Un titolo fantasma che appare dal nulla, come gli spiriti di cui racconta.
White Day è un prodotto molto particolare sotto molteplici punti di vista. Si tratta di un gioco horror coreano del 2001, uscito su PC e solo in terra natia. Le vie della distribuzione si sa, sono però infinite, e a distanza di 16 anni ecco che il titolo di Sonnori viene riproposto con una sorta di remastered per PS4. Il senso dell’operazione, non è chiarissima, ma c’è da dire che negli anni, White Day è diventato un piccolo cult di nicchia tra gli appassionati, e probabilmente tanto è bastato per riesumarlo. Stiamo parlando quindi sicuramente di un titolo che ha ben più valenza “culturale”, che prettamente ludica.
Nei panni di un giovane studente della Yendou Hight School, ci troveremo in una situazione piuttosto criptica e surreale: dover esplorare la scuola nel cuore della notte alla ricerca di una propria compagna di classe scomparsa tra le mura dell’edificio. Whyte Day si configura sostanzialmente come un precursore di Amnesia e Outlast “ad litteram”, ovvero una avventura horror in prima persona, in cui il focus dell’esperienza è interamente riservato all’esplorazione dell’ambientazione, lasciando da parte qualsiasi velleità action come combattimenti o sezioni particolarmente dinamiche. Eppure, non fate l’errore di considerarlo una sorta di walking simulator. Il gioco chiede una partecipazione del giocatore serrata che non lascia spazio praticamente mai alla mera contemplazione ma anzi, pone sul nostro cammino ostacoli praticamente di continuo e basati sostanzialmente sulla risoluzione di moltissimi enigmi e passaggi che avvicinano molto l’opera di Sonnori agli stilemi dell’epoca a cui appartiene.
La scuola, come anche le altre 2 location che ci troveremo a visitare durante l’avventura, è tappezzata di documenti e lettere da leggere, le quali raccontano spesso ambigue e macabre storie folkloristiche di spiriti e fantasmi, e nessuna progressione nel gioco è permessa senza una lenta e a volte farragginosa sequela di step per trovare l’oggetto giusto utile a risolvere le varie situazioni cardine, si tratti di una chiave per aprire un’aula, o una combinazione numerica da utilizzare in un pannello elettronico. Da questo punto di vista, White day ricorda giochi come i primissimi Silent Hill, i quali costringevano a backtracking ponderati e molta concentrazione alla ricerca del’intuizione giusta. L’esperienza è quindi scevra delle facilitazioni e scorciatoie a cui siamo abituati oggi giorno. Questo rende il gioco sicuramente “ruvido” e indicato molto precisamente a chi cerca un tipo di avventura estremamente compassata, fatta di operazioni articolate e poco “sciolte”, con un’interfaccia e una modalità di interazione ambientale decisamente d’altri tempi. Immergersi in White Day infatti non è semplice, complice un comparto stilistico e tecnico che condivide brutture legate ad uno sviluppo “arcaico” che già al tempo, non era certamente al top. Whyte Day va un po’ per sottrazione da questo punto di vista. L’ambiente è piuttosto spoglio e squadrato, ricalcando in parte una realistica riproposizione degli edifici coreani e in parte mettendo in luce la povertà tecnica di un titolo che diciamocelo, è quella di un gioco PS2 riproposto in alta definizione.
La scuola ovviamente è infestata e l’aspetto più interessante che il gioco propone sul versante horror è proprio quello di legarsi all’intimista e macabra visione orientale verso il genere, fatto di visioni grottesche e disturbanti che in White Day assumono i connotati di collezionabili veri e propri, proponendo infatti al giocatore di scovare più fantasmi possibili. Questi sono legati ancora una volta all’esplorazione, può capitare di aprire un armadietto e trovare dentro un corpo accartocciato e inquietante, fissare dei graffi sul muro, girarsi e vedere una spettrale figura femminile. Niente che sconvolge il gameplay ma sicuramente aiuta a calarsi nel contesto di un edificio infestato. La minaccia concreta è invece rappresentata da un bidello che facendo una ronda totalmente imprevedibile nelle varie location del gioco, può sorprenderci e inseguirci con lo scopo di tramortirci con la sua mazza. Qui viene fuori una grossa magagna nell’impianto ludico in quanto, non solo l’imbarazzante resa grafica e le animazioni del bidello lo rendono una figura quasi comica più che spaventosa, ma anche perché rappresenta una meccanica piuttosto “rotta” del gioco. Sfuggire dallo psicopatico figuro è infatti spesso impossibile o molto difficile e a poco serve la possibilità di nascondersi tra i banchi o le scrivanie cercando di non farsi vedere, in quanto sfuggire alla sua vista una volta che ci avrà individuato, risulterà quasi sempre più una questione di fortuna. A questo punto l’unica soluzione rimane cercare di non farci vedere a priori quando percepiamo tramite il sonoro la sua presenza, sapendo che farci scoprire significa quasi sicuramente game over, ma capirete che non è proprio il massimo. E parlando di audio, Whyte day compie una scelta particolare che in ultima istanza, ho apprezzato. L’accompagnamento sonoro è quasi nullo e sebbene da un certo punto di vista questo renda le nostre sessioni di gioco un po’ noiose, crea la giusta atmosfera relegando tutto il coinvolgimento del nostro orecchio ai molti inquietanti rumori ambientali. Per quel che riguarda la storia, rimane quasi sempre sullo sfondo e progredisce grazie all’incontro con altre studentesse con le quali scambieremo qualche battuta che spesso sembrerà quasi fuori contesto vista la situazione. Dialoghi che potremo indirizzare in svariate direzioni con risposte diverse e che porteranno ad uno dei diversi finali possibili.
Verdetto
Il senso di mistero e la particolare estetica e atmosfera da film asiatico di genere, fatto di apparizioni inquietanti e fugaci, sono tutto ciò che White Day ha da offrire a chi cerca una componente squisitamente horror. Niente jump scare, a meno che non siate estremamente suscettibili, niente gore. Non esiste nemmeno una componente action in senso stretto e fondamentalmente, si tratta di decidere se si vogliono passare otto ore in compagnia di un’avventura in prima persona che si fa apprezzare solo se sarete disposti a farvi trascinare dal mood proposto e a interpretare il senso di tutto quello che accadrà nel gioco, narrativamente parlando. Non posso negare il fatto che comunque il titolo presenti una certa unicità e chi ha sviscerato ogni titolo simile, probabilmente sarà felice di avere l’occasione di cimentarsi in questo prodotto esotico da veri feticisti, che oggi però per tutto quel che riguarda la componente ludico/tecnica, è decisamente invecchiato male, nonostante i vari miglioramenti grafici, i quali, forse avrebbero avuto bisogno di essere ancora più determinanti, visto che il colpo d’occhio poco verosimile inevitabilmente abbassa il coinvolgimento del giocatore non poco. Se non vi spaventano i limiti ma siete intrigati dai pregi del titolo però, non c’è una reale motivazione per cui non dovreste dargli almeno una possibilità. Ma in linea generale, parliamo obiettivamente di un gioco anacronistico e poco fruibile oggi come oggi.