Nessuna idea è semplice quando devi impiantarla nella mente di un’altra persona
Il cinema di Nolan è un’esperienza mistica ed immersiva che richiede tempo, attenzione e passione.
Tre elementi fondamentali per chiunque sia un amante della settima arte, dallo spettatore, all’attore, al cast tecnico e in particolar modo al regista.
Il viaggio del cineasta londinese attraverso il grande schermo parte da lontano e da tinte in bianco e nero: siamo nel 1998, quando Christopher Nolan si mette dietro la macchina da presa dando vita al suo primo esperimento cinematografico (dopo alcuni corti eccezionali, in realtà), ovvero Following.
Questa pellicola sarà determinante per la sua carriera, non in termini di notorietà ma dal punto di vista tecnico e strutturale e quindi per i suoi successi futuri a partire da Memento, che girerà solo due anni dopo.
Following infatti resta ancora oggi un film sconosciuto ai più, persino a molti di coloro che si professano come nolaniani ma evidentemente così nolaniani non sono.
Quando si parla delle opere del regista si tende a partire da Memento, con l’errata convinzione che l’esperimento della struttura non lineare della trama, con quel particolare montaggio, sia proprio iniziato con il masterpiece del 2000 con Guy Pearce protagonista.
Un errore, appunto. Perché questa tecnica è stata provata già con Following nel ’98, un’opera che alcuni potrebbero definire come un test in attesa di Memento, ma che i veri seguaci del regista riconoscono e definiscono come il vero capolavoro tra i due. Memento è quindi solo un Following che non ha mai smesso di crederci, e con un budget (e quindi pure un cast) decisamente superiore.
La vera opera prima di Nolan tuttavia non ha lanciato soltanto la tecnica di quella struttura non lineare, ma è stata l’occasione per creare il suo cinema fatto di continui richiami.
Partiamo da un esempio. Il protagonista di Following si chiama Cobb. Vi ricorda qualcosa? Sì, esattamente lui, il Dom Cobb di Inception, interpretato da Leonardo DiCaprio. La cosa acquisisce ulteriore senso se si pensa che Nolan e suo fratello Jonathan hanno iniziato a lavorare a questo film circa 10 anni prima della sua uscita datata 2010, quindi orientativamente nel 2000, ovvero due anni dopo Following. Questo Cobb è un ladro, mentre quello di DiCaprio è un ladro di idee. Così vicini, così lontani, ancora una volta.
Altra curiosità per gli amanti dei dettagli: in una scena di Following Cobb (Alex Haw) entra nella stanza del co-protagonista senza nome (Jeremy Theobald), e sulla porta della camera compare un adesivo di Batman. Ovviamente il regista non sapeva che solamente 7 anni dopo avrebbe iniziato a girare la trilogia del Cavaliere Oscuro, ma è una curiosità sfiziosa che oltretutto risponde da sola a coloro che hanno criticato il cineasta, accusandolo di essersi piegato ad un genere che non rispondeva ai suoi canoni, ignorando le sue confessioni d’amore nei confronti del sovracitato supereroe. Dettagli (e niente più) che avevamo voglia di condividere con voi.
Tutto questo ovviamente è solo il punto di partenza del suo cinema fatto di rimandi, che continua battere la testa nella morbida scatola in cui Nolan l’ha intrappolato, ammiccando quasi a Tarantino nel suo modo di creare un mondo in perenne collegamento, ma in maniera più subdola rispetto al regista statunitense, regalando questi richiami soltanto a chi li merita e riesce a riconoscerli.
Non è un caso quindi che Nolan scelga di cimentarsi nella complessa trilogia del Cavaliere Oscuro, un’opera che erroneamente viene considerata da molti come tre film a sé stanti, di certo collegati tra loro come tutte le trilogie, ma nei fatti qualificabili come tre diverse opere.
