Il 1998 è stato un anno d’oro per la Sony e l’ancora giovane PlayStation. anno in cui uscivano titoli che hanno fatto storia come Metal Gear Solid, Resident Evil 2 o Tomb Rider 3. Anche il mondo dei platform ha regalato grandi giochi come MediEvil (di cui vi abbiamo parlato qui con la stessa nostalgia di oggi) e Crash Bandicoot 3: Warped. È in questo scenario di giganti che si è fatto strada un altro personaggio che si guadagnerà un meritato posto tra le icone storiche della PlayStation, letteralmente gomito a gomito col già celebre e già citato Bandicoot (spiegheremo più avanti il perché). Stiamo parlando del giovane draghetto viola Spyro.
La genesi
Spyro the Dragon è un gioco ideato e sviluppato da Insominac Games, ispirato in parte dal successo di Dragonheart (che ha dato l’idea di usare proprio un drago) e dalla volontà di regolare la bilancia per ciò che riguardava le uscite di videogames destinati ai giocatori più giovani, vista l’enorme affluenza di giochi più adulti usciti negli anni precedenti. Spyro è dunque un giovane draghetto, unico superstite all’attacco del terribile Nasty Gnorc: il quale ha trasformato tutti i draghi in statue di cristallo dopo il terribile affronto da parte di uno degli anziani che aveva parlato male di lui durante un’intervista. Se non lo ricordavate, sì, è andata esattamente così. Tocca quindi a Spyro viaggiare per i vari mondi liberando gli 80 draghi dalla loro prigionia, il tutto raccogliendo gemme e uova e sconfiggendo nemici dalla dubbia avvenenza e la discutibile intelligenza. Il tutto sempre affiancato dalla libellula Sparx, indice della salute di Spyro, che cambia colore ogni volta che si subisce un colpo fino a sparire. Per mantenere Sparx in buona salute bisogna farle mangiare le farfalle che comparivano malmenando le onnipresenti e saltellanti pecore.
Come è chiaro fin dall’inizio, questo è un gioco che non si prende affatto sul serio. Le battute sono volutamente demenziali, talvolta anche troppo, forse anche per il doppiaggio italiano (specie in questo primo capitolo Spyro parla con l’enfasi di un comodino). Come platform il gioco presenta un’ampia mappa divisa in quattro macro-mondi (degli artigiani, dei pacificatori, degli stregoni e dei tessitori di sogni), che racchiudono i vari livelli da superare e cui si aggiungono i circuiti, dei livelli extra a tempo. Ogni livello è, a sua volta, solitamente molto esteso. In Spyro the Dragon, infatti, non si percepisce la claustrofobia che spesso si respira nei platform meno pregevoli: si ha quasi sempre a che fare con ampi spazi, e ciò è legato anche all’abilità del piccolo protagonista di planare o volare, a seconda dell’occasione. La prima trilogia, poi, compie un vero salto di qualità da un capitolo all’altro, come animazioni e storia ma anche e soprattutto come gameplay. Nel terzo capitolo (Spyro: Year of the Dragon), ad esempio, oltre ai proverbiali circuiti, divenuti per allora un must della saga, c’era una marea di livelli extra in cui poter controllare diversi personaggi, compresa la libellula Sparx, oppure fare una bella sessione di skateboard con il nostro draghetto preferito.
Il draghetto Spyro
Non tutti sanno che inizialmente Spyro era stato creato di colore verde, ma fu poi cambiato nel più insolito e iconico colore viola per distinguersi meglio dagli scenari, che presentano molti prati e radure. Nel primo capitolo Spyro è in grado di planare per raggiungere lunghe distanze, sputa fuoco e carica gli avversari, ma già dal secondo capitolo sarà in grado di nuotare e librarsi, e nel terzo potrà anche dare delle potenti testate in salto. Il suo design è sempre stato accattivante e le animazioni molto graziose all’apparenza. Anche nel primo Spyro, interamente popolato da poligoni parlanti. Tra il primo e il secondo capitolo (Spyro 2: Gateway to Glimmer), inoltre, troviamo uno stacco enorme: i movimenti di Spyro sono molto più fluidi, si può nuotare anche sott’acqua e interagire con i personaggi dei vari mondi intraprendendo varie mini-quest secondarie.
Il giovane drago è coraggioso, spavaldo e strafottente. La sua è l’arroganza tipica degli adolescenti, proprio per venir incontro ad un pubblico molto giovane e far sì che i ragazzi potessero immedesimarsi nel protagonista. In genere Spyro non mostra chissà quale profondità psicologica, la sua politica è: dove lo trovo e come lo distruggo. Il suo atteggiamento da badass accostato al suo aspetto tutt’altro che minaccioso ne fa un mix tanto divertente quanto interessante. Con gli anni il suo personaggio tende a diventare meno piatto, e anche se nei capitoli successivi lo ritroviamo un po’ meno strafottente, non perde mai la sua proverbiale ironia. Due cose rimangono capisaldi che ne fondano sempre e comunque il carattere: l’altruismo e il coraggio, tratti che non passano mai di moda per un eroe.
