Tanto di cappello! (facciamo subito la battuta e ci togliamo il pensiero)
Iniziamo con una confessione in punta di penna: non potete immaginare quanto sia stato difficile scrivere questa recensione. Il problema non è stato trovare la parole giuste per descrivere Super Mario Odyssey, di quelle ne abbiamo a bizzeffe, come potete vedere scorrendo il testo. Non è stato neanche un problema di argomenti di discussione che il gioco offre, visto che è un prodotto semplicemente immenso e potremmo stare qui a chiacchierare per ore.
Il vero motivo di questa inerzia verso la recensione è Super Mario Odyssey in quanto tale: non è un videogame, è una MALEDIZIONE fatta di puro di divertimento, creata in laboratorio per non dare tregua al malcapitato videogiocatore che decide di farci una partita, magari veloce, cinque minuti prima di mettersi a studiare… o a scrivere!
La cosa più difficile per noi è stata proprio mollare la Switch per mettersi davanti al computer! E se anche voi aveste la vostra copia tra le mani, siamo certi non sareste qui a leggere questa review! Non commettete questo errore, posate la console e seguiteci in questa avventura lunga quanto un matrimonio pugliese, ma senza i problemi di digestione del giorno dopo!
Questo matrimonio non s’ha da fare
Non sarebbe un gioco di Mario senza la principessa Peach in pericolo nelle grinfie del temibile Bowser. E infatti, la cinematica iniziale ci catapulta sul vecchio galeone del Koopa Spinato per assistere a Mario che sfida il suo più acerrimo nemico.
Sembra l’intro di uno Smash Bros qualsiasi, per l’intensità e le inquadrature scelte, per la violenza (cartoonesca, ma sempre mazzate sono!) con cui l’azione si dipana sullo schermo. I due eroi si fronteggiano e si sfidano come sempre, gli occhi infuocati, solo che a lasciar perplessi non è il combattimento, la determinazione dei due protagonisti o il fatto di trovarsi su un galeone volante: a questo siamo abituati. La cosa assurda è la mise di Bowser, così bianco, candido, le scarpe pesanti bordate d’argento, una tuba a completare il quadro: mio dio, Bowser si sta sposando!
Dopo trent’anni di rapimenti senza un vero scopo, Bowser sceglie la via dell’amore coatto, e cerca di fare sua la povera Peach, che, come al solito, non ha affatto voce in capitolo. Purtroppo in questo iniziale scontro, come è ovvio pensare, Mario ha la peggio e viene gettato fuoribordo senza tanti complimenti, il suo iconico cappellino rosso ridotto a brandelli dalle eliche della nave volante.
E così inizia l’avventura di tutte le avventure, con un cappello rotto e un trauma cranico, la principessa rapita aggrappata a un bouquet di piante piranha e una Tiara occhialuta a coronarle la testa.
In questo punto della storia entra in gioco Cap, vero e più incredibile coprotagonista della storia, elemento centrale di tutto Mario Odyssey. Alle apparenze è un cappello senziente, una sorta di versione evoluta e un po’ più divertente del Cappello Parlante di Harry Potter, ma con un appeal decisamente superiore.
Anche lui sta soffrendo una perdita: la sua cara e amata Tiara è stata rapita dallo stesso Bowser per fare da ornamento alla sua futura sposa. Per questo motivo, l’Idraulico-Non-Più-Idraulico e il Cappello-Ma-Non-Un-Cappello-Qualsiasi decidono di unire le forze per salvare le loro dolci metà, viaggiando in lungo e in largo tra i vari regni toccati da Bowser.
A bordo della nave a forma di Cappello a Cilindro, la Odyssey, appunto, i due intrepidi eroi solcheranno i cieli, approderanno su terre sconosciute e faranno la conoscenza di individui sempre più strani, cercando di sistemare tutto quello che la Cricca di Bowser sta irrimediabilmente distruggendo al suo passaggio. In giro con la Odyssey, faranno la conoscenza dei Broodals, l’agenzia di wedding planner coniglieschi più assurda che esista, che applicano un metodo di organizzazione leggermente aggressivo.
Per quanto la storia alle spalle di Super Mario Odyssey sia come sempre esile e lineare, non mancano dei pezzi di pura bellezza, il tutto incastonato nel contesto matrimoniale, in un mix a dir poco esplosivo.
