Non solo scrivere
La maggior parte della gente pensa che fare lo scrittore voglia dire essenzialmente scrivere. In realtà non è così. Quello dello scrivere è solo l’atto finale di una lunga catena di azioni che partono da un’idea fino a trovare la loro conclusione nell’espressione scritta. In mezzo c’è molto, e questo non vale solo per i saggi, dove la ricerca è fisiologica al trattato, ma anche per i romanzi.
Abbiamo visto che le componenti essenziali di un romanzo sono due: i personaggi e la storia. Si tratta di componenti separate, in un certo senso indipendenti. Si potrebbe pensare che i personaggi siano funzionali alla storia o viceversa, e in effetti spesso è così, ma come nella vita ciò che ci accade non dipende sempre da come siamo fatti o da come ci comportiamo, così personaggi e storia possono avere due genesi separate, anche se poi è importante costruire delle sinergie fra di loro.
Ogni personaggio, infatti, è plasmato dalla sua storia personale e non da quella in cui si viene a trovare nella trama del libro. Dietro a ogni singolo individuo che abbia una certa rilevanza, in effetti, c’è un’intera vita. Per questo è importante, quando si costruisce un personaggio, farlo a partire da quella vita e non dalle esigenze specifiche del romanzo che dovrà condividere con altri personaggi.
Ogni figura, per quanto folle, ha infatti una sua coerenza e persino nella sua follia ci deve sempre essere una ragione per le sue azioni, magari nascosta nella sua infanzia o in una storia precedente e mai raccontata. Spesso questa storia la sa solo l’autore e non verrà mai riportata nel romanzo; altre volte sarà intuibile da pochi cenni sparsi qua e là; altre volte ancora, magari, sarà svelata in un certo momento della trama. In ogni caso essa esiste e quindi va costruita, e quale posto migliore per scovarla se non dalla realtà?
Non importa infatti se la nostra è una storia ambientata al giorno d’oggi in una città moderna, ovvero che sia realistica, oppure racconti di un mondo immaginario, in cui specie aliene o razze fantastiche vivono avventure semplicemente impossibili. Chiunque sia il nostro personaggio, gli ingredienti essenziali a costruirlo esistono già e sono intorno a noi.
Lo stesso vale per la storia, per le situazioni che si vengono a creare, persino per i dialoghi. Uno scrittore è una spugna che assorbe tutto ciò che lo circonda, che ruba tutto ciò che può rubare, soprattutto dal mondo in cui vive, ma anche da altri che hanno scritto prima di lui. Se a scuola copiare è peccato, nel mondo della scrittura è un segno di umiltà e rispetto per chi ci ha preceduto e ispirato. Non c’è scrittore, per quanto famoso, che non si sia rifatto a qualcuno che abbia letto in precedenza. Non sto parlando di plagio, ovviamente, ma di ispirazione, di modelli.
La fonte maggiore di ispirazione, tuttavia, resta sempre la realtà. Per questo, su tot ore che possono essere necessarie per scrivere un romanzo, spesso solo il 40% spesso è legato allo scrivere vero e proprio, il resto è ricerca. Ricerca vuol dire tante cose, ovviamente. Ad esempio, fare dei sopralluoghi nelle località in cui è ambientato il romanzo o, nel caso di luoghi immaginari, in posti simili; oppure leggere saggi, trattati, biografie, per acquisire specifiche conoscenze di una certa materia.
La forma di ricerca più interessante, tuttavia, consiste nel parlare con le persone. Come parla un contadino? Non sto riferendomi solo al linguaggio, magari dialettale o sgrammaticato, ma al modo in cui parla, a come si riferisce alle cose e alle persone che ama, che metafore usa, come si emoziona, come si arrabbia. Piuttosto che costruirlo, un personaggio, andatelo a cercare nella vita reale. Magari non lo troverete esattamente come l’avete pensato, ma un pezzetto in una persona, un altro in un’altra, sarete in grado di costruirlo come desiderate.
Stessa cosa per le ambientazioni: viaggiate, visitate luoghi ed edifici di ogni genere e, se proprio non avete il tempo o i soldi per farlo, usate la rete: andate a vedere quante più foto possibili dei luoghi di riferimento per la vostra storia, leggete i diari dei viaggiatori, usate Google Street per camminare nelle strade di città lontane, studiare l’architettura degli edifici, l’abbigliamento dei nativi, i colori dei negozi e delle vetrine. E anche qui, fate domande agli amici che sono stati in altri Paesi e città. Certo, non sarà la stessa cosa che essere lì, ma sarà comunque di aiuto.