Oggetti da raccogliere, nemici da sconfiggere
Sta di fatto che il povero Spyro viene sempre tirato in mezzo ai guai. Nel primo capitolo deve salvare tutti i suoi amici draghi, nel secondo finisce nel pieno delle questioni di Avalar (il mondo di gioco apparso la prima volta nel seguito e, ovviamente, messo subito in pericolo da Ripto, il cattivone di turno), nel terzo capitolo invece dovrà recuperare le uova di drago e quindi tutti i cuccioli, rapiti e potati nei mondi dimenticati. Oggetto comune a tutte le iterazioni sono le gemme, dietro alle quali siamo impazziti, per recuperarle in ogni singolo metro cubo di gioco. Gli anfratti nascosti sono una peculiarità di Spyro the Dragon: quanti “salti della fede” abbiamo fatto nella speranza di beccare una qualche piattaforma sull’orlo di un precipizio, e quante volte siamo caduti miseramente nel vuoto? E come dimenticare l’altro autentico maestro del sadismo, quello stramaledetto ladro di uova che correva come un ossesso e che dovevamo inseguire alla carica, andando sbattere milioni di volte contro angoli, gradini o passanti? Quel piccolo furfante ci ha fatto coniare un intero vocabolario di nuove imprecazioni!
Quanto ai super-villain, Nasty Gnorc all’esordio non ci ha mai regalato chissà quali emozioni, fuggendo miseramente non appena ce lo troviamo faccia a faccia. Ripto è più il cattivo comico che si nasconde dietro i suoi scagnozzi, nonostante il secondo capitolo in Nord America si chiamasse proprio Spyro the Dragon 2: Ripto’s Rage!. Nel terzo della saga originale, invece, la Maga è una cattivona coi fiocchi, neanche tanto semplice da far fuori.
L’Eredità
La trilogia storica è quella per la prima PlayStation marcata Insominac: Spyro the Dragon, Spyro 2: Gateway to Glimmer e Spyro: Year of the Dragon. Ma la saga è stata perpetuata in altre console con capitoli più o meno riusciti. Spyro: Enter the Dragonfly, esordio su PS2, rientra purtroppo nella seconda categoria. Il debutto sulla nuova console Sony non è stato dei più rosei. Passato in mano a Equinox la saga ha fatto uno scivolone non da poco per ciò che riguarda storia a gameplay, con tempi di caricamento troppo lunghi ed eliminando il viaggio attraverso i portali, sostituito esclusivamente da diversi mezzi di trasporto che rendevano il tutto un po’ più disordinato. Tutto ciò ha spinto (similmente a quanto successo per molti con Star Wars Episodio I: La Minaccia Fantasma) gran parte del pubblico a considerare Year of the Dragon l’ultimo vero capitolo della saga. Passato poi a Eurocom, Spyro: A Hero’s Tail si rimette in carreggiata, adeguandosi anche alle esigenze della next gen: snellita la mole di oggetti da recuperare, aumentato il numero delle abilità di Spyro; platinare il gioco non è più necessario ma diventa un piacevole extra per sbloccare un ulteriore filmato finale.
La nuova saga The Legend of Spyro, in mano a Krome studios e Amaze Entertainment, è di tutt’altra pasta. Per alcuni versi, per esempio rinfarcendo di molto la trama, riprende la saga principale, mentre per altri se ne distacca, rivisitando tutto in chiave più “dark”. A quanto pare, se ad un certo punto se non si incupiscono i toni non c’è gusto (basti ricordare anche la saga di Jak & Dexter, incupitasi notevolissimamente sin da Jak 2: Renegade). Non che questo sia di per sé un elemento negativo, ma sacrifica gli aspetti fanciulleschi e leggeri che rendono iconica una saga come quella di Spyro.
Malinconia portaci via
Il drago Spyro è stato un astro lucente del mondo videoludico che è andato man mano ad oscurarsi, ma che è sempre stato presente nei ricordi di chi è stato bambino, e non solo, alla fine degli anni ’90. Rigiocandolo oggi ci si rende conto di quanto sia invecchiato male, peraltro inevitabilmente, ma si nota anche che taluni elementi hanno precorso i tempi di molto. Soprattutto l’atmosfera (guardate l’immagine soprastante, da una versione ricreata artificialmente di Spyro the Dragon in Unreal Engine, e diteci che non è magica esattamente come una volta) aveva una leggerezza e una spensieratezza tali, che andrebbe coltivata e preservata sempre, e particolarmente di questi tempi, tanto spesso disillusi dentro e fuori dal mondo dei videogiochi.
Chiudiamo questo sentito tributo speciale al nostro draghetto viola con una piccola curiosità: sapevate che su alcuni capitoli della saga del “cugino peloso” Crash Bandicoot si potevano giocare demo di Spyro, e viceversa? Ad esempio, per giocare a Spyro the Dragon su Crash Bandicoot 3: Warped, nella schermata del menu principale bastava premere Su, Su, Giù, Giù, Sinistra, Destra, Sinistra, Destra, Quadrato. Sapere un segreto simile, ai tempi dei trucchi selvaggi, poteva renderti un vero eroe! Certo, non uno come Spyro, ma quasi.