Correggimi se sbaglio. Oppure se paghi bene.
Nei mestieri creativi si dà qualcosa in più rispetto a un prodotto standardizzato che si possa trovare nei cataloghi o nei capitolati. Il creativo, diciamo, ci mette il cuore. Il problema è quando il cuore gli viene spezzato da un committente che si prende la briga di “metterci del suo”. Ma occhio che rischia di essere una battaglia fra orgoglio e professionalità. Lo sa bene quel vecchio scorbutico di Stefano Bonfanti, creativo.
In molti ricorderanno l’aplomb del maestro Manara quando, qualche anno fa, la sua variant cover di Spider-Woman fu bersagliata da un esercito di estemporanei insegnanti di disegno allo sbaraglio.
Alcuni illuminati infatti non si limitavano a denunciare la strana angolazione del bacino o la dubbia ergonomia della posizione, bensì si scomodavano a riprendere il disegno originale in filigrana e ricostruirci sopra la loro versione, con tanto di appunti e freccette che facevano da didascalia alle principali correzioni.
Un po’ mi ricorda quando da giovane, a bordo della mia Citroen AX, sorpassavo una Porsche in autostrada, e credo non ci sia bisogno di approfondire la portata della similitudine.
Ma al di là dei soliti fronti l’un contro l’altro armati di chi difende e di chi attacca, Manara mantenne ovviamente un atteggiamento distaccato e signorile. Chiaro che molti di noi, fossero Manara, avrebbero poca voglia e motivo di sporcarsi le mani coi comuni mortali, però non intendo più di tanto addentrarmi nelle motivazioni del maestro se non per supporre la presenza di una componente spesso sottovalutata: la professionalità.
In rete c’è un florilegio di pagine in cui i professionisti dell’immagine, come illustratori e grafici, si difendono dai luoghi comuni più beceri dei committenti. Una sorta di luoghi di autocommiserazione professionale in cui ci sosteniamo con reciproche pacche sulle spalle e “oh sì, fratello, quanto è vero”. Un gran classico è l’aneddoto – fittizio o meno – di un committente che contesta il prezzo troppo alto per un logo che il grafico avrà realizzato sì e no in un quarto d’ora.
Al che, il grafico, risponde fra scrosci d’applausi: “sì, ma per arrivare a realizzarlo in un quarto d’ora, ci ho messo quindici anni di esperienza”. Non fa una piega.
Ma pur applaudendo, interverrei io: pagami ancora di più e io quei quindici anni me li dimentico non appena ti consegno il lavoro.
Dai, chiedetemi perché.
Il fatto è che un po’ tutti i professionisti si imbattono nel cliente che prima o poi gli insegnerà il loro mestiere, e solo pochi di detti clienti si accorgeranno di quanto contrario al loro stesso interesse sarà sostituire quei famosi quindici anni di esperienza con la scienza infusa gentista dell’Università della Vita. Un mio amico medico mise bocca nel lavoro dell’idraulico che gli riparava il lavandino e si sentì rispondere “dotto’, voi facite o’ vostro lavor’, ch’i’ facc’ il mio”. Il mio amico non si chiama Bill ma è comunque intelligente e tanto si fece bastare, però non tutti sono abbastanza onesti da fare altrettanto. Questo perché quando non puoi avere una Porsche, non c’è niente di meglio di un’AX che la sorpassa in autostrada.
Nel settore creativo, poi, ho come l’impressione che il fenomeno sia particolarmente pronunciato: se gli avvocati parlano il “legalese” col solo scopo di imbambolare la povera gente comune, se i medici tirano fuori i “paroloni scientifici” sempre con detto scopo, se i meccanici vanno “troppo sul tecnico”, un creativo non ha un grammelot professionale altrettanto capace.
Certo, un disegnatore può tirar fuori la composizione dell’illustrazione e osare una spirale aurea o una regola dei terzi, si può citare la linea d’azione, l’equilibrio cromatico; uno scrittore può citare l’economia della storia, la suddivisione in atti, l’alternanza fra beat, gli espedienti narrativi, la sospensione dell’incredulità. Un linguaggio fin troppo accessibile, che dà l’illusione di altrettanta accessibilità nel procedimento creativo, quando invece richiede un affinamento potenzialmente infinito delle capacità alla base.
Già è difficile competere quando la nostra controparte, di contro, comunica con sciarade del tipo “finalizzare l’AW entro la DL”, ove poi si scopre che banalmente AW è l’artwork e DL è la deadline. A quel punto, avanzare la becera versione “consegnare il disegno entro la scadenza” ci connoterebbe di grettezza e provincialità. Si gioca sulle difensive.
E poi, al nocciolo della questione, c’è sempre quel proverbiale “il cliente ha sempre ragione” da cui raramente si può prescindere: quando si parla di AW entro la DL non è un macellaio che vuole un nuovo logo per i sacchetti. Chi parla di AW entro la DL ha in genere un buon budget.
Ergo taci, esegui e ringrazi.
Da qui l’esigenza di dimenticare i quindici anni di esperienza: il committente non fa le bucce sul compenso per un quarto d’ora di lavoro (sorvolando sul fatto che in quel quarto d’ora a volte si concentra il lavoro di giorni, svolto piangendo e versando sangue dal naso) e tu non fai le bucce se poi ti ci mette la matita con criteri discutibili.
Intendiamoci: la cosa può far male.
Una vita ad ammirare le illustrazioni dei maestri e rosicare, assorbendone i segreti e le alchimie, ti senti depositario di segreti e astuzie, ne dai sfoggio per far valere quei quindici anni in un quarto d’ora e poi… “non mi piace il naso in questo modo”, “questo personaggio mi ricorda X” (ove per “X” una qualsiasi arbitraria cosa che, anche fosse davvero somigliante, non lederebbe in alcun modo la qualità del risultato) o ancora “fallo così”, con tanto di rielaborazione dell’immagine in PowerPoint a indicarti come.
Magari ti può contrariare il fatto che, fra molti committenti illuminati che sanno di rivolgersi a un professionista e per loro è manna delegare del lavoro specializzato a chi ne ha le competenze, ogni tanto salti fuori quello che ti impiega solo come un paio di mani capaci di mettere su carta la sua visione.
Magari, anche, ti può dare un certo malanimo quando ti venga ricordata a più riprese la tassatività di una scadenza sempre più vicina ma si sussegua intanto un balletto esponenziale di modifiche e correzioni ai limiti del capriccio.
Magari un sacco di altre brutte sensazioni ma, se sei un professionista, resti contrariato, ti tieni il tuo malanimo e ti fai brutalizzare il tuo lavoro col sorriso.
È da qui che mi inserivo nel dialogo immaginario fra il committente e il professionista: un sovrapprezzo per mettere nel quarto d’ora di lavoro i tuoi quindici anni di mestiere, un altro sovrapprezzo per dimenticarli.
Finché ti viene corrisposto, non fare storie e lasciali divertire a bordo della loro AX.