Se poi potete davvero partire e recarvi in quei luoghi, allora non limitatevi a osservare: chiudete gli occhi e ascoltate i suoni, annusate gli odori, sentite le emozioni che l’essere lì vi scatena. Il caldo, il freddo, il sole sulla pelle o l’umidità che vi entra nelle ossa: quello che provate voi, lo proveranno anche i vostri protagonisti. Una storia è fatta di emozioni e le emozioni si possono raccontare solo se si provano. Uno scrittore ride, piange, si arrabbia, ama e odia, quando scrive un libro, e se non riesce a provare qualcosa perché troppo distante dal suo vissuto, entra in contatto con chi ha avuto quelle esperienze e assorbe quanto più possibile dalle sue parole, persino dal tono della voce e dalle espressioni.
Alcuni scrittori scrivono solo in modo autobiografico, ma questo ovviamente è limitante e comunque troppo centrato sul protagonista. Il problema più grande è sviluppare più punti di vista, uno per ognuno dei personaggi principali, e non tanto perché la storia sarà raccontata da tutte queste prospettive — quello dipenderà dallo stile narrativo scelto — quanto perché ogni figura dovrà muoversi e parlare coerentemente col suo punto di vista.
Facciamo qualche esempio pratico: le scene di sesso. Fermo restando che, a meno di non scrivere un romanzo erotico, una scena di sesso deve comunque essere funzionale alla storia e non posizionata lì solo come riempitivo o specchietto per le allodole per il lettore, descrivere un atto sessuale è tutt’altro che banale. Il motivo è semplice: la maggior parte del sesso non lo si fa col corpo ma con la mente. Un atto sessuale è un crogiolo di emozioni e sensazioni che tra l’altro possono essere estremamente diverse per i vari partecipanti. Inoltre ognuno fa sesso in un certo modo, incluso chi sta scrivendo la storia, ma la domanda da farci è: come fanno davvero sesso i nostri personaggi? Perché anche questo atto deve essere coerente con il carattere del personaggio. È timido, ha ansie di prestazione, pensa di dover simulare, di non essere all’altezza? Inoltre anche la storia fa la sua parte: ama la persona con cui sta facendo sesso o no? Ha altri scopi?
Consideriamo uno scrittore uomo, eterosessuale, sulla quarantina, che non ha mai fatto sesso orale, ad esempio. In che modo descriverà il sesso fra due adolescenti in cerca di piaceri proibiti e piccole perversioni? E se il rapporto è a tre? E se è omosessuale? Se è fra due lesbiche? Qui non si tratta solo di descrivere l’atto in sé, ma le emozioni provate dalle persone in gioco, coerentemente con la loro identità, il modo in cui vedono sé stesse e l’altra persona. Non è possibile farlo senza entrare in contatto con persone che corrispondono a questi profili.
Un buon scrittore parla con tutti di tutto, senza limiti, tabù o imbarazzi. Non deve accettare o condividere, ma capire. Non importa quanto diverso sia un comportamento o quanto differenti siano i valori della persona con la quale si confronta. L’obiettivo non è giudicarla, ma trasferirne alcuni aspetti all’interno di un proprio personaggio in modo che sia quanto più realistico possibile.
Il meccanismo è simile a quello di un buon investigatore che cerca di entrare nella testa di un assassino seriale. Solo imparando a pensare come il criminale che sta cercando, sarà possibile per lui catturarlo.
Ovviamente può tornare utile sfruttare al massimo qualsiasi strumento oggi ci fornisca la tecnologia. Per esempio, se l’obiettivo è acquisire il modo di parlare di qualcuno, allora non basta ascoltarlo ma bisogna registrarlo, in modo da poter poi riascoltare più volte la conversazione avuta, per arrivare a catturare ogni singolo dettaglio, inflessione, sfumatura. Analogamente, se state facendo un sopralluogo, portatevi una macchina fotografica o ancora meglio una videocamera. Non fidatevi solo della vostra memoria. E poi un taccuino o degli appunti vocali: registrate le emozioni che provate, i suoni che sentite in lontananza, gli odori, le sensazioni che vi scatena la luce del sole o il chiarore della luna, il freddo o il caldo, l’umidità. Muovetevi, magari vestito come il vostro personaggio: vi sentite impacciati, avete male ai piedi, si appannano gli occhiali? Ogni dettaglio conta, anche se poi non è detto che lo userete.
In effetti, se 100 è il materiale che avete raccolto, probabilmente ne userete meno di 20 nel vostro romanzo ma potrete decidere quale 20 solo se avete una scelta di 100, e lo farete probabilmente all’ultimo momento, solo nell’atto di scrivere.