Ci imbattiamo e ci siamo imbattuti spesso in numerosi commenti circa questo chiacchierato trittico, tra persone che asseriscono che “il secondo è il più bello”, “il terzo è il peggiore” ecc. In realtà le considerazioni in tal senso dovrebbero essere scevre dai gusti personali, quantomeno nella stessa misura in cui guardando un film non siamo soliti dire “dal minuto 32 a 48 non mi è piaciuto”. Estremizziamo, per asserire che nel cinema dei rimandi di Christopher Nolan, la trilogia di Batman porta la bandiera. I collegamenti tra i tre sono favolosi, e superano di gran lunga il concetto di connessione legato ad una normale trilogia e persino a quello dettato da un adattamento dal fumetto (che poi in fondo lo è in parte, per fortuna). Non vorremmo rovinarvi la “sorpresa”, nonostante sappiamo li abbiate guardati tutti, e pertanto vi invitiamo a riguardare i tre film a mo’ di maratona per poterne apprezzare delle minuziosità impressionanti, e forse riuscirete a considerarlo come un’opera unica. Magari continuando a non amarlo, se proprio non fa per voi, ma comunque a valutarlo come tale.
Questo è tra i principali problemi che generano critiche al Batman di Nolan, tuttavia non è il solo. Ciò che è indubbio è che il regista abbia totalmente rilanciato il sopito brand del Dark Knight, dando vita ad un nuovo modo di percepire l’universo dei supereroi, magari meno fumettistico e per questo meno apprezzato dai puristi, ma di certo più realistico, in grado di garantire una maggiore fruibilità, e dando oggettivamente spunto ad un seguito di film Marvel e DC che, pur in maniera diversa e con un approccio un po’ più legato al fumetto rispetto alla concezione nolaniana, si sono discostati dai vecchi cinecomic, ovvero i pre-Dark Knight, preferendo una maggiore aderenza alla realtà, con grandi richiami al mondo attuale.
Oltretutto, uscendo un po’ dalle considerazioni fatte poco fa sulla trilogia, Batman Begins presenta una più che degna aderenza ai canoni dell’Uomo pipistrello, ed in tal senso è evocativa la somiglianza del film con The Shadow di Russell Mulcahy (1994), che Nolan ha voluto omaggiare con una serie di evidenti ammiccamenti, dato che L’uomo Ombra è notoriamente stato d’ispirazione per la creazione del Batman.
In sostanza comunque, esistono decine e decine di storie sull’Uomo Pipistrello, dai fumetti, al cinema, alla tv, alle serie animate. Nolan ha voluto semplicemente dar vita alla sua. A modo suo.
L’amore per il proprio lavoro è evidente dalla maniera certosina in cui il regista britannico concepisce, prepara e realizza le sue opere. Abbiamo citato precedentemente la lunga e complessa genesi di Inception, con i 10 anni di sceneggiatura, sul cui script nientepopodimeno che Roger J. Ebert, uno dei più stimati critici cinematografici statunitensi (nonché vincitore di un Pulitzer), si sbilanciò tessendone le lodi, per via del fatto che la trama risulti così complessa che non c’è alcun rischio di spoiler: “Senza sapere cosa c’è in mezzo, anche se qualcuno vi dicesse la fine non riuscirebbe a rovinarvi il film”. Ma visto che stiamo parlando di Batman, è lecito spostare l’attenzione su questo aspetto tecnico relativamente alla trilogia.
Le capacità dei Nolan sono sorprendenti. Un esempio su tutti è quello del film The Dark Knight: dal momento della conferenza stampa di Dent si alternano delle sequenze Batman-Dent che danno vita ad una narrazione spettacolare. Riosservatele e notate come riescono a mettere insieme quelle scene; poi riguardatele singolarmente. Si tratta di una mezz’ora di pura lezione di sceneggiatura (non a caso citata in un manuale di Bogani, uno dei maggiori esperti in circolazione n.d.R.). Di esempi in merito se ne potrebbero fare, anche solo per queste tre pellicole, moltissimi.
In termini di script, tra l’altro, non possiamo fare altro che toglierci il cappello di fronte a quel mirabile capolavoro che è The Prestige, e gettare il cilindro insieme a tutti gli altri generati dalla Macchina di Tesla.
