Letteratura e leggenda
Tra le figure leggendarie che hanno occupato l’immaginario della letteratura per molti secoli, un posto d’onore spetta senza dubbio a Re Artù. Il re di Camelot è stato al centro di numerose opere letterarie, fumetti e film, ma è soprattutto stato per secoli il grande esempio di cavalleria, coraggio e lealtà ideale per tutti gli uomini d’arme e i sovrani nel corso dei secoli.
La figura di Artù è tanto leggendaria quanto controversa la sua validità storica. Se sia realmente esistito un sovrano di nome Artù, capace di riunire sotto di sé i popoli della Gran Bretagna, è stato a lungo motivo di discussione. Cerchiamo perciò di conoscere la storia così come viene raccontata dalla tradizione, come è stata narrata dai grandi della letteratura e quali prove hanno trovato storici e archeologia a favore e contro la sua esistenza.
Dalla spada nella roccia alla storia del Regno di Bretagna
È difficile ricostruire un’unica storia di Artù. Leggende e tradizioni legate a questo sovrano leggendario si mischiano a riferimenti storici diversi, rendendo quasi impossibile un unico racconto.
La maggiore tradizione legata alla figura di Artù è senza dubbio quella del ciclo Bretone. L’autore che fece la fortuna di questa saga, rielaborandola all’interno del suo Historia Regum Britanniae fu Goffredo di Monmouth. Lo storico fu autore anche di un Vitae Merlini in cui venivano riunite e codificate le principali fonti legate alla figura di Artù. Si tratta di opere risalenti al XII secolo (gli storici della letteratura le datano intorno al 1133-1138) da cui possiamo ricostruire l’intera vicenda dell’uomo, dall’ascesa di suo padre Uther Pendragon fino alla sua morte, attraverso il personaggio di Merlino prima e di Artù stesso poi. L’intera vita del sovrano leggendario viene poi narrata da Thomas Malory in “La morte di re Artù”, un’opera in ventuno libri dove si uniscono anche le storie di Ginevra, Lancillotto, Tristano e Isotta.
Il futuro re sarebbe stato concepito a Titangel, nel bel mezzo della guerra che infuriava tra re Uther e il suo vassallo, il duca di Cornovaglia Gorlois. Il sovrano, dopo aver pacificato e riunito sotto di sé i re di tutta la Bretagna, si innamorò perdutamente della moglie dell’alleato, la bellissima Ygraine.
Le storie narrano di Uther come un uomo volitivo, spesso violento e disposto a tutto pur di ottenere ciò che desiderava. Folle di lussuria, decise di stringere un patto con Merlino: il mago avrebbe fatto assumere al re l’aspetto del suo rivale per poter passare una notte d’amore con Ygraine; in cambio avrebbe avuto il figlio nato da quell’unione adulterina.
Merlino avrebbe portato il bambino distante dalla guerra che infuriava, affidandolo alle cure di un altro dei vassalli di Uther, Ector. Il piccolo sarebbe cresciuto felice, inconsapevole del suo retaggio come fratello minore di Kay, fino al giorno di un torneo d’armi in cui il ragazzo avrebbe preso parte facendo da scudiero al fratello adottivo.
Qui la sua vita sarebbe cambiata per sempre: dopo aver perso la spada del fratello, ne vide davanti alla cattedrale una incastonata nella roccia. Artù, senza pensare, riuscì ad estrarla, prendendola per portarla al fratello Kay il quale, tra lo stupore generale, la identificò come la Spada nella Roccia. A quel punto i nobili convenuti per il torneo riconobbero il ragazzo come figlio di Uther Pendragon, eleggendolo re della Bretagna.
Il tema della spada confitta in un luogo che ne rendeva impossibile l’estrazione è caro a molte tradizione cavalleresche e nordiche. Ad esempio Balmung, spada di Sigfrido, che Odino aveva conficcato in un ceppo di legno da cui nessuno era stato in grado di estrarla. Questo topos letterario è utile a dare luce a un prescelto all’interno della saga, tradizione che verrà ripresa anche da Tolkien per il Signore degli Anelli (sia per Aragorn, unico a poter portare i frammenti di Narsil, che per Frodo, a cui Bilbo concederà Pungolo solo dopo averla inchiodata in una trave). Una curiosità: in Italia, per la precisione in Toscana, esiste una spada nella roccia; si trova vicino all’abbazia di San Galgano ed è meta di numerosi curiosi e turisti.
