Netflix non sbagliava un colpo… una volta
A volte succede che, per forza di cose (o di necessità di mercato), un prodotto esca prematuro, noioso o, peggio, “obbligato”. Inutile girarci attorno, sono queste le caratteristiche predominanti di Iron Fist, ultima serie Marvel di Netflix. Intendiamoci, abbiamo apprezzato tutte le serie Netflix provenienti dalla Casa delle Idee, ognuna per un proprio retrogusto particolare, per i propri elementi distintivi. Luke Cage riportava le caratteristiche dei film di blaxploitation: attori di colore, storie di ghetto, colonne sonore soul & funk (con l’aggiunta di qualcosa di più moderno, ma sempre inerente al contesto) e accenni volutamente stereotipici. In Jessica Jones, invece, erano la questione della violenza di genere e il noir a farla da padrone. Una storia dai colori cupi, scuri e una fotografia che rendeva al massimo, con protagonista una detective alcolista che insegue un nemico terrificante, subdolo e sfuggente. E infine Daredevil, già al secondo giro, un martire cieco, super-protettore degli indifesi in una serie dal sapore crime-legal drama, dove i nemici più “umani” possono essere sconfitti forse non solo, ma anche in tribunale. In questo terreno approntato da Netflix, arriviamo al punto della questione: giunge Iron Fist.
Come i suoi predecessori, anche Iron Fist doveva avere un retrogusto specifico, ad accompagnare il genere super-eroistico, la sua collocazione in un preciso filone di ispirazione chiara. E l’aveva trovata! Tale genere è denominato “gongfu”, in cui le arti marziali e gli scontri a mani nude, al massimo con armi da corpo a corpo, la fanno da padrone. Un’occasione più che ghiotta, quindi, per chi come noi ama gli action movie. Ma qui è anche dove iniziano i problemi…
La trama “non necessaria”
Danny Rand torna da un monastero, dopo anni di addestramento (ma si è addestrato davvero? Ci arriveremo in seguito) e vuole riprendersi la sua vita, benché si trascini dietro problemi ed eredità indesiderate del suo passato, prima delle quali è proprio essere l’Iron Fist. Punto. La trama è questa. Ci viene detto che La Mano è il suo nemico, quasi subito, e ci vengono palesati i visi dei suoi avversari immediatamente. Ma, diciamocelo ragazzi, chi guarda un film con le arti marziali per la trama? Nessuno. Le trame di molti film action sono giustamente lineari e asservite allo scopo finale: l’intrattenimento.
L’eroe parte dal punto A e deve arrivare al punto B, sconfiggendo più spettacolarmente possibile tutti i nemici che affronta. Deve andare da A a B per i più disparati motivi, che in realtà sono pochi ma chiari: ottenere “qualcosa” (sostituire qualcosa con: vendetta e/o giustizia per parente, amico, amore, onore). Non bisogna aspettarsi di più da un film di questo genere. Se c’è qualche picco di trama, tanto meglio, ma quando guardi un action movie, in questo caso del sottogenere gongfu, non ti aspetti intrecci, inghippi o chissà cosa. Vuoi vedere menare le mani. Già. E purtroppo qui arriviamo al secondo problema dello show.
Combattimenti, questi sconosciuti
Per chi non lo sapesse, Daniel Thomas Rand, ovvero Iron Fist, è praticamente il miglior marzialista di Casa Marvel. È uno dei migliori combattenti corpo a corpo dell’intero universo e, grazie al Chi e alle sue abilità, è in grado di rivaleggiare nei combattimenti a mani nude con pressoché chiunque. Lui è il Pugno d’Acciaio, signore delle arti marziali, addestrato anche nelle arti arcane. Colui che ha immerso le mani nel cuore ardente di Shou-Lao L’Immortale, il drago eterno. Tutto questo è incredibile. Spettacolare. Avvincente. E dal giusto e vero sapore di un film di arti marziali… E poi c’è l’Iron Fist di Finn Jones. Anche se, per dovere di cronaca, la colpa non è da imputare assolutamente al volto reso noto da Game of Thrones, ma piuttosto ai produttori, i quali hanno fatto scelte profondamente sbagliate. Il problema, tornando al punto, sono appunto le arti marziali e i combattimenti in genere. Innanzitutto è stato scritturato qualcuno che palesemente non ha la più vaga nozione o idea di cosa sia un combattimento corpo a corpo, il che non sarebbe un problema se, come per Charlie Cox, le azioni di combattimento fossero state eseguite da uno stuntman professionista tipo Chris Brewster (il quale peraltro è anche lo stunt-double di Chris Evans per Captain America).
