Durante la Festa del Cinema di Roma abbiamo avuto il grande piacere di incontrare Chuck Palahniuk, uno degli scrittori più influenti di questo secolo, noto in particolar modo per aver scritto Fight Club ma molto amato, soprattutto dai giovani, anche per la restante e particolare bibliografia.
Insieme ad altri colleghi della stampa abbiamo avuto modo incontrarlo e scambiare quattro chiacchiere, parlando di Fight Club, cinema, violenza ed altro ancora…
Nel 1996 viene pubblicato Fight Club, il tuo primo romanzo ma anche il più famoso. Un vero successo, ma non da subito. Giusto?
Esatto, non fu subito un trionfo. Anzi, all’inizio furono vendute meno di 5mila copie, e anche quando tre anni dopo uscì il film, questo rimase in programmazione nelle sale meno di due settimane. Fu davvero un flop. Il successo arrivò dopo, quando fu messa in commercio la versione home video del film che lo ha trasformato in cult.
Come è nata l’idea di Fight Club?
È nata come esperimento, perché volevo semplicemente basarmi su delle regole che permettessero di attuare la transizione tra idee diverse o da diversi aspetti delle idee stesse. Si trattava quindi di crearne alcune in modo da avere un luogo dove si potesse combattere in un modo simile a quando si balla in un locale.
Ovviamente tutto questo non è facile in un libro. Nel cinema è possibile mettere insieme in un montaggio cose molte diverse e rapidamente, senza bisogno di grosse spiegazioni ma sapendo che il pubblico è in grado di seguire queste transizioni. Esattamente come nei fumetti, in cui non c’è bisogno di inserire nulla tra una tavola e l’altra. Io ho cercato di fare lo stesso con Fight Club, mettendo insieme delle idee diverse tra loro.
Hai seguito la lavorazione del film?
Sì, ho partecipato molto e sono stato spesso sul set. Ma non solo io, anche parecchi miei amici.
Uno degli aspetti che emerge, in Fight Club ma anche in altri tuoi lavori, è la violenza. L’America ci ha abituato spesso ad esplosioni tragiche di violenza, in un modo che spesso ci sembra davvero inspiegabile. C’è qualcosa di prettamente americano, legato strettamente alla cultura a stelle e strisce in tutto questo?
Ora sono costretto a rivelare quello che sarà il mio prossimo libro. Sto cercando di trovare una teoria unificata che possa spiegare un legame tra le morti violente che avvengono all’interno dello stesso gruppo di persone. Abbiamo assistito a un numero impressionante di morti neri provocati da altri neri, stesso discorso in altre comunità, ma siccome è una realtà che appartiene agli “altri” non se ne parla tanto spesso. Ci sono però anche bianchi che commettono stragi con armi da fuoco, e anche qui avviene all’interno dello stesso gruppo, della stessa società. È un po’ questo il tema del mio prossimo libro.
Hai detto in passato che il cinema è una forma di espressione superiore alla letteratura. Perché?
Naturalmente mi riferivo al meglio, sia dell’uno che dell’altro. È la collaborazione che dà al cinema un valore che lo rende più potente. Questo perché nella migliore delle ipotesi un buon libro esprime l’opinione di un soggetto, mentre nel cinema c’è la molteplicità di più persone che lavorano insieme e posso creare qualcosa di magnifico.