13 buone ragioni per farla finita. O no? (TERZA e ultima PARTE)
Un’evidente mania di Stefano Bonfanti è quella di intraprendere di sua spontanea volontà dei percorsi seriali e bloccarsi subito prima del capitolo conclusivo. Sia allergico a mettere la parola”fine”? Vagamente preoccupante, in effetti, dato che è proprio di farla finita che parla questa mini-saga di editoriali, partita quando ancora i “tredici motivi” erano sulla bocca di tutti per via del momento d’oro della semi-omonima serie targata Netflix. Vediamo se davvero riesce a darci questo benedetto taglio.
9) L’altro lato della carriera
L’ascesa di un talento verso le stelle è uno dei cliché più gettonati per storie appassionanti e romantiche. Il nostro eroe che parte dal niente, fa la gavetta e poi sale di gradino in gradino verso posizioni via via più prestigiose. Bello a vedersi anche nel campo del fumetto, con autori di grande talento che iniziano con esperienze presso case editrici piccole e ruspanti e poi approdano in realtà più complesse, strutturate e che sul mercato fanno la parte del leone. Ma il “bello a vedersi” dipende tutto dalla prospettiva da cui lo guardi.
Io, per esempio, sono alla guida di una casa editrice piccola e ruspante e quando i miei talenti fanno il balzo verso i più grandi… beh, è stato bello finché è durato. Un po’ mi viene da pensare che parte di quella spinta necessaria a fare il balzo sia dovuta proprio a quanto ci ho creduto io e a quanto ho contribuito a far crescere l’autore, a fargli avere peso e a dargli un palcoscenico.
Ma niente rancore, per carità. Anche perché comunque mi piace circondarmi di persone corrette e quando più quando meno, ho goduto del loro riguardo (vuoi solo nel sentirli dire che certi aspetti delle nuove realtà gli fanno rimpiangere i bei tempi con noi). Questo però attenua senza cancellare quella vaga frustrazione di aver dato il “la” a una sinfonia di cui saranno altri a bearsi.
10) Volubilità, il tuo nome è audience
Chi è stato Vincenzo Tiberio? A meno che non si sia letto un recente articolo di Focus, direi che la domanda potrebbe trovare il buio più assoluto; non è così? Ebbene, questo studioso ottocentesco aveva scoperto le proprietà battericide delle muffe ben trentacinque anni prima che Fleming scoprisse la penicillina. Ma il fato volle che i suoi studi non entusiasmassero chi di dovere, mentre lo scienziato britannico ebbe ben altra sorte.
Dinamica tutt’altro che rara. Si pensi solo al fatto che Facebook non è stato il primo social network e le sue funzioni già ricalcavano in modo pressoché pedissequo quello di altri siti analoghi.
Scendendo molto, molto più terra terra, mi viene da pensare a una mia recente esperienza. D’un tratto mi sento arrivare notifiche su notifiche di amici che mi segnalavano un locale commerciale il cui nome era il titolo di un fumetto che avevo pubblicato qualche anno fa.
La copertina del mio fumetto come immagine del profilo della pagina di quel locale lasciava presagire tutt’altro che una coincidenza. Ma non è quello il punto.
Il punto è che il gioco di parole alla base del titolo, accolto in maniera piuttosto ordinaria al lancio del mio fumetto, adesso che era stato fotografato sull’insegna di questi miei parass– ehm… omaggiatori, stava generando un entusiