Gli schermi a cristalli liquidi non sono affatto una tecnologia superata. LCD è un termine che utilizziamo tutt’ora per indicare di fatto, la “stessa cosa”, e la tecnologia che ne sta alla base, ha subito evoluzioni non da poco da quando nel 1965, un certo George Heilmeier inventò lo primo schermo di questo tipo. Chi ha almeno una trentina di anni però, come me, potrebbe associare la parola schermo a cristalli liquidi ad un periodo antecedente rispetto a quando l’espressione si trasformò nella più comune e banale sigla LCD. Infatti ricordo benissimo come una volta questa parola si collegava a tutta una serie di roba tecnologica più o meno evoluta che, per puro spirito nostalgico, ho deciso oggi di rievocare, in una serie di ricordi più o meno sconclusionati e in ordine rigorosamente casuale. Perché? Ma perché dai, ammettiamolo, ci stanno evidentissime icone degli anni ’80 e ’90 dell’oggettistica nerdica che innegabilmente sovvengono a tutti noi quando pensiamo ai mitici schermi a cristalli liquidi nella loro versione “primitiva”. A proposito, ma vi siete mai chiesti come nasceva la magia di questi “prodigiosi pannelli” elettronici? Io l’ho scoperto solo ora spinto dalla curiosità… quando si dice “meglio tardi che mai”, no? Lungi da me snocciolarvi lunghi tecnicismi in questa sede in cui l’emotività e gli svarioni del mio cervello la fanno da padrona, ma vi basti sapere che ci sta veramente un liquido inserito tra due vetri pieni di contatti elettrici, wow! Chi l’avrebbe mai detto?! Ok la parte tecnica finisce qui (e per i miei standard è fin troppo tecnica), se proprio volete saperne di più date un occhiata allo schemino qui accanto o andate su Wikipedia!
Per me la parola cristalli liquidi si associa a quegli “schermetti” monocromatici di mille oggetti usciti a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, con quei bei blocchettoni e sprite neri, nitidi, marcati, che se eri un bimbo (a)normale ti chiedevi… Ma da dove escono? Come si muovono?
In primis gli orologi: cosi in voga e alla moda per noi ragazzetti con il giubbino di jeans. Il quadrante elettronico digitale era veramente super cool un paio di decenni fa, e io da bravo ex nerd in miniatura, ricordo un modello particolare che mi sembrava all’epoca l’orologio più figo di tutti i tempi, altro che Apple Watch! Parlo del mitico Casio Cosmo-Flight Watch, uscito nel 1985, un orologio e allo stesso tempo un fantastico (si fa per dire ovviamente) gioco di battaglie aeree tra veloci Jet (o qualcosa del genere). Ragazzi, 1985! Come non sbalordirsi e non volerne uno! Sicuramente uno degli utilizzi più all’avanguardia che ricordo dei mitici schermetti grigi e neri. Ma ovviamente i cristalli liquidi rendevano cosi “moderni” tutta una serie di elettrodomestici dell’epoca che è impossibile non ricordare la miriade di orologi digitali, sveglie, calcolatrici, videogiochi portatili e display di qualsiasi ritrovato elettronico dell’epoca.
Come non citare il periodo in cui orologi e calcolatrici uscivano in regalo dai fusti di detersivo Dash. Con il senno di poi, c’è da dire che una volta le aziende erano davvero generose per regalarti questi dignitosissimi strumenti elettronici. Di quarta categoria certo, ma perfettamente funzionanti. Davvero altri tempi! E nell’ambito videoludico? Beh prima che gli LCD degli albori si evolvessero in qualcosa che ospitasse una tecnologia ben più avanzata di quella che stiamo rievocando oggi già a partire da console come il Game Boy o che so, l’Atari Lynks del 1989, ci fu l’intuizione di Gunpei Yokoi.
Egli infatti nel 1980 ebbe la geniale idea di applicare la tecnologia dei cristalli liquidi ai videogiochi tascabili. Il primo fu Ball ma come sappiamo, tantissimi ne seguirono, e non solo da parte di Nintendo. Dio solo sa quanti GIG Tiger sono stati prodotti negli anni. In realtà, li ricordo come prodotti davvero…ingenui, soprattutto quelli che (praticamente il 99%) richiamavano licenze altisonanti di altri videogame o film.
Ridurre tutto lo spirito e la profondità di uno Street Fighter II o di una pellicola come Robocop a quattro sprite malfatti semi animati tutti rinchiusi nel minuscolo perimetro dello schermo… era un pochino avvilente, ma forse stava pure li il loro “fascino” cosi kitsch. Ricordo che premendo con un dito lo schermo (senza sfondarlo possibilmente) era possibile, non so in base a quale reazione, intravedere tutti gli sprite esistenti all’interno dell’area (che era un background rigorosamente fisso). Esistevano anche i Tiger Watch, che facevano sembrare la controparte portatile splendida al confronto (il che è tutto dire). E poi niente, ci fu la “via di mezzo” tra i cristalli liquidi primordiali e quelli “moderni”, sdoganata con il Game Boy ma ancora cosi “terra terra” da essere etichettata nel mio cervello con la dicitura originale. Parlo di roba almeno composta da quattro pixel e non insulsissimi sprite preconfezionati. Personalmente in questa categoria infilo due grossi esponenti come illustri rappresentanti. Il primo sono gli insopportabili Tamagochi, nati nel 1996. Ve li ricordate? Gli animaletti virtuali da curare? Ahhh che bei ricordi, quanti ne ho ammazzati con gusto alle mie amichette..
Le animazioni “macabre” della morte dei cuccioli fecero insorgere molte polemiche, salvo poi scoprire che queste appartenevano ai tarocchi del Tamagochi e non all’originale che invece mostrava solo un angioletto volante quando il gattino/cagnolino tirava le cuoia. Mille bambini in lacrime, svenuti e in catalessi per colpa della scioccante possibilità di far morire il proprio animaletto, oltre ad etichettare il giochino come anti educativo, a posteriori ci ricordano come i bambini dell’epoca non è che fossero tanto più svegli di quelli di oggi..
E infine, rullo di tamburi, la mitica PocketStation, classe 1999, è il più recente portatore di cristalli liquidi “old school version” che io ricordi! Già super anacronistica per l’epoca in cui uscì, fu l’ultimo ricordo che ho di un’interazione con due tasti, due colori e due animazioni. La periferica più sotto sfruttata della storia, annovera tra i suoi picchi di qualità raggiunta i mini giochi features esclusive delle versioni giapponesi dei giochi per PSX Le Bizzarre Avventure di Jojo e Street Fighter Zero 3, sempre che di “qualità” vogliamo parlare si intende.
Nelle perverse associazioni nerdiche storico nostalgiche del mio subconscio, la definizione di “schermo a cristalli liquidi” muore qui, e tutto il resto è l’universo dei colori, dei contrasti, delle retroilluminazioni… della roba bella e moderna insomma. E poco importa se la tecnologia alla base è sempre la stessa e quasi quasi pure la terminologia, “schermo a cristalli liquidi” È vintage! Punto!
Al prossimo svarione amarcord.