessi effetti elementari. Il sistema di mira è semplice ma efficiente. Con L2 è possibile mirare, aggiungendo un effetto di zoom e rallentamento del tempo con R3, mentre con R2 si scocca la freccia.
Non manca ovviamente il combattimento corpo a corpo, diviso tra attacchi leggeri e pesanti, il cui pattern è tuttavia limitato (purtroppo) ad una sola combo ed alla legnosità dell’attacco pesante, spesso non in grado di contrastare in velocità la stragrande maggioranza di attacchi nemici. È possibile schivare (tasto cerchio) ma il gioco per motivi inconcepibili non offre la possibilità di parare, neanche malamente. Manca infine ogni possibilità di lock on ed il risultato è che servirà molta pratica per avere a che fare con le bestie corpo a corpo, specie se queste occupano buona parte dello schermo o, peggio, sono in grado di tirarvi addosso la qualunque in termini di potenza di fuoco. Si avverte qui l’esperienza acerba del team di sviluppo che pur avendo confezionato un sistema di combattimento a distanza intrigante e agevole, non ha dalla sua il pedigree per fare del suo meglio in ogni aspetto della caccia. Scontrarsi con più nemici in campo aperto, o avere a che fare con certe creature veramente titaniche, senza lock on e senza parata è a volte complesso seppur dia al livello di sfida un pizzico di carattere che non basta mai.
Capirete comunque che questa non è una scelta di stile, ma semplicemente una mancanza che pesa non poco sul corpo a corpo, rendendo i combattimenti con la lancia forse la parte meno gradevole dell’intera esperienza, pur non potendone negare l’oggettiva utilità. Molto meglio allora escogitare manovre stealth, che permettano di ferire gravemente, se non uccidere, il più delle macchine di medie dimensioni, nonché i diversi nemici umani che il gioco ci lancerà contro. Lo stealth, o per meglio dire “la caccia”, è uno dei fattori fondamentali del mondo di gioco e richiede spesso una buona dose di programmazione e pazienza. Insieme ad una buona mira e ad un buon equipaggiamento può tirarvi fuori dai guai nella maggioranza delle occasioni e con un po’ di cervello può persino esservi di supporto nelle fasi che preannunciano scontri particolarmente ostici, rendendo il corpo a corpo un supporto all’azione e poco più. Come detto, a darci supporto non manca una rastrelliera digitale di tutto rispetto, che propone oltre alle varianti del succitato arco, anche fionde, lancia-trappole e persino un utilissimo strumento per legare le creature al suolo, onde riorganizzarsi un attimo o semplicemente sferrare un colpo letale. Anche le macchine non sono da meno, e grazie al focus scopriremo ben presto che alcune di esse hanno punti deboli, sacche viscose da far esplodere, batterie da far saltare o, perché no, bocche da fuoco da far cadere al suolo e da raccogliere per un numero limitato (ma devastante) di colpi. Sta tutto alle capacità del giocatore, ed alla sua capacità di impratichirsi con la caccia, e con il delicato rapporto che sussiste tra Aloy e le macchine stesse. Non solo, la pianificazione e la progettazione degli attacchi, così come una buona conoscenza delle creature, è un qualcosa che il gioco vi insegnerà a menadito. In tal senso Aloy è dotata di uno strumenti eccezionale, figlio della tecnologia che fu dei progenitori del mondo: il Focus. Questo altro non è che un piccolo dispositivo attivabile che proietta attorno ad Aloy una griglia di analisi in realtà aumentata. L’effetto è molto figo ma al di la di questo è lo strumento principe della vostra caccia, alle macchine ed ai nemici. Il Focus infatti è come una seconda vista, e rivela ad Aloy i segreti del gioco, come tracce, oggetti da raccogliere, scorte nascoste o, più semplicemente, i punti deboli delle varie macchine, sia in termini di zone su cui effettuare colpi particolarmente debilitanti, sia in termini di tipologie di danni elementari e non a cui le creature sono particolarmente soggette.
Con il Focus potrete individuare nemici e macchine da una lunga distanza, anche attraverso le pareti. Potrete percepirne l’umore o potrete tracciarne i movimenti, così da evitarne comodamente la ronda. Nascondersi tra le piante con il Focus attivo significa vedere senza essere visti, permettendo di studiare un piano senza il quale – ed è questo il bello del gioco – il più delle volte si è semplicemente spacciati. O in termini di numero o di potenza di fuoco, i nemici e le macchine cercheranno sempre di soverchiarci. Attenti, metodici, seppur con i limiti della loro intelligenza artificiale.