Spesso basta semplicemente avere con sé un buon smartphone con un certo numero di app. Un cellulare vi permetterà di scattare foto, fare video, registrare suoni e voci, prendere appunti, scansionare documenti e persino rilevare tempi e distanze su determinati percorsi. Sapere quanto tempo ci vuole a fare un viaggio a piedi o a cavallo, su strada o su sterrato, in mezzo a una foresta o sulle montagne è essenziale per dare credibilità a una storia. A volte, solo per poter dire “un’ora dopo si ritrovò finalmente sul crinale della montagna”, può richiedere giorni di studi o più semplicemente il recarsi sul posto e percorrere davvero quel tragitto. Poi, bisogna saperlo attualizzare: il nostro protagonista era ferito? Stava procedendo al buio? Era nel fiore degli anni oppure vecchio e stanco? Aveva paura? Era sicuro di sé? Aveva già fatto quel percorso in precedenza? Fuggiva da qualcuno? Ogni elemento modifica il risultato finale.
Ma dove vanno a finire tutti questi dati? Sostanzialmente in fogli elettronici. È il sistema migliore: lavorare con tabelle. Tabelle dei tempi e delle distanze, calendari degli avvenimenti, schede dei personaggi e dei luoghi. Sono tutte tabelle, sinossi, mappe, profili.
Non è solo una questione di fare ordine: un libro può richiedere anni per essere scritto. Magari lo si inizia e poi, per veri motivi, ci si ferma e lo si riprende uno o due anni dopo. Come fare a riagganciare in modo fluido la storia, rientrare nel racconto, evitare soluzioni di continuità nel comportamento dei protagonisti? Semplice: per ogni pagina di storia si devono avere almeno tre volte tanto dati e informazioni, il tutto raccolto in brogliacci, tabelle e mappe. Usate la grafica, utilizzate i colori, cercate di essere il più pignoli e precisi possibili. Un romanzo ha il suo scheletro a sostenerlo, solo che questo scheletro poi scompare nel prodotto finito, ma è stato necessario per scriverlo. Dati, foto, registrazioni, appunti, saggi, trattati e manuali di ogni genere: tutto ciò forma quell’impalcatura che poi lo scrittore riveste con la sua creatività.
Quindi, di quali strumenti ha bisogno uno scrittore? Innanzi tutto di un brogliaccio, ovvero un posto in cui inserire qualsiasi idea gli viene: scene, dialoghi, situazioni, personaggi. Diciamo che basta un file di testo, ma esistono applicazioni che permettono di strutturare meglio i propri appunti. Poi magari molto di questo materiale non sarà usato o sarà utilizzato in modo differente o posizionato in un punto della storia diverso da quello ipotizzato all’inizio, ma almeno non si perde nulla.
Poi una serie di schede per i personaggi principali, molto dettagliate, che descrivono l’aspetto e i modi del personaggio e riportano una sintesi della sua storia personale: chi erano i genitori, dove ha vissuto, se ha figli, amanti, amicizie, cosa gli piace e cosa detesta, cosa sa fare e in cosa è del tutto imbranato.
Terzo elemento, un calendario, ovvero una cronologia della storia e spesso anche dei fatti che l’hanno preceduta. Un buon calendario serve anche a sincronizzare bene più trame che si intrecciano nello stesso romanzo, a gestire eventi trasversali o a posizionare cronologicamente il romanzo se ambientato in un periodo storico ben preciso.
Quarto, un album di foto con le ambientazioni scelte: esterni, interni, edifici, paesaggi, città, magari scattate sia di notte che di giorno, o comunque in periodi diversi della giornata e dell’anno.
In alcuni casi può anche essere utile avere delle tabelle che permettano di calcolare tempi e distanze degli spostamenti o contenere altri dati che potrebbero tornare utili nel rendere le ambientazioni più realistiche: clima, temperatura, costumi locali, festività, valute, unità di misura. Inoltre spesso un piccolo atlante con cartine, mappe di territori e città, oppure piante di edifici e appartamenti, può tornare utile.
Ad esempio, se state scrivendo un giallo ambientato in una grande villa, stile Agatha Christie, avere la pianta dei vari piani della villa e del terreno circostante può essere utile per posizionare i vari personaggi in momenti diversi della storia. Dov’era Miss Jones mentre il Capitano entrava nel salotto dove il Dottor Bubble e Sarah Mint stavano giocando a canasta con George e Lisa Middletown?
Se nella storia ci sono poi personaggi che parlano altre lingue o che sono di altri Paesi, avere dei dizionari a disposizione può tornare utile. Anche se nei dialoghi queste persone dovessero parlare la stessa lingua del romanzo, potrebbero lasciarsi sfuggire ogni tanto delle parole nella loro lingua o tradurre alla lettera loro modi di dire che non hanno un equivalente nella nostra. Quando siete al ristorante o per strada, ascoltate i turisti interagire con gli abitanti della città. Le frasi sono diverse da quelle che diremmo noi, spezzate in modo differente, intramezzate da termini della loro lingua, grammaticalmente errate. Memorizzate tutto ciò e riusatelo alla bisogna. Stessa cosa per i dialetti, i modi di dire, gli intercalari.
