È davvero così importante che Belle sia femminista?

Sapete come è nato il personaggio di Belle, ai tempi della produzione del lungometraggio animato de La Bella e la Bestia?
In un’intervista del 1992 alla sceneggiatrice Linda Woolverton (la stessa di Maleficent), si legge che “dopo le critiche mosse all’uscita de La Sirenetta, la Disney aveva bisogno di qualcuno con una sensibilità femminista per evitare che questo potesse succedere anche con La Bella e la Bestia.”
Ariel, infatti, era stata fortemente criticata per la passività con cui affronta gli eventi di un film a lei intitolato: insensibile alla volontà del padre, si lascia abbindolare dai tranelli di Ursula, mossa dal solito adolescenziale desiderio di avventure e amore al punto di tradire la famiglia.

Ecco allora che la Woolverton si mette al lavoro su Belle immaginandola intelligente e amante della lettura.
Ma questo basta a fare di lei un’icona femminista?

Belle è una delle principesse più controverse del primo periodo Disney, ed è senza dubbio quella che più si discosta dall’idea di “sorridi e sii sottomessa” che ha contraddistinto le sorelle maggiori come Biancaneve, Cenerentola e Aurora (anche se, a discolpa di quest’ultima e del suo risicato 18% di dialoghi all’interno di un film a lei dedicato, la sventurata dorme per una buona metà dell’opera). Merito, come abbiamo già accennato, di una scrittura più attenta alla caratterizzazione della protagonista (la prossima volta che guardate la versione del 1991 fate caso al ricciolo sulla fronte che Belle si sistema più volte nel corso del film: Linda Woolverton ha dichiarato di aver inserito quel particolare nella sceneggiatura per evitare di avere una protagonista troppo “perfetta”), ma anche di una nuova sensibilità, forse impossibile sotto l’egida del caro vecchio Walt, con i suoi traumi irrisolti di mamme morte e figlie femmine.

Gli anni passano per tutti e mezzo lustro dopo, in un superfluo live action, Emma Watson presta il suo volto a Belle, concedendosi persino delle ingerenze nella stesura della sceneggiatura, suggerendo che la ragazza abbia ereditato dal padre la predisposizione per l’invenzione di marchingegni moderni e alla moda, come una lavatrice ante-litteram.

Anche qui, e al contrario di Ariel, Belle è un’eroina che prende delle decisioni, che non si piega alle convenzioni, che vuole più di quello che una piccola cittadina può darle. Per togliere subito di mezzo anche l’argomento della Sindrome di Stoccolma, la teoria non sussiste, in quanto Belle non viene presa in ostaggio, ma si offre volontariamente di restare nel castello al posto del padre e, soprattutto, Belle rifiuta gli atteggiamenti violenti della Bestia, opponendosi al suo invito a cena, proposto con metodi di certo rudi.
Possiamo dire che Belle sia un’icona femminista, nonostante la velocità con cui si innamora della Bestia, per questa sua costante capacità di decidere della sua vita, senza piegarsi a ciò che la società si aspetta da lei. Per la prima volta un personaggio femminile Disney rifiuta le attenzioni di un uomo che la desidera solo per il corpo e ne deride l’intelligenza. Anche la relazione con la Bestia, nata sul gelido terreno della disparità, evolverà in un rapporto paritario, da cui il principe uscirà, ehm, cambiato.

A Belle inoltre, va il premio per la miglior scalata sociale: equivalente disneyano di Julia Roberts in Pretty Woman o di Jamie Lee Curtis in Una Poltrona per Due, la nostra eroina, da umile figlia dell’inventore matto di paese, riesce ad ascendere al dorato Olimpo delle principesse Disney, popolato da eredi di sangue reale o orfane di genitori aristocratici. Volere è potere, insomma, e pur non rientrando nei canoni comportamentali della Francia di un paio di secoli fa, la quinta principessa Disney riuscirà ad ottenere more than this provincial life.

No

Nonostante il titolo, nello sviluppo della storia la Bestia ha un’importanza decisamente maggiore della Bella: è il principe Adam a crescere ed evolversi, suoi i tre atti dell’arco narrativo, suo il momento drammatico, suo il lieto fine. Mentre Belle sogna vaghe avventure e gli amori belli dei suoi romanzi, la Bestia ha un obiettivo: tornare umano.
Vista da questo punto, Belle non è altro che l’oggetto magico in grado di distruggere la maledizione che grava sul castello. Insomma, l’amore tra questi due potrebbe non essere così disinteressato come sembra, e alla fine del film la principessa avrà il suo principe, rinunciando per sempre all’avventura in nome di una relazione che auspichiamo sana e egualitaria. Ma se discettare di dinamiche amorose tra due personaggi immaginari tratti da un cartone animato per bambini può sembrare sterile e inconcludente, una vera grande critica a questo film può essere mossa, non per il personaggio di Belle, ma per la visione distorta che la storia offre della differenza tra donne “degne di essere chiamate tali” e “banali sciacquette”.

Nelle scene iniziali, quelle ambientate nel paesino di Belle, alla divoratrice di libri, socialmente impegnata e geniale, vengono opposte tre bionde procaci, con un make up marcato e una cotta adolescenziale per il prestante Gaston. La diversa considerazione per questi due tipi di donna, la quieta ma intelligente femminista poco interessata alla moda e ai capelli, e le altre, quelle che portano i tacchi alti, quelle che si mettono il rossetto prima di uscire di casa, che a un film di Nolan preferiscono una commedia romantica con Jennifer Aniston e che, non sia mai, magari hanno considerato di non tornare a lavoro dopo la gravidanza, è il vero buco nero che trascina La Bella e la Bestia verso il baratro della disparità. Non di genere, certo, ma qui si parla dell’ancora più grave fenomeno di donne che si sentono migliori di altre donne.

Leggere non fa automaticamente di te una femminista, non volerti sposare non ti rende migliore di qualsiasi altra persona, la parità di genere non si conquista giudicando le donne che agiscono in maniera diversa da te. E questa è l’unica vera lezione che possono insegnarci le principesse Disney.

In fondo, sticazzi

In fondo sticazzi, sì, perché una donna può essere femminista anche facendo la lavatrice, o sposando l’uomo che ama, che sia un principe o un ladruncolo di Agrabah, se porti ombretto e mascara non sei automaticamente una poco di buono che merita di essere stuprata, o di essere apprezzata solo per il tuo aspetto esteriore.
Merida non vuole un marito (e chi lo vorrebbe, a sedici anni?); Rapunzel cercava la sua famiglia e ha trovato la persona perfetta per costruirne una tutta sua; Mulan, che tecnicamente non è una principessa ma fa parte della cricca come quota asiatica, ha salvato la fottutissima Cina dall’invasione degli Unni. Finché hanno rispetto di loro stesse, dei loro sogni e degli altri, tutte le principesse sono femministe, tutte le donne hanno la stessa dignità, nessuna deve essere biasimata, derisa, ma soprattutto dobbiamo smettere di demonizzare le principesse, il rosa, le bambine che giocano con le bambole, le minigonne, il lucidalabbra alla fragola.

Le donne sono forti perché non rinunciano a essere loro stesse, non scimmiottano gli uomini cercando così di eguagliarli, smettiamola di rinunciare a colori, sapori, odori, storie, per paura di essere etichettate come donne femminili. Altrimenti continueremo ad assecondare un mondo che si permette di giudicare una persona dalla copertina. Una cosa che Belle non farebbe mai.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.