In questo frangente possiamo dire che Horizon vive di alterchi profondi. Le macchine sono infatti attente, precise, metodiche nel chiamare rinforzi e riorganizzarsi. Notano movimenti lesti, si preoccupano dei compagni caduti con grande velocità e, in generale, rappresentano la principale sfida offerta dal gioco sia per intelligenza che per potenza. Al lato opposto l’intelligenza artificiale umana. Goffa, distratta, semplicemente incapace di arginare ai vostri danni se non attaccando a testa bassa. Affrontare un accampamento umano, dopo anche solo qualche ora di pratica, significa uccidere tutti facilmente e senza farsi notare. L’IA umana è di una arretratezza disarmante e, quasi iconicamente, non regge il passo delle macchine. Difficile dire se sia una precisa scelta di design o un errore, fatto sta che al di la delle effettive caratteristiche di cui sono dotate le macchine, l’impressione è che gli esseri umani, anche quando pesantemente armati, o quando in ronda con macchine appositamente “corrotte”, siano stupidi e basta. Un errore che grava sui nemici, e spesso anche sui nostri alleati, che saltuariamente si affiancheranno nei nostri combattimenti per motivi di trama, e che PER FORTUNA il più delle volte sono dotati di una provvidenziale immortalità.
Soggiogare la bestia
Come avrete capito, le premesse del gioco sono perfettamente tradotte nel gameplay. Andare a caccia, pianificare e piazzare trappole è una delle attività più belle ed appaganti che potrete svolgere in Horizon: Zero Dawn. Non solo, il suo impianto ludico, capace di offrire una sfida continua, anche quando le premesse (leggasi la differenza tra il livello del vostro personaggio e quello delle creature) suggerirebbero una vittoria facile. Raramente, se non forse in titoli come Monster Hunter, ho provato un’ebrezza simile nel senso di sfida offerto dalle macchine. Il primo abbattimento di colossi gargantueschi, o il superamento agevole di una creatura prima imbattibile rendono il gioco un divertimento continuo ed appagante. Quando poi si procede nel gioco si scopre che alcune di queste bestie possono persino essere soggiogate e cavalcate. È il potere dell’Override, che permette ad Aloy, per mezzo della sua lancia, di controllare alcune macchine e di metterle le une contro le altre. Strategicamente, anche l’Override diventa un’arma per cavarsi da certe situazioni, permettendoci di utilizzare le bestie più forti per sconfiggerne altre, al prezzo ovviamente di punti esperienza che in questo modo non guadagneremo. Il gioco ci fornirà all’inizio solo un paio di bestie da poter soggiogare, ma svolgendo poi gli incarichi secondari chiamati “Calderoni”, potremo scoprire di più sulle macchine e sul modo di controllarle.
Parlando di incarichi secondari. Horizon offre il pacchetto standard per titoli simili. Dagli incarichi di caccia, alle missioni di investigazione, al reperimento di oggetti unici, sino al mero scontro con creature particolarmente ostiche. Gli incarichi secondari sono numerosi e ben sparsi per tutto il mondo di gioco. Alcuni certamente più riusciti di altri, anche se tutti sofferenti dello stesso problema della main quest: la scrittura zoppicante. Come e quali svolgere sarà dato solo a voi, tanto che potrete decidere anche di ignorarli tutti e di dedicarvi solo alla storia principale (perché dovreste non so, ma potete). Il mondo è realmente libero da confini che non siano dettati dai propri passi, con l’ovvia conseguenza che certe zone potrebbero semplicemente essere troppo ostiche per problemi relativi al vostro livello ed alla vostra preparazione. In generale parliamo di circa 30 ore buone di incarichi secondari, per una longevità totale che oscilla tra le 60 e le 70 ore a seconda delle vostre specifiche abilità e della vostra verve esplorativa. Scordatevi comunque la straordinaria diversità di titoli come The Witcher. Horizon segue il trend di altri celebri esponenti di genere, il cui più simile è probabilmente Far Cry Primal, non solo per le ovvie associazioni mentali (limitate ma ovvie) ma anche per lo stile con cui gli incarichi sono concepiti.
