In occasione della Festa del Cinema di Roma abbiamo avuto modo di incontrare Jake Gyllenhaal, protagonista del film Stronger, presentato proprio durante la manifestazione.
Insieme all’attore abbiamo ripercorso diversi momenti della sua carriera, partendo da Donnie Darko fino ai lavori più recenti.
Donnie Darko è sostanzialmente il film che ti ha fatto conoscere al grande pubblico. Perché secondo te è diventato un film di culto?
Credo che dipenda dal fatto che sia un film impostato su più livelli. C’è l’aspetto fantascientifico e poi il lato umano che è un po’ fuori dagli schemi, e riesce a toccare e far vibrare le corde emozionali, facendoci provare empatia. E poi di solito quando un film non va bene al box 0ffice viene definito “cult movie” (sorride n.d.r.).
Ti aspettavi che sarebbe diventato un film visto quasi religiosamente dai giovani?
Io non intraprendo un percorso creativo se non sono convinto che possa essere fruito da più persone possibili, quindi nel profondo del mio cuore ci speravo.
Ero giovanissimo e non sapevo nulla del mondo del cinema, ma ho creduto fermamente in questa storia. A quel tempo facevo tanti provini ed erano tutti per film basati su feste ed innamoramenti, tematiche che scavano solo minimamente la superficie emozionale, mentre Donnie Darko tocca dei temi profondi che ho percepito da subito come miei.
Come ti sei preparato invece per interpretare il soldato in Jarhead? Non credo tu avessi una grande esperienza militare.
È vero che non avevo esperienza militare ma due dei miei amici più cari erano nell’esercito. Sam Mendes ci ha tenuto due settimane in una specie di boot camp e abbiamo fatto un’esperienza analoga a quella dei marines; poi, essendo lui un regista teatrale, ci ha fatto fare prove per un mese per entrare nel personaggio e capirlo.
Sei un attore eclettico: hai interpretato ruoli molto diversi tra loro e film di genere differente. C’è un genere in particolare in cui ti diverti di più?
No, sarebbe più facile se fosse così ma sono affascinato dall’esperienza umana e dall’inconscio. Così come i sogni, che non si ripetono quasi mai, io vedo il cinema.
Senza dubbio una delle tue migliori interpretazioni è quella ne I segreti di Brokeback Mountain. Cosa ti ha spinto a recitare in un film come questo?
Credo sia il sogno di tutti gli attori lavorare con Ang Lee, ed io ero deciso ad entrare a far parte del progetto. Quando ho letto la sceneggiatura mi ha commosso, ho pianto, ed ho capito che tutto si giocava sulla giusta combinazione di attori. Dobbiamo dire che l’intesa con Heath Ledger è risultata perfetta. Ang non mi diede quasi scelta; la decisione fu in pratica solo sua. Tanta gente mi chiese se avessi avuto qualche remora, se ero conscio dei rischi di interpretare un ruolo del genere, ma a me dall’inizio è apparsa come una storia d’amore e basta. L’ho valutata senza pregiudizi, pur se all’epoca forse era davvero un rischio.
È tutt’ora un rischio ad Hollywood interpretare una storia d’amore omosessuale?
Oggi è diverso, ne vediamo molte di più in TV e pure al cinema, ma all’epoca non era così. Non so adesso quale sia effettivamente la situazione, poiché non è chiaro quello che sta accadendo; l’attualità è caratterizzata da un alto grado di confusione, ci sono molte paure ma questo non fa altro che confermare il mio punto di vista, ovvero il voler raccontare sempre più storie e differenti tra loro. Noi dobbiamo esser pronti ad accettare ciò che riteniamo giusto, cioè l’amore tra due persone.
A proposito di ruoli diversi, Christoph Waltz ci ha detto non lascia nulla all’improvvisazione. Tu, improvvisi molto?
Sarebbe bellissimo lavorare con lui, mi piacerebbe davvero. Io sono pronto a fare tutto, non credo nelle regole, tuttavia rispetto il testo ma anche l’attimo. Dipende dal regista e dal tipo di energia che mi chiede. Ci sono stati casi in cui sono stato più fedele allo script e altre volte lo sono stato meno. Per me l’unica parola d’ordine è la preparazione, ed è la sola struttura sulla quale conto: la libertà va oltre la disciplina.
In Nightcrawler hai perso molto peso e nel film il tuo sguardo è molto inquietante, non batti mai gli occhi. Una preparazione al personaggio davvero incredibile.
Non l’ho fatto apposta, sarebbe stato pazzesco, però avevo riflettuto molto su quella determinata persona e conoscevo bene la forza che doveva emergere. Penso sia evidente da certi dialoghi nel film, che dovevano assolutamente avere un certo ritmo, come se fossero delle stilettate. Lo sguardo è rimasto fisso inconsapevolmente, perché mi sentivo come un animale quando punta una preda.
Quel film è anche una critica ad un certo tipo di giornalismo, spietato e senza scrupoli. Cosa pensi a riguardo?
Io non credo che tutti i giornalisti abbiano questo comportamento, ma in linea di massima danno al pubblico quello che il pubblico vuole e la collettività definisce ciò che si vede.
Come definisci Animali Notturni? Che film è? Una vendetta, una storia d’amore, un incubo?
Si può parlare di un dolore che ti pervade, di un cuore infranto. Io lo vedo come la metafora di ciò che ti accade quando ti si spezza il cuore.
Tom Ford è diventato regista dal mondo della moda. Quanto hai sentito questo background nella sua regia?
Come regola generale c’è la ricerca del valore estetico della bellezza, ma quello che rende bello un film è l’aspetto visivo. Questa sua visione la troviamo prima nella moda e poi nel cinema, ma Tom Ford non si ferma mai alla superficie e va nel profondo. Non possiamo non riconoscere che la chiave della sua bravura e del suo successo sia la sincerità. Tom è un regista fantastico, ed a volte è vero che troviamo solo tardi quello che amiamo nella vita.