A tutto questo aggiungiamo anche una scrittura semplice, efficace e tagliente, come ormai siamo abituati nei titoli di questo tipo. È emblematico che in un incontro con Bowser, il tartarugone nazionale esclami: ‘Sto organizzando un matrimonio ed è una cosa molto stressante!’, prima di attaccare Mario senza mezzi termini…
E poi, ogni tappa è caratterizzata da un diverso aspetto delle nozze: dall’anello al banchetto ai drink, tutto è passato al vaglio e per tutto esiste un posto preciso da saccheggiare che si trasforma in una sfida per Mario e Cap.
Con un po’ di malignità, qualcuno potrebbe anche sottolineare che con il matrimonio chi ha veramente la peggio è proprio Bowser, ma non è questo il luogo e momento per discutere del mondo oltre fidanzamento.
Vi invitiamo a godervi le sequenze finali (che non vi riveliamo per rispetto), ma davvero, quei minuti di filmato al termine dell’avventura valgono da soli l’acquisto del gioco e sono a tutti gli effetti una delle conclusioni più belle dell’intera lunghissima serie di capitoli di Super Mario. Concludono la vicenda in maniera da lasciare immobili con la pelle d’oca e un piccolissimo accenno di lacrima dietro il sorriso ebete che inevitabilmente avrete stampato in faccia. E se ci siete già passati, non potete far altro che confermare.
Confessate!
Jump up, Superstar!
Super Mario Odyssey mette il giocatore di fronte all’arduo compito di inseguire Bowser: per farlo Mario e Cap hanno a disposizione un mezzo di locomozione alquanto bizzarro, una nave a forma di cappello a cilindro, recuperata da un’isola preistorica.
La particolarità di questa aeronave è che per volare e spostarsi ha bisogno dell’energia delle Lune sparse per i livelli. Ad ogni step prestabilito, la nave viene potenziata e si sblocca quindi una nuova area di gioco.
Semplice e immediato.
L’acquisizione delle lune è ovviamente subordinata al completamento di task e obiettivi all’interno dei mondi, alcuni dei quali, più importanti, servono a portare avanti la narrativa di fondo del gioco. Alla base di tutto il trambusto che accoglie di solito Mario nei nuovi livelli, c’è l’intervento dei Broodals, incaricati al soldo di Bowser che hanno il compito di organizzare le nozze del secolo. Così, per ogni mondo dobbiamo rimboccarci le maniche e sconfiggere uno dei quattro conigli matrimoniali e riportare la pace là dove è stata infranta.
Super Mario Odyssey è un platform e non credo che ci sia la benché minima ombra di dubbio. Però, per essere precisi, dopo averci passato insieme decine di ore, possiamo dire con una certa sicurezza che Odyssey è IL PLATFORM, un nuovo standard in questo tipo di giochi, con cui tutti i titoli a venire dovranno fare i conti.
Alla base del gameplay ci sono anni e anni di esperienza in questo di genere di giochi, sicuramente, ma c’è una scintilla di novità che con poco stravolge completamente il concetto, rendendo ancor più concreto e solido.
In pratica, Super Mario Odyssey è sempre riassumibile in ‘Salta sulle piattaforme’ fino a raggiungere l’obiettivo, ma questa formula di gameplay è talmente riempita di sfaccettature e accorgimenti da essere stata snaturata e modificata geneticamente fino a ottenere un ibrido perfetto tra platform e open world, in una commistione che si scontra con le innumerevoli mosse che il nostro idraulico preferito può performare.
Un’ulteriore aggiunta di spessore e semplicemente geniale è l’introduzione del compagno di giochi di Mario: Cap, il cappello dalle mille funzioni. A tutti gli effetti, questo bizzarro prodotto della sartoria digitale è un personaggio a se stante, non solo una mascotte o uno strumento. Il suo operato è giustificato dalla perdita della sua amata Tiara e quindi la volontà di salvarla lo mette sullo stesso piano semantico del buon vecchio Mario.
Con Cap, viene esteso e moltiplicato il set di mosse e di volteggi che Mario può eseguire. Per certi versi, quello che abbiamo di fronte è una evoluzione delle meccaniche di gioco presentate tanti anni fa con il sempre mitico Mario 64 e esplorate un po’ più a fondo con Mario Sunshine. Il baffuto eroe può saltare, fino a tre volte di seguito, può eseguire schianti a terra e rotolare lungo i pendii: tutto nella regola. Ma ora può sfruttare Cap come piattaforma aggiuntiva e arrivare più lontano, può lanciare il cappello per afferrare monete e altri bonus sospesi in aria e può, se ce n’è necessità, assumere una posa decisamente sexy.