Abbiamo quindi una lunga serie di attività uguali ma presenti ovunque, come le succitate missioni di caccia, o gli accampamenti di banditi da ripulire, e missioni secondarie più “personali” e richieste da specifici personaggi incontrati durante il nostro viaggio. Queste ultime sono sì e no una ventina, veramente agli antipodi delle situazioni intavolate dal succitato The Witcher 3 che si preoccupava di “scrivere” la storia di così tanti estranei da relegare la main quest quasi ad un companatico. Ciò significa, in soldoni, che Horizon è uno di quei giochi il cui endgame è estremamente povero, e si trasforma in un lavoro di pulizia della mappa più che di scoperta di ulteriori segreti, Questi ultimi, de facto, non esistono o sono a portata della mappa e dei mercanti, rendendovi più galoppini che esploratori. Anche i set di abiti e armi utili ad Aloy si esaurisce per mezzo di acquisti sempre disponibili il che è in netta antitesi con la ricchezza non grafica, ma contenutistica, che altri titoli del genere hanno saputo imporre sul mercato.
La cacciatrice
Abbiamo parlato di livelli, armi e vestiti. Non a caso. Come molti open world, anche Horizon mette alla base della sua progressione un po’ di quelli che sono gli archetipi del mondo GDR. Aloy dispone infatti di un sistema di livelli, con annessi tre alberi di abilità, capaci di renderla efficiente in diversi aspetti del combattimento e della sopravvivenza. Il level cap è fissato al livello 50, e con il progredire degli stessi otterremo sia un miglioramento della nostra vita, sia dei punti utili a potenziare il personaggio. Quel che non otterremo sono invece variazioni in termini di attacco e difesa, che sono invece relegate alle due categorie di equipaggiabili, le succitate armi ed i vestiti. Come avrete capito non c’è granché di segreto, tutto quello che potrete reperire sarà sempre a portata di mappa e mercante, trasformando l’equipaggiamento in qualcosa di poco accattivante in termini di gameplay, se non per le già discusse qualità belliche. Entrambe le categorie sono poi modificabili per mezzo di appositi oggetti “le modifiche” per l’appunto che, come delle rune, vanno incastonate in armi ed abbigliamento per migliorarne le (poche) caratteristiche di base. Il resto è statico, e dettato da valori pre-imposti e su cui ben poco si può smanettare. Anche le abilità lasciano un po’ il tempo che trovano, e la loro divisione per “alberi” semplicemente non ha senso d’essere. Con i suoi 50 livelli, qualunque giocatore con un minimo (e ripetiamo: un minimo) di senso di voglia di esplorare riuscirà agevolmente a prendere tutte le abilità. In Horizon, detta in soldoni, non c’è una strada tracciabile per alcuna build. Il che porta ogni questione relativa al livello ed all’equipaggiamento un mero compitino aggiuntivo che lascia il tempo che trova. Lo scheletro GDR, in pratica, annienta sé stesso dopo poche ore di level up. Si smette di scegliere le abilità e si comincia ad accumulare i punti per sbloccarne una quando ci fa comodo. Perché quel che conta sono fondamentalmente i punti vita per beccare più botte e poco più. Un peccato, perché si smonta così ogni profondità di tatticismo passivo, relegando il tutto alla tattica attiva degli scontri.
Paleopunk e paletecnica
Prima di lasciarci andare alle conclusioni e poco più, fermiamoci un attimo a parlare del profilo tecnico di Horizon. Certo, si è già detto tutto, quasi in apertura, ma qui vorrei un attimo soffermarmi su quella che una falla e non un pregio della produzione, ossia la succitata recitazione. Dire che Horizon ha dei pessimi attori digitali non è un modo furbo per tentare di tenere il voto più basso di quel che il gioco non meriterebbe, significa presentarvi quello che è un vero e proprio tallone d’Achille in una produzione con tutti i crismi. Gli attori digitali semplicemente non ce la fanno. Recitano male, senza enfasi e sono privi di mordente e di espressività. Questo è un difetto enorme, che rende tutta l’avventura di Aloy una sorta di farsa digitale. Ora direte voi che questo succede in moltissime produzione, ed è vero, ma la differenza è nel modo in cui è costruito tutto quello che non sia dialogo e recitazione. I modelli di Horizon sono bellissimi, e prendono a schiaffi buona parte dei modelli visti in altre blasonatissime produzioni. Ma sono dei pupi, dei burattini, privi di espressione e talvolta mossi da animazioni legnose, macchinose, quasi “paleolitiche”. Non solo, il gioco è spesso sporco in moltissimi frangenti, come se il team non fosse capace di concepire ovvie situazioni di “intermezzo” tra gli incarichi. Uccidete un boss, e potreste trovarvi catapultati improvvisamente in un video senza capo né coda. Ripulite un campo, e l’azione si fermerà di netto ripopolando il posto segna cognizione di causa. Sono dettagli, che a fronte della bellezza della produzione sono come dita negli occhi. Errori da dilettanti, laddove il team è tutto fuorché alle prime armi.