In questo senso si è discusso molto se questa spada fosse anche la leggendaria Excalibur: le tradizioni più recenti (secoli XIV e XV) distinguono le due spade. Quella conficcata nella roccia, dovrebbe essere stata di Uther Pendragon, lama che solo il suo vero erede sarebbe stato capace di estrarre.
La guerra tra Uther e Gorlois aveva indebolito il regno di Bretagna al punto da farlo cadere alla mercé delle invasioni di barbari provenienti da ogni dove: da nord premevano i sassoni, da sud i romani. Per Artù iniziò così un lungo periodo di lotte, durante il quale si vide costretto non solo a combattere gli invasori, ma anche tutti quei vassalli del padre che non lo avevano riconosciuto come re e si erano a loro volta nominati sovrani.
In una di queste battaglie, contro l’autoproclamatosi re Pellinor, il giovane sovrano avrebbe perso la spada paterna. Merlino lo condusse allora presso la Dama del Lago, la quale gli donò la celeberrima Excalibur, la spada leggendaria capace di tagliare qualsiasi cosa. Sarebbe questo lo stesso periodo in cui Artù, dopo aver pacificato l’intera Bretagna Maggiore, avrebbe posto la sua corte a Camelot e contratto matrimonio con Ginevra, figlia del re rivale Leodegrance, al fine di porre fine a tutte le guerre sull’Isola. Come ulteriore dote, il padre della ragazza avrebbe donato ad Artù la Tavola Rotonda, attorno alla quale il sovrano avrebbe fatto riunire i suoi cavalieri più fidati.
Da Malory veniamo a conoscenza del rigido codice morale a cui i Cavalieri dovevano attenersi:
Evitare ogni inganno, sia contro gli amici che contro i nemici.
Mai oltraggiare o compiere omicidio
Non lasciarsi andare alla crudeltà e concedere pietà a chi la chiede.
Soccorrere sempre le dame e le vedove e non abusare mai di loro.
Non ingaggiare battaglia per futili motivi, quali lussuria e beni materiali.
Le figure che popolavano la Tavola Rotonda erano molte e disparate: oltre ad Artù e Merlino, in qualità di suo fidato consigliere, c’erano il fratello e il padre adottivo, Kay (Caio) ed Ector; il più forte e nobile dei cavalieri, Gawayn; il giovane Parsifal, destinato a ritrovare il Santo Graal e a cui era destinato il posto nel Seggio Periglioso; e – naturalmente – Lancillotto.
Lancillotto del Lago era figlio di re Ban, cresciuto dalla misteriosa Dama del Lago nel suo regno. Raggiunta la maggiore età ottenne la possibilità di unirsi ai cavalieri di Artù, diventandone presto il migliore amico e confidente, eclissando in fatto di coraggio e virtù tutti gli altri cavalieri.
Il personaggio è tardo e non appare nelle leggende originali. Il primo a farne protagonista di un racconto fu Chrétien de Troyes, il quale narra delle sue imprese per salvare Ginevra, rapita dal traditore Meleagant. In questa occasione nacque anche la passione tra i due amanti, tale da portare alla rovina di Camelot e alla caduta di Artù.
Le tradizioni si dividono: alcune storie vorrebbero che, alla scoperta del tradimento, Artù abbia cacciato Lancillotto, cadendo in uno stato di deliquio da cui sarebbe riuscito a curarsi solo grazie al ritrovamento del Santo Graal da parte di Parsifal. Altri racconti vedono il re condannare al rogo la propria consorte come adultera, atto che provocherà un assalto disperato di Lancillotto al comando dei propri soldati, portando alla morte di gran parte dei Cavalieri della Tavola Rotonda. È l’inizio della fine del Camelot, su questo sono tutti concordi, ma come sia giunta questa fine è anche questa una storia che varia da autore ad autore.
Prendendo per buona la narrazione di Malory, Artù sarebbe partito per dare la caccia a Lancillotto. Per fare ciò, il sovrano avrebbe lasciato la reggenza in mano a Mordred, per alcuni nipote del re, per altri il suo bastardo nato dall’incesto inconsapevole orchestrato dalla sorellastra, Morgana.