Qualunque sia lo stile usato per il romanzo, c’è infatti il problema di come rendere i dialoghi. La lingua parlata è molto diversa da quella scritta, quindi non solo non dovete usare lo stesso stile per il testo e per i dialoghi, ma dovete dare a ogni personaggio una propria caratterizzazione nel parlare. Inventarla da zero è alquanto complesso, quindi registrate le persone quando parlano. Analizzate le pause, le interiezioni, gli errori grammaticali più comuni. Le persone spesso non concludono una frase oppure iniziano in un modo e continuano in un altro. Inoltre mentre parlano fanno altre cose: non scrivete un dialogo costituito solo di una sequenza di frasi, di botta e risposta. Interrompetelo con la descrizione di azioni: alzarsi, sedersi, girare la testa, sorridere, accendersi una sigaretta, chiudere una porta, versarsi da bere. Servirà a rendere meno monotono il dialogo, a dare vita alla scena e aggiungerà informazione per il lettore tramite la descrizione della comunicazione non verbale. Anche qui, osservate, studiate.
Un bravo scrittore studia ovunque e comunque: quando aspetta l’autobus alla fermata, in una sala d’aspetto di un dottore, al ristorante, dal benzinaio. Osservate la gente, ascoltatela anche nelle conversazioni più banali, studiatene i volti, le espressioni e poi riportate in una serie di documenti tutto quel calderone di dati e informazioni da cui attingere alla bisogna.
Ricordatevi tuttavia che, quando li utilizzerete, non dovrete semplicemente riportarli nel romanzo così come sono ma li dovrete cucire con pensieri, emozioni, sentimenti. Un romanzo è un complesso lavoro in cui la creatività e la realtà si fondono a costruire qualcosa di unico, di speciale, che dovrà tenere il vostro lettore incollato alle pagine del libro che avete scritto. Un romanzo è musica, ha i suoi ritmi, e a questi ritmi si devono adattare tutti gli elementi della scenografia immaginaria che avete disegnato. Dettagliare troppo lascerà poco margine all’immaginazione del lettore, che si sentirà in qualche modo castrato nella sua lettura; lasciare troppo spazio all’immaginazione del lettore, tuttavia, tenderà a introdurre elementi che potrebbero poi entrare in collisione con il resto della storia e confondere il lettore che magari si era fatto aspettative differenti. L’equilibrio è tutto, ma per saper costruire qualcosa di bilanciato è necessario misurare, calcolare, pianificare.
Un libro non è solo un’opera, quindi: è un vero e proprio progetto e, come tutti i progetti, va gestito in termini di dimensioni e tempi, specialmente se avete stabilito con l’editore una data di consegna. Tener traccia per ogni capitolo delle battute scritte, ad esempio, permette di evitare di avere alcuni capitoli molto più lunghi o corti di altri. Cercate di dare a ogni capitolo più o meno le stesse dimensioni, così che il lettore a sua volta pianificherà i propri tempi di lettura. Anche in questo caso, un foglio elettronico, farà al caso nostro. Non è importante la precisione assoluta o l’assoluto rigore: tenetevi del margine per non penalizzare troppo la creatività ma pensate sempre al vostro romanzo come a un edificio, in cui ogni piano ha le stesse caratteristiche. Al più quello a terra e l’attico potranno essere diversi, ma i piani centrali devono avere la stessa altezza.
Per concludere, un buon libro spesso vede l’80% del materiale raccolto non utilizzato e il 60% del tempo speso lontano da una tastiera. Non solo scrivere, questa è la ricetta segreta di un buon narratore. La creatività è importante, ma mentre è spesso sufficiente per un racconto breve, è il metodo che permette di arrivare alla fine di un racconto lungo e chiudere la storia. Non è un caso che molti esordienti, dopo aver scritto molti ottimi racconti, si trovino in difficoltà ad affrontare il loro primo romanzo. IL motivo è che sottovalutano l’aspetto progettuale di un’opera di una certa dimensione e soprattutto non tengono conto di quanto studio e ricerca siano necessarie per dare a quella storia coerenza e realismo, e questo vale anche per il fantasy e la fantascienza, dove l’aspetto fantastico non basta certo a giustificare l’improbabilità di determinate situazioni o comportamenti.
C’è inoltre un’ultima considerazione da fare: se il vostro romanzo avrà un sequel, buona parte del materiale che avrete prodotto per il primo romanzo sarà riutilizzabile e vi aiuterà a dare maggiore sostanza alla nuova storia e soprattutto a mantenerla coerente con la precedente. Non è poco.
A cura di Dario de Judicibus