E non solo! Tra le funzioni decisamente game-changing del cappello c’è quella della possessione (o cap-ture, se volete usare un termine meno lugubre). Quando il cappello raggiunge alcuni oggetti o nemici, Mario viene trasferito al loro interno e ne prende il controllo. È un concept assolutamente semplice, nella sua immediatezza, già sfruttato in altri videogame, come Geist, un vecchio titolo in soggettiva per Gamecube, ma che qui aggiunge un ulteriore strato di gameplay. L’implementazione di questa funzione influisce incredibilmente sull’approccio ai livelli, mettendo di fronte al giocatore ogni sorta di enigma ambientale declinato in maniera completamente diverso rispetto a quanto fatto prima d’ora. E poi, diciamolo, essere per una volta Goomba è una soddisfazione che raramente abbiamo provato in vita. E anche trasformarsi per un attimo in un paletto o un albero di natale ha il suo perché…
Queste considerazioni ci portano poi a riflettere su un altro approccio che i designer di Super Mario Odyssey hanno preferito nel creare questa avventura: hanno abbandonato la linearità dei livelli canonici, come quelli che avevamo giocato in Super Mario 3D World, per realizzare invece dei veri e propri Playground dove scatenare il platformer che c’è in noi. Ogni ‘mondo’ è una distesa di minisfide e percorsi nascosti che si dipana di fronte al giocatore senza soluzione di continuità. Da una parte, affrontare un nuovo livello è un po’ spaesante perché ci mette di fronte a una pletora di punti di interesse che inevitabilmente andremo ad esplorare. Dall’altra questa enormità è tenuta a bada dalle miniquest che ci vengono proposte nel corso del gioco.
È quello che potremmo chiamare ‘Effetto Breath of the Wild’, ma in piccolo e con le dovute distinzioni. Il punto cardine in questo gioco non è il salto, la capriola o la piattaforma su cui siamo atterrati con una precisione millimetrica: ancora una volta la vera chiave di lettura di questo titolo è l’esplorazione nella sua forma più pura. Sarà il desiderio di andare a scoprire cosa c’è dietro quell’angolo a cento metri dal suolo a spingerci sempre più in là, sarà la voglia di esplorare le profondità di un laghetto ghiacciato che ci farà perdere ore e ore del nostro tempo senza neanche accorgerci.
Questa è la vera rivoluzione del gamedesign di Mario Odyssey: lasciare che il giocatore si diverta a suo piacimento, dandogli sempre qualcosa da fare, senza che il flusso di gioco sia mai mai MAI interrotto. I vari task emergono spontaneamente tra un passo e l’altro e senza il bisogno che qualcuno o qualcosa ci dica cosa fare. Se vediamo una Goombina innamorata su un dirupo, sappiamo che c’è qualcosa da fare per aiutarla. Ed è così sempre, a ogni minuto di gioco.
Con Super Mario Odyssey, Nintendo ha inventato il Platform infinito, un po’ più del sandbox e sempre pronto a tenere viva l’attenzione del giocatore. Impareggiabile.
Un paio di parole vanno spese sui controlli, perché si sa che Mario è famoso per la sua precisione e per la scioltezza con cui è in grado di eseguire tutte le sue mosse e suoi salti. In questo caso, Nintendo ha deciso di concentrarsi sui controlli di movimento, che trovano una nuova e vera ragion d’essere. La spontaneità con cui si lancia il cappello scuotendo il Joycon è quasi soprannaturale, tanto che sembra di giocare a freesbee. Allo stesso modo, facendo diversi movimenti con i telecomandi si ottengono diversi risultati a schermo, e con una sorprendente precisione. Dimenticatevi i vecchi telecomandi della Wii, che reagivano a ogni minimo stimolo e spesso anche a caso: con i Joycon, i sensori di movimento sono diventati ottimi, reattivi alla giusta sollecitazione e perfettamente responsivi al volere del giocatore. Far roteare il cappellino intorno a Mario per liberarsi dei nemici che ci circondano è semplicissimo, basta inclinare i joycon nella giusta direzione; lo stesso per lanciare il cappello verso l’alto o verso il basso, e il tutto senza tentennamenti.
Purtroppo alcuni movimenti e alcuni lanci sono effettuabili solo ed esclusivamente con i Joycon staccati, lasciando un vuoto per chi invece usa il joypad o la console in mobilità. È una scelta un po’ strana, ma possiamo assicurarvi che non mina affatto il gameplay! Vi diciamo che abbiamo trascorso lunghissime sessioni di gioco in modalità portatile (potete immaginare anche dove… Sul treno, cosa avevate capito?) senza provare nessuna nostalgia del motion controller.