Mordred avrebbe portato il regno di Camelot alla rovina, alleandosi con i Sassoni, scacciati da Artù, e lasciando il regno esposto alle invasioni dei romani. Artù, tornato in patria, avrebbe affrontato Mordred in un ultimo duello disperato. Mortalmente ferito, il nostro re riuscì comunque a sferrare un ultimo fendente contro l’avversario, squarciandogli il petto. Dante Alighieri, nel XXXII canto dell’Inferno, racconta che Mordred è dannato nel Cocito come traditore dei parenti e che, alla fine della battaglia con Artù, il taglio nel petto causatogli da Excalibur sarebbe stato tale da spezzare anche la sua ombra, proiettando un raggio di luce attraverso il suo corpo.
Artù, dopo lo scontro, sarebbe stato condotto dalla Dama del Lago ad Avalon, un luogo in cui avrebbe potuto riposare in attesa della fine, entrando per sempre a far parte delle leggende bretoni.
Il mito e la storia: è realmente esistito re Artù?
La maggior parte degli storici è concorde nel ritenere tutte le leggende narrate nel mito bretone appunto come tali: semplici racconti che nulla hanno a che vedere con la storia del regno di Bretagna.
Tuttavia è interessante cercare di notare i possibili riferimenti storici a eventi e tradizioni che avevano preso corpo nella Bretagna Maggiore, come i romani chiamavano l’attuale isola cuore del Regno Unito, appena abbandonata dalle legioni perché troppo periferica per poter essere difesa in un periodo di invasioni e tumulti come quello del secolo V dopo Cristo.
In primo luogo è bene considerare il nome stesso di Artù: oltre a svariate varianti del nome che potrebbero far coincidere la sua figura con uno a più possibili soggetti (Arthnou di Cornovaglia, Athrwys del Gwent ecc.), potremmo non trovarci davanti non tanto a un nome quanto a un titolo.
Artù potrebbe derivare da artos, ovvero orso in alcune delle lingue celtiche tipiche delle isole britanniche. L’origine della parola è comunque antica, e presenta somiglianze sia col greco ἄρκτος (arkatos) che col latino ursus. Si ricollegherebbe alla tradizione di molti popoli indigeni di utilizzare nomi rituali legati alle virtù guerriere di un comandante. Lo stesso nome del padre di Artù, Uther Pendragon, sembra richiamare bene quello di un guerriero dotato di grande carisma, capace di combattere come un dragone (testa di drago). Allo stesso modo, il nome Artù indica un guerriero con caratteristiche simili a quelle di un orso.
Sotto questo punto di vista, quindi, Artù non sarebbe un nome, ma un titolo rituale, un soprannome che quindi potrebbe adattarsi a qualsiasi sovrano della Gran Bretagna (per vicinanza di tradizioni non sarebbe da escludere, a questo punto, nemmeno la così detta Bretagna Minore, la penisola francese che i romani chiamavano Armorica).
A questo punto i “candidati” al ruolo di Artù diventano decine. Per primi possiamo pensare ai condottieri romani, in quanto si tratta sicuramente delle figure più adatte a ricoprire un ruolo di capo. Basti pensare al lungo addestramento e alla capacità di aggregazione che dovevano avere i comandanti, oltre al carisma che poteva portare con sé il titolo di comandante dell’esercito imperiale. Tra i possibili Artù possiamo pensare a Germano di Auxerre, comandante romano rimasto nell’isola dopo che l’Impero decise di abbandonarla; oppure Ambrosio Aureliano, anch’egli romano che guidò un contingente di soldati che rifiutò di abbandonare l’isola, poiché sposati con donne del luogo. In questo senso i romani vengono visti prima come salvatori, in quanto ultimo argine alle invasioni dei popoli dell’estremo nord, i Pitti e gli Scoti, che premevano oltre il vallo di Adriano; e, successivamente, come una minaccia, forse legata a qualche tentativo di punire quei soldati rimasti accanto alle consorti bretoni, ora visti come disertori dall’Impero.
Nel filone di tradizione “celtica” abbiamo altri condottieri che, per contro, potrebbero essersi opposti ai romani. Eroi, quindi, di una guerra di liberazione da un invasore che aveva governato l’isola per quasi cinque secoli. Uno potrebbe essere Riotamo, un re dei britanni che si scontrò con i bizantini, quindi con quelli che all’epoca erano considerati a tutti gli effetti dei romani.