Un’attenzione simile c’è anche per le modalità in cui Nolan pone un elemento chiave all’interno di ogni singolo capitolo della trilogia, riuscendo a costruirci sopra l’opera.
La Paura in Begins, ad esempio, è tremendamente ancorata ad ogni singola scena.
La paura del fallimento, della crescita, di non essere sufficientemente pronto ad ogni evenienza, o più semplicemente quella di un nemico che a sua volta basa tutto sulla paura (lo Spaventapasseri dell’attore feticcio del regista, Cillian Murphy), generando quel paradosso che Nolan ama così tanto (vi ricordate Inception, no?). Quel suo stesso difetto diviene il suo pregio più grande, dandogli una forza che non credeva di avere, ed è per questo che probabilmente il Bruce Wayne di Batman Begins sia il più riuscito di sempre. Nessuno fino a quel momento era stato capace di psicanalizzarlo in tal modo, restituendoci un uomo autentico ed un supereroe convincente e “reale”.
La cura certosina del dettaglio raggiunge però picchi inimmaginabili in un film come Inception.
Ad ogni visione, di volta in volta, si prende coscienza di alcuni particolari che lo stesso Nolan nasconde all’interno dell’opera, come a voler selezionare gli spettatori a cui rivolgersi.
Molti di essi costituiscono in realtà degli spunti di riflessione, un modo in cui il regista ci vuole stuzzicare e giocare con noi, con il pubblico dall’occhio clinico, riservandosi sempre il beneficio del dubbio.
Facciamo un esempio. Siamo all’inizio del film, e Mal colpisce Arthur sparandogli ad una gamba, asserendo che dall’architettura intuisca si tratti proprio del sogno dell’aiutante numero 1 di Cobb. Ma se le cose stanno così, come mai nella parte finale del film, quando Cobb va a recuperare il vecchio Saito in un sottolivello, ci viene riproposta la medesima architettura? Non viene espresso palesemente che si tratti del sogno di Dom, eppure sappiamo che lo sia. Cosa vuole farci intendere Nolan con questa scelta voluta e così bislacca? Qual è l’incredibile filo che lega Arthur a Cobb? Forse Arthur e Arianna non sono altro che proiezioni degli stessi Cobb e Mall? È per questo che non è chiaro se sul finale la trottola giri ancora o si fermi?
Tanti dubbi, tante domande che fanno venire la pelle d’oca ad un amante del cinema di Nolan, ma soprattutto – come detto in precedenza – tanti spunti di riflessione che rendono queste opere un continuo trip in cui cercare nuovi dettagli utili per uscire da quel bellissimo labirinto che viene costruito intorno a noi. Non a caso la scelta del nome del personaggio interpretato da Ellen Page è Arianna; come l’Arianna di Teseo anche lei potrebbe aiutarci a trovare la giusta via di fuga, magari tramite il dettaglio svelato poc’anzi.
Tra le varie minuzie ci sono dei semplici vezzi di stile, come – sempre in Inception – il fatto che le iniziali dei protagonisti Dom, Robert, Eams, Arianna (o Arthur), Mall, Saito diano vita alla parola DREAMS, o ancora, più banalmente, che la canzone utilizzata per sincronizzare il calcio sia Non, je ne regrette rien di Edith Piaf, personaggio interpretato proprio da Marion Cotillard nel film La vie en rose (2007).
Lavorare sui sogni è per Nolan un’esperienza desiderata da tempo, ed è indubbio il fascino dettato dalla relazione della nostra vita da svegli con quella dei sogni. L’idea che tutto venga creato dalla nostra mente è un mondo ideale da affrontare per un regista, e lo è ancora di più per uno come Nolan.
Dopo le prime bozze del soggetto, quegli schizzi non sono rimasti chiusi in un cassetto per 10 anni, ma venivano anzi integrati e migliorati dopo ogni film, che evidentemente gli forniva ulteriori spunti per la creazione di Inception, e anche per quel discorso sui collegamenti che si faceva prima.