PS4 Vs PRO
Abbiamo testato il gioco tanto su PS4 standard che PRO e lasciate che ve lo si dica, le differenze sostanziali non sono in prestazioni ma in resa estetica. Su 4K HDR, Horizon è semplicemente la migliore esperienza possibile cinema incluso. Il gioco vi farà propendere per l’acquisto di una tv 4K HDR non appena vi renderete conto della differenza con qualunque televisore standard e questo, nell’ottica di chi vi scrive, non è che un bene. Dimostra che lo sviluppo sta puntando finalmente, e nel modo giusto, ad un nuovo standard ed in tutta onestà non ho, ad oggi, alcun paragone tra Horizon è qualunque altro prodotto in altissima definizione. Siamo semplicemente davanti al miglior lavoro svolto dall’uomo fino ad ora in termini di resa estetica e questo, di per sé, già dovrebbe bastare. Intendiamoci: la nitidezza e la profondità di colori ci sono anche sulla versione standard. Giocare su PS4 fat o slim che sia non vi farà sentire dei “dalit” digitali. Per ciò che concerne invece le mere prestazioni, Horizon si comporta bene su entrambi i fronti. Su PS4 standard il gioco si muove senza problemi, con qualche problema di pop up, e sporadici (ma che dico, rarissimi) cali di framerate in situazioni molto concitate. In linea di massima è forse il fattore climatico quello più zoppicante, con alcuni casi di cambi improvvisi di colorazione e particellari dovuti al clima, che si sono palesati in situazioni in cui, invece, non avrebbero dovuto. Per capirci, un paio di volte su PS4 standard ci è capitato che ci fossero problemi nella gestione degli effetti di pioggia e nebbia e questi, senza apparente logica, sono apparsi per poi sparire di colpo durante sequenze di dialogo. Un errore del codice che, giusto per chiarezza, si è verificato una volta anche durante una sessione su PRO e che, probabilmente, non dipende quindi dalla console sulla quale abbiamo giocato. In ogni caso su PS4 PRO il gioco sembra generalmente più pulito. Il pop up della bassa vegetazione o di alcuni oggetti come rami e piante è quasi del tutto inesistente e i 30 fotogrammi del gioco sono sempre stati solidissimi, anche nel mezzo di situazioni da puro panico meccanico. Per il resto ci sono imprecisioni che richiedono sicuramente una patch per entrambe le macchine. Il gioco ad esempio fatica ad offrirvi la mappa in modo pulito quando, dopo un viaggio rapido, si cerca di accedere subito alla mappa o quando dopo lo stesso si vogliono consultare le icone degli obiettivi sulla bussola a schermo. Dettagli che richiedono una piccola pulizia che, quasi certamente, verrà inclusa nel primo aggiornamento che aggiungerà, per quel che ne sappiamo, anche alcune funzione per PS4 PRO, come le opzioni di disattivazione dell’HDR.
Verdetto
Horizon: Zero Dawn è un gioco che vive di alterchi. Da un lato abbiamo forse uno dei titoli più belli mai costruiti e, per certo, l’open world stilisticamente e artisticamente più bello di sempre. Dall’altro quello stesso mondo, popolato di creature affascinanti e letali è talvolta vuoto e “spento”. Il numero risicato di contenuti, la sostanziale assenza di un endgame e tutta una serie di leggerezze nello sviluppo (che non riguardano solo la mera tecnica) impediscono a questa nuova opera prima di Guerrilla di ascendere all’Olimpo dei capolavori. Tuttavia, il sunto del gioco, ossia il suo gameplay, svolge il suo lavoro egregiamente. Il mashup riuscitissimo tra le tematiche “paleopunk” e la filosofia a la Monster Hunter, rende gli scontri, e in particolare la caccia, un divertimento appagante. Il mondo di Aloy è crudele e duro, e mette il giocatore in uno stato di allerta costante, tale da far vivere il più degli scontri al cardiopalma. Una mix che nel panorama open world mancava, ed a cui Horizon mette una pezza in modo più che dignitoso. Si tratta di un gioco da provare e amare, consci che per certi versi si dovrà scendere a compromessi. Narrativa, recitazione, animazioni, l’intero set è uno o due generazioni in ritardo. Una crasi prepotente che attesta da un lato l’inesperienza del team con il genere, dall’altro un invidiabile eclettismo e una apprezzabile voglia di sperimentare. Guerrilla Games ci consegna insomma le chiavi del mondo di Aloy. Le teniamo stretti consci che un giorno potrebbero aprire le porte del villaggio verso una nuova avventura. A quel punto però, viste le ottime premesse, la vorremo perfetta.