Super Mario Weird
Dal punto di vista artistico, il gioco si presenta come un masterpiece di varietà e trovate geniali. Nel perfetto stile della serie, è coloratissimo, cartoonesco e zuccheroso, suffragato da una pulizia grafica decisamente sopra la media. Il discorso va molto al di là della mera realizzazione tecnica, del numero di poligoni e del framerate: qui ci troviamo di fronte a una coerenza artistica imprescindibile che detta nuovi standard per la serie. Dei più di dieci mondi a disposizione non ce n’è uno che sia davvero sottotono e anche coloro che si lamentano del Regno delle Nevi evidentemente non hanno ben capito quanto l’approccio al design di quel livello sia proprio la freddezza che deve emanare.
Ogni cosa ha un senso, perfettamente calata nel contesto semantico del livello stesso. Per esempio, il livello nel deserto, con i rimandi messicani e la sabbia è un perfetto connubio tra il colore ocra e polveroso della rena e i colori sgargianti delle case e degli abitanti. Il contrasto genera fusioni di intenti e il risultato è un tripudio artistico che comunica anche quando è in silenzio.
Girovagare per i livelli o playground o come li si voglia chiamare è sempre fantastico soprattutto per le sorprese che ci attendono dietro l’angolo. Odyssey è sicuramente il titolo più Weird della serie, grazie alla possibile interazione con tantissimi oggetti. E non è il solo motivo, per cui possiamo definire questo gioco ‘strano’.
In un mondo avremo a che fare con Forchette Parlanti, in un altro cavalcheremo una statua di pietra o vestiremo i panni di un Moai dell’Isola di Pasqua con gli occhiali da sole, o ancora potremo prendere le sembianze di un uccello dal becco retrattile e agganciarci al muro per poterlo scalare. Insomma, vi lascio immaginare quante possibilità offra questo titolo e sono tutte perfettamente integrate nell’esplorazione del mondo di gioco.
Vi possiamo assicurare che più di una volta rimarrete letteralmente deliziati dalle trovate che i designer di Mario Odyssey hanno messo in piedi e senza ombra di dubbio la varietà di queste continue invenzioni è uno dei motivi che spinge il giocatore a continuare a esplorare. Si va ben oltre la sfida e il challenge da videogame, e si sconfina in quel campo dorato della gioia di scoprire e calpestare una nuova terra. E se questo obiettivo è stato raggiunto da Mario Odyssey è solo perché in un modo o nell’altro, il gioco continua a lanciare nuovi segnali e sta solo al giocatore riuscire a interpretarli.
Per fortuna, però, esistono anche dei motivi diversi dal trasformarsi in novelli Ambrogio Fogar alla base della bellezza di Super Mario. Uno di questi è il collezionismo sfrenato che ci spinge ad accumulare monete su monete: comprare i completini con cui abbellire il nostro idraulico. In questo senso Nintendo ha dato fondo a tutto il repertorio di giochi in cui è comparso Mario, da quelli classici e conosciuti (c’è un bellissimo vestitino da Super Mario 64, poligonoso e spigoloso, old style) fino a quelli più criptici, come il Mario Pilota che compare come ospite in 3D Hot Rally, un vecchio titolo di corse per Nes. Quindi da questo punto di vista, il gioco è una vera e proprio enciclopedia Mariesca in forma di outfit.
Ma se è l’easter egg che state cercando, il gioco ne è pieno oltre ogni limite, rimanendo ben lontano dal citazionismo fine a se stesso che spesso siamo costretti a vedere. Mario Odyssey non cita, CELEBRA se stesso, il gioco, il franchise e sopra a tutto la passione e l’amore che i giocatori di tutto il mondo gli hanno accordato in questi oltre 35 anni di carriera. E lo fa a modo suo, inventando quelle che potrebbero essere delle citazioni interattive.
Un esempio lampante sono i livelli 2d sparsi nei mondi gioco. Per essere coerenti con l’azione a schermo, questi sono rappresentati come dei murales, stampati sulle finestre dei palazzi, sul fondo del mare o dietro una parete di roccia. Una volta dentro, Mario ritorna alla sua prima incarnazione pixellosa, con le sue mosse limitate e la grafica con cui si presentò al pubblico per la prima volta. Un po’ come se l’Alfa e l’(attuale) Omega del videogame si fossero incontrate in un punto imprecisato dell’universo videoludico.
C’è una sequenza nel mondo di New Donk City che vi farà piangere amare lacrime se avete vissuto quel periodo di continua scoperta che erano gli anni 80 dei videogame. Se invece siete appena approdati in questa vasto mondo, rimarrete contenti di aver passato un momento inconsapevole con uno dei capisaldi di tutti i videogiochi attuali.
Tenetelo a mente, bambini!