La Nolan Collection in Blu-Ray, distribuita sul mercato degli home video qualche mese fa, presenta al suo interno, e quindi in uno dei due dischi dedicati ad Inception, l’extraction mode, ovvero una particolare modalità di visione del film, in cui il regista ed il cast si soffermano nei momenti principali servendo spiegazioni. In questo disco c’è la possibilità di dare un rapido sguardo a quelle bozze del regista, e da poche semplici immagini si può notare la maniacale e perfetta cura del particolare e delle connessioni che Nolan attua, attraverso degli schemi ed una moltitudine di frecce.
Inception è un’opera che formula molte ipotesi, e tra queste ce ne sono alcune che riteniamo abbastanza comuni, come il fatto che non si possa morire in un sogno, e quando ciò accade ci si sveglia. È una cosa che possiamo confermare tutti, e in questo modo il pubblico riesce a rapportare la propria esperienza di sogno alla fantastica serie di eventi narrata nel film. C’è la forte similarità tra il processo cinematografico e ciò che rappresentano i personaggi in questione: questi sono dei creatori, generano dei mondi in cui qualcuno possa esistere, ed Inception intende essere un film che cerca di esplorare le straordinarie possibilità della mente umana ed il suo potenziale infinito.
Di dovizia di studio e dettagli anche le scene della città che esplode, che non rappresentano un mero trionfo di caos, bensì contengono il significato del mondo che si destabilizza e crolla quando il sognante si accorge di non essere nella realtà, e che al tempo stesso può, volendo, decidere di prenderne atto e proseguire il sogno, come spesso ci accade. Discorso che si allinea tra l’altro alla visione di Nolan, il quale decide di girare moltissimo con la telecamera in questa scena, pur sapendo che sarebbe poi stata necessaria una forte componente di CGI, ma a suo modo di vedere era importante l’uso intenso della telecamera per donare poi alla squadra degli effetti speciali del materiale con cui poter realizzare al meglio la loro specialità, ovvero migliorare o costruire su cose che esistono nel mondo reale. Un parallelismo interessante, insomma.
Così come le scelte di inserire elementi incongruenti con la realtà, ad esempio l’evidente stranezza del treno che colpisce il taxi in cui si trova Fischer, ed il fatto che attraversi il centro città senza rotaie, in una situazione paradossale ma in cui lo stesso Fischer, ignaro che si tratti di un sogno, non batta ciglio, non rendendosi conto di trovarsi in un mondo fittizio. In questa, come in tante altre scene, ovviamente.
Prendiamo ancora spunto da Inception per parlare di un altro elemento chiave del cinema di Nolan: l’impatto visivo.
Per motivi di embargo non possiamo ancora svelarvi i punti nodali di Dunkirk, che abbiamo avuto il piacere di vedere in anteprima, ma vi assicuriamo che – in tal senso – l’estetica del regista è sempre in crescendo. Questo fattore è un perno del suo cinema, e a volte lo porta all’estremo con lo scopo di rendere il pubblico estasiato di fronte a tali visioni.
Se quindi in Inception risulta emblematica l’atmosfera candida e nevosa del terzo livello di sogno, in cui Nolan ci fa immergere improvvisamente, questo viene esasperato nella sua successiva fatica (tolto The Dark Knight Rises per i motivi di cui sopra): Interstellar.
Qui l’impatto con il Pianeta d’Acqua è qualcosa di fantastico, e l’aver voluto girare in pellicola ha aumentato questo effetto, donandoci un gusto retro all’interno di un’atmosfera fantascientifica, in una dimensione che – ad oggi – diviene un bellissimo ossimoro.