Questo in Iron Fist non avviene, e tragicamente ci ritroviamo con Finn Jones che esegue i combattimenti. Le scene di azione sono mal coordinate nel migliore dei casi e tragicomiche nei peggiori. Lente, impacciate e scoordinate. Attenzione, però, chiariamo subito un punto: non sosteniamo che un combattimento debba essere necessariamente rapido o stilisticamente perfetto. Luke Cage (tanto per citare il fratello fumettistico di Iron Fist) nella propria serie prende parte a combattimenti sporchi e goffi, funzionali ad un contesto in cui un uomo dalla forza prodigiosa cerca di non spappolare il cranio altrui con un pugno e si ritrova quindi a limitare il suo repertorio di mosse a spintoni, buffetti e lanci di persone. Però qui stiamo parlando di Iron dannatissimo Fist, un maestro di arti marziali. I combattimenti sono lenti, esasperatamente semplificati. Nei calci alti o in altre mosse, Finn Jones mostra tutti i suoi limiti di equilibrio e di controllo del corpo. Inoltre, secondo le recenti dichiarazioni dell’attore, alcune scene di combattimento sono state girate con prove di solamente 15 minuti. Vergognoso. Il risultato finale è davvero deludente e Finn Jones si è, da questo punto di vista, rivelato quindi una pessima scelta. Questa è una serie sulle arti marziali e, senza le arti marziali, cosa rimane? Non si poteva scegliere un marzialista con abilità attoriali anche inferiori, ma capace di emozionarci sfoderando qualche tecnica? Non si poteva piazzare un cencio in faccia a Danny (come Daredevil agli inizi) e mettere uno stuntman che sapesse cosa fare al posto del signor Jones?
Altri problemi assortiti
La serie evidenzia altre pecche, a parte la trama noiosa che purtroppo deve essere seguita, dato che neppure i combattimenti sono emozionanti. La prima cosa che salta all’occhio è sicuramente la coerenza. Danny è un maestro di arti marziali e, nonostante i combattimenti siano fatti male, questo elemento dovrebbe emergere almeno narrativamente. Purtroppo non è così: il nostro eroe tiene testa a numerosi nemici addestrati senza faticare particolarmente, salvo poi finire malmenato da un criminale qualsiasi su un camion.
Viene spontaneo chiedersi: ma è stato davvero addestrato a K’Un-Lun, o semplicemente lo hanno trovato e tenuto al sicuro per una quindicina di anni? Il personaggio, inoltre, a volte compie delle acrobazie che, similmente ai combattimenti, risultano davvero squallide. Una su tutte, la scena in cui salta “agilmente” un taxi che stava per investirlo. Palesemente sollevato da una corda poi eliminata nella post-produzione, la scena risalta chiaramente come finta e surreale.
È tutto da buttare?
A questo punto viene da chiedersi: Marvel’s Iron Fist è un prodotto completamente imbarazzante e da buttare? In realtà, no. A parte il grave difetto dei combattimenti, la trama, nonostante tutto, per la maggior parte delle puntate regge, complice forse l’ottima recitazione di alcuni dei personaggi secondari. Alcuni di questi sono veramente degni di essere presenti in un film di gongfu, su tutti la combattente sensuale e velenosa della Mano e il maestro dello stile dell’ubriaco, con cui il quale Iron Fist ingaggia uno dei pochi combattimenti quasi decenti della serie.
È inoltre presente Claire Temple, e il fatto che ci sia Rosario Dawson con la sua convincentissima Night Nurse (ormai praticamente una protagonista, contando la sua complessiva presenza nel totale degli show Marvel Netflix) è sempre un punto a favore.
Conclusioni
Iron Fist non è tanto bocciato, quanto rimandato con forte riserva. Uno di quei rimandati a settembre per un pelo, con il proverbiale calcio nelle natiche. Una serie sulle arti marziali che fallisce in questo, perde il 90% del suo fascino. Qualche bel personaggio e qualche puntata decente non può e non deve sopperire alla mancanza di quello che dovrebbe essere il punto focale e forte della serie: le persone che si menano. Lo show si salva anche e giusto perché è il traghetto che ci porta finalmente ai Difensori (per chi vivesse a K’un Lun: la prossima serie combinata degli eroi Marvel – Netflix). Un progetto ambizioso, dalle altissime aspettative, che però rischia di essere minato dalla presenza di un Iron Fist incapace nel combattimento. Possiamo solo sperare vivamente che le cose saranno migliorate, nel frattempo, per il super-gruppo.
Una postilla finale: in casi come questo, paradossalmente, il fatto che su Netflix si possa vedere tutta una serie in pochi giorni non aiuta. Se diluita in una o due puntate a settimana, alcune cose sarebbero, se non migliori, meglio sopportabili. Ma questa è solo una vaga attenuante, non certo un’assoluzione. Abbiamo avuto la concreta impressione che un’intera serie di 13 puntate da quasi un’ora l’una fosse un’estensione eccessiva per questo Danny Rand, peraltro (e purtroppo) non guascone, simpatico e irriverente come nel fumetto. E come lui, anche la sua serie: altalenante, incoerente, solo a tratti interessante, spesso scadente. Iron Fist si dimostra un colpo malamente mancato del sodalizio Marvel – Netflix. Non possiamo che sperare che il colosso dello streaming impari dai suoi errori e ponga rimedio agli stessi in futuro.