Le ambientazioni di Super Mario Odyssey sono stravaganti, coinvolgenti e curatissime, ma sono tutte completamente diverse le une dalle altre, quasi slegate. C’è un solo collante che li mantiene insieme ed è lo stesso Mario. Volutamente, Kenta Motokura ha deciso di impostare il gioco con aree divise e ben diverse tra loro, raggiungibili solo dopo un periodo a bordo della nave: la sua idea era quella di trasferire la magia del viaggio e della vacanza in un videogame. E infatti, nonostante la pressante incombenza di dover salvare Peach, il buon Mario accompagnato da Cap sembra divertirsi un mondo, sempre affascinato di aprire il portellone della Odyssey su un cielo di colore diverso, respirando aria nuova.
Un secondo aspetto che richiama alla vacanza e al girovagare per il mondo è dato dalla necessità di indossare abiti del luogo in cui si soggiorna, cosa che Mario deve fare per riuscire ad accedere ad alcune aree, in perfetto spirito di Turista per Caso. È la versione mariesca e videoludica della sempre ottima e pericolosa abitudine di mangiare sempre e comunque cibo del luogo dove si va in vacanza. Talvolta può essere una cosa bella, talaltra può portare a esplosive conseguenze… Ma resta sempre un ricordo di un viaggio che forse non rifaremo mai più!
Lo stesso sottotitolo di questa Avventura, l’eponima Odyssey, richiama uno dei viaggi più lunghi e famosi della storia, quello di Ulisse nel suo tentativo di ritornare a casa dalla sua amata. Beh, le analogie con l’Odissea di Omeriana memoria sono tante, e il finale (che non vi raccontiamo) un po’ serve a suggellare questo piccolo riferimento letterario, glorificando il lungo viaggio di Super Mario, solo per aprire lo scenario a una nuova possibilità di gioco, perché come si sa benissimo, i viaggi (come gli esami) non finiscono mai e siamo costretti in un moto perpetuo che ci porterà solo verso il nostro destino.
E tutti noi videogiocatori sappiamo qual è il destino di Mario…
Honky Donk
Un aspetto prominente, estremamente curato e sicuramente vincente di Super Mario Odyssey è il sonoro. Da una parte, abbiamo avuto il piacere di scoprire e ascoltare ripetutamente la canzone promozionale interpretata mirabilmente da Kate Higgins, che ha dimostrato come lo swing sia ancora un genere che tira anche nel mondo elettronico dei videogiochi.
La canzone, Jump Up Superstar, è presente anche in una delle sequenze più belle di tutto il gioco, interpretata dalla band di Pauline, la prima vera fiamma di Super Mario. Per chi non se lo ricorda, Pauline è la fanciulla rapita da Donkey Kong nel vecchio videogioco e che in Odyssey si ritrova a essere sindaca di New Donk City e front-woman di una band swing-jazz di sicuro successo. Non male, per una comparsa di cui quasi nessuno si ricorda!
Pauline si esibisce anche nel finale di gioco con un’altra traccia pop rock molto accattivante, mentre nel gioco, i motivi che sottolineano il gameplay sono tanti, vari e alcuni dannatamente catchy. Vi ritroverete a canticchiarli con una facilità che rasenta il soprannaturale, tanto vi rimarranno appiccicati alle orecchie.
Il gioco non è doppiato, a parte le frasettine stereotipate di Mario e Peach, e questo lo lega saldamente alla tradizione della serie. Gli effetti sonori sono un altro trait d’union del nuovo capitolo con quelli passati, con un orecchio di riguardo alle transizioni tra il 3D e il 2D antico, quando la musica vira verso un ritmo 8bit sempre nell’ottica di una coerenza interna prestabilita e mai tradita.
Verdetto
C’è tanto da dire su questo gioco, che, paradossalmente, si presenta solo come un platform. Potremmo parlare del livello cittadino e di quanto nonostante tutto risulti essere coerente con il resto dei livelli. Potremmo continuare a dire che talvolta alcuni combattimenti sono un po’ troppo facili, anche se il gioco ci tira addosso dei livelli di rara difficoltà. Potremmo anche dire che negli ambienti angusti la telecamera fa un po’ le bizze e bisogna domarla con forza.
Potremmo dire queste cose, certo, ma c’è una sola verità da ricordare al termine di questa lunghissima recensione: Odyssey è bellissimo, imperdibile, un acquisto obbligato, una killer application e una storia di rara bellezza nella sua semplicità.
Odyssey è il gioco che tutti i possessori di Switch devono avere.
È un capolavoro.
Odyssey è semplicemente il Super Mario di tutti i Super Mario.