E, infine, non è da escludere la possibilità che Artù stesso fosse un barbaro del nord, quindi un signore della guerra proveniente dall’attuale Scozia, Artuir mac Áedán, che avrebbe valicato il Vallo di Adriano alla scomparsa delle truppe romane.
L’ipotesi più probabile, quindi, è che Artù sia la summa di diversi personaggi storici, più o meno noti, e che tutte le leggende della sua vita derivino da quelle di altri condottieri più oscuri, persi tra le nebbie della storia.
Altra cosa da considerare è il periodo storico. Si è oggi concordi nel collocare le imprese di Artù e dei suoi cavalieri in un contesto alto medievale o, addirittura, tardo antico. A questo proposito una mano ci viene fornita dalla tradizione stessa: Artù, nel corso degli anni, avrebbe dovuto affrontare i vari re della Bretagna Maggiore, numerose tribù barbare provenienti dal nord dell’isola, le invasioni dei sassoni e quelle dei romani da sud.
Sui vari re britannici potremmo aprire un articolo a parte: dopo l’abbandono dei romani, l’isola si ritrovò priva di un potere centrale forte e iniziarono a sorgere numerosi stati governati da reggenti di diversa provenienza. Potrebbe però anche riferirsi all’Eptarchia, un periodo storico documentato che va dal 480 al 850 d.C.
Sui barbari del nord, quando si parla di isole britanniche, ne abbiamo in abbondanza: si potrebbe parlare dei già citati Scoti e Pitti, che ripresero a devastare l’isola appena le istituzioni romane abbandonarono la Britannia. Le recrudescenze delle loro invasioni non ebbero mai realmente fine e sacche di popolazioni selvagge rimasero presenti per tutto il periodo preso in considerazione, anche il momento di maggiore violenza fu senza subbio il secolo V.
Quanto ai sassoni anche qui vi è un abbondanza di fonti tali da poter essere persino troppe ai fini della determinazione di un periodo storico preciso. Le prime testimonianze di una confederazione di sassoni sono dei secoli III e IV. Da allora abbiamo avuto diverse loro invasioni, ma in Britannia si concentrarono soprattutto nel secoloV.
Infine i romani: anche qui abbiamo tre periodo storici possibili per collocare la storia di Artù, riferibili a tre diversi tipi di “romani”. In primo luogo potrebbe trattarsi degli ultimi strascichi dell’Impero, quindi collocarsi, come visto, nel 400 d.C circa; si potrebbe trattare dei Bizantini, perciò in un periodo attorno al secolo VI, ma le prove di possibili arrivi di Bizantini in Britannia sono pressoché nulle; infine potrebbe trattarsi dei Carolingi, quindi in un periodo successivo alla fondazione del Sacro Romano Impero.
Alla luce di tutto questo, il periodo storico più probabile diventa il secolo V circa.
L’ultimo dubbio relativo alla storicità di Artù è dato dal luogo della vicenda: è quasi impossibile determinare quale sia la collocazione di Camelot e delle battaglie di Artù. Sono stati proposti diversi luoghi della Gran Bretagna, che vanno dal Galles alla Scozia.
I due più importanti sembrano essere comunque la foce del fiume Cam, che si divide in “Est Cam” e “West Cam”, dove potrebbe essere sorto il luogo identificato con Camelot e l’abbazia di Glastonbury, uno dei additati come sacello del Graal e da molti considerato il leggendario luogo di sepoltura di Artù, Avalon.
Pur non trattandosi di un’isola, nelle vicinanze dell’abbazia troviamo il Glastonbury Tor, circondato da colline che, nelle giornate di nebbia, fanno apparire l’intero luogo come se fosse attorniato da uno specchio d’acqua. Ed è qui che una tradizione ormai radicata colloca la presunta tomba di Artù e Ginevra.
Quale che siano i luoghi, la storia e chiunque sia stato Artù una sola cosa è certa: la sua figura e le sue imprese resteranno per sempre un ideale di cavalleria, nobiltà d’animo e lealtà per tutti coloro che continueranno a far rivivere la sua figura tramite libri e film.