Se quindi, pre-Dunkirk, Interstellar appare come il simbolo del trionfo estetico del regista, è altrettanto importante segnalare che non si tratta solamente di un film visivamente bello. Al di là dei vaneggiamenti degli scienziati dell’ultima ora, che sono passati dal debito formativo ai tempi della scuola ad improvvise competenze dovute a letture sommarie di articoletti adocchiati qua e là sul web, grazie ai quali pretendono di farci capire gli “errori” di uno script per cui Nolan si è avvalso del supporto di Kip Thorne (uno dei maggiori esperti di relatività generale) e della sua troupe (ma evidentemente ne sapete più voi, che avete letto quell’articololìsuquelsitocheoranoniricordo), possiamo riconoscere universalmente la maestosità di un’opera coraggiosa ed intensa come Interstellar.
Il tempo; la magia; il sogno; lo spazio. Nolan prende, deforma e plasma a suo piacimento mondi e situazioni complicati, così lontani e così vicini a noi e alla nostra quotidianità. Tutto ciò sui cui la psiche umana si interroga costantemente, alla ricerca di risposte che in fondo è pressoché impossibile dare, ma che Nolan cerca di interpretare a suo modo, senza la pretesa di regalarci una verità assoluta, ma un plausibile racconto che la nostra mente partorisce spesso, creando un disegno fatto di rimandi, frecce e connessioni, espressione in parentesi tonda del suo cinema.
Oltre a tutto ciò, permangono dei momenti talmente iconici che prescindono da tutti questi meriti che abbiamo incensato finora, e che contribuiscono a rendere le sue opere come dei prodotti cinematografici in grado di attecchire nella mente dello spettatore medio come l’innesto effettuato da Cobb e la sua combriccola. Parliamo di scene memorabili, che già sono diventate momenti cult della settima arte e clip con milioni di visualizzazioni sul tubo. L’interrogatorio di Joker, ad esempio, è tra questi. La caratterizzazione dei personaggi è uno degli elementi centrali nel cinema di Nolan, e come prima abbiamo elogiato il modo in cui è stato realizzato e messo sulla scena Bruce Wayne, non possiamo che triplicare i complimenti per il Joker del compianto Heath Leadger. È ovvio che qui buona parte dei meriti sono dell’attore, che ci ha saputo regalare una performance da 10 e lode, ma la scena sovracitata è un vero spettacolo da ogni punto di vista.
Massimo Zanichelli ha scritto un libro dal titolo Christopher Nolan – Il tempo, la maschera, il labirinto, un regalo che vi consigliamo vivamente di farvi per poter carpire ancora di più da questo eccezionale artista.
I temi che abbiamo descritto poco fa sono il succo e la sostanza delle sue opere, che si snodano poi con una forma che pochi altri cineasti sanno dare ai propri lavori.
Lo scrittore prende in esame l’alterazione del tempo lineare come strumento chiave per la comprensione del cinema di Nolan, avvicinandola all’incombenza della morte. Il modo in cui questa avviene varia a seconda dei film e di ciò che il regista vuole comunicarci, per cui si passa dall’alterazione reversibile di Memento a quella disallineata di The Prestige, a quella poi circolare di Inception, fino a quella – aggiungo io – di Dunkirk che è in grado di unirle tutte, annichilendo lo spazio-tempo. Per andare in chiusura con un discorso a me caro, vorrei riprendere e mettere in prosa di nuovo le parole di M. Zanichelli, affermando che la parte migliore e più interessante di Nolan sta nell’utilizzare questo sistema per proteggere i protagonisti dal dolore della perdita (tutti sono legati da questo amaro fil rouge). Ed in questo il criticato Interstellar diventa l’emblema assoluto: attraverso le tre età della figlia Murph (infanzia, giovinezza, vecchiaia), il tempo diviene eterno, perché il protagonista del film non invecchia.
Insomma, di Nolan e del suo cinema si potrebbe parlare per ore, lo avete ben capito. Abbiamo voluto darvi un po’ di spunti per potervi permettere di scandagliare al meglio ogni anfratto dei suoi lavori, provando a guardarli nella maniera migliore, in quella che il regista ha pensato per noi. O quantomeno per chi avrà tempo, attenzione e passione per poterlo fare.