“Hey chi è quello?” Mi fischia nelle orecchie il mio compagno di stanza, seduto a fianco a me per guardare il mondo persistente e condiviso di Destiny e capire se vale la pena comprarlo. Ha intravisto un altro giocatore alle prese con una banda di caduti impazziti. Il tizio ci sa fare, ne butta già un paio con il fucile poi giù di Super Carica e via, sparito sul suo mezzo tra le macerie della città marziana distrutta. Per un po’ si sente ancor il ronzio del motore, poi il nulla. “Ma che fa non ti aspetta? Non state giocando insieme?” mi fa perplesso il mio amico con tanto d’occhi. Lui è un giocatore esperto, vecchia guardia poco avvezzo a contenuti online e più focalizzato su esperienze single player piuttosto classiche. Cerco in due parole di spiegargli che Destiny ti proietta in un mondo persistente dove ognuno può giocarsi la sua partita sulla stessa mappa, senza bisogno che sia all’interno del tuo party. “Sconvolgente! Ma a che serve?” gli rispondo che le sue azioni hanno un effetto nella tua partita, ma non avete lo stesso obiettivo. “Insomma tutti e due sullo stesso treno, ma scendete a fermate diverse?” Beh il paragone mi sembra azzeccato e da li parte una discussione su come stiano cambiando il mondo dei videogiochi. Di come sia cambiato radicalmente il concetto di multiplayer con l’introduzione della meccanica di un mondo persistente.
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Il primo titolo che gli tiro fuori dal cilindro è il primo Dark Souls, lui l’ha giocato ma non ha mai sfruttato le funzionalità online del titolo, godendosi l’esperienza in completa solitaria. Gli faccio presente che i messaggi d’aiuto, lasciati da altri giocatori, erano già embrionalmente l’espressione di quello che sarebbe diventato il nuovo concetto di multi-giocatore co-operativo (ammesso che lo si possa chiamare così). Quei messaggi erano l’impronta di presenze invisibili che abitavano lo stesso mondo condiviso che tu stesso stavi esplorando, molto spesso custodendo preziosissimi informazioni che potevano salvarti la pelle. E’ vero che l’interazione era davvero molto limitata e l’utilità trascurabile visto che questa feature era un accessorio completamente slegato dal contesto di gameplay principale.
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Un po’ come accadeva per The Journey che, però, provava a portare avanti il concetto verso uno step evolutivo ulteriore: durante ogni partita non era inusuale vedere altri giocatori affrontare la stessa mappa sulla quale si stava giocando, imparando da loro le tecniche per superare alcuni ostacoli o addirittura condividendo per la prima volta insieme una porzione di gioco ancora inesplorata. Anche qui, in questo desertico e affascinante mondo condiviso, il limite era imposto da una totale superficialità della presenza degli altri giocatori e da meccaniche di gameplay che non provavano assolutamente a sfruttare questa feature. Infatti spesso mi ritrovavo a dover spiegare ad alcuni amici che no, non si erano sbagliati e non c’era alcuno modo per interagire con gli altri se non in modo davvero creativo cercando dei gesti e dei pattern di movimento che tentassero di instaurare una flebile linea comunicativa con l’altro. Per quanto interessante l’idea, limitava di molto la comunicazione, ma in questo caso particolare si è preferito puntare sulla condivisione di un’esperienza visiva piuttosto che sulla reale interazione tra giocatori.
Il mio amico pare lanciatissimo e mi chiede come mai questa roba del mondo condiviso persistente sia venuta fuori solo ora. Per diana internet e l’online gaming esiste da un po’, non potevano pensarci prima? Gli faccio notare che è una struttura davvero consolidata, presa a prestito da un genere che si fonda quasi esclusivamente su questo, ossia gli MMORPG. E’ lo stesso processo che s’è visto per le statistiche di personaggio che evolvono: prima solo negli RPG, ora un po’ ovunque. Vedo le sue sopracciglia aggrottarsi “Ma che fai? me la vendi prima come una novità esaltante poi mi dici che è vecchia come il cucco? Prossimo anno ti candidi alle elezioni?”. Grossa risata, si stappa una birra e continuiamo. La novità non è tanto nella meccanica e forse neanche nel salto da un genere all’altro, quanto alla linea che si sta delineando per il futuro: essere “sempre connessi” anche durante quella porzione di gioco che dovrebbe essere single player dimostra come i videogame cambieranno radicalmente l’approccio al multiplayer e al concetto di interazione tra giocatori. Non si può più parlare di co-operazione, visto che non siamo forzati effettivamente e in senso stesso a co-operare quanto di compresenza all’interno di un universo che acquista delle qualità quasi permanenti. Insomma è come andare al parchetto dietro casa per tirare due calci al pallone e contro il muro e ritrovarsi nel bel mezzo di una partita di calcio vera e propria. L’assenza di lobby, di attese e sopratutto la mancanza di territori “vergini” sono degli elementi che prima potevamo solo sognarci.
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Basti pensare a titoli come No Men’s Sky o a The Crew di Ubisoft dove la cesura tra propria partita e quella degli altri è così sottile da non essere percepibile. Un attimo stai esplorando un mondo che credi tuo, un attimo dopo te lo trovi colonizzato da altri player. E’ affascinante e insieme spaventoso perché mischia delle dinamiche umane che non possono essere calcolate a priori (vedi Loot Cave). Il mio amico sembra confuso e alzandosi dal divano mi dice a mezza bocca che non sa se gli va che qualcuno invada la sua partita arbitrariamente senza che nessuno possa fare o dire nulla. Io, intanto, mi sono guadagnato il 22 esimo livello a Destiny e spengo la play. Tanto il mondo persistente creato da Bungie non va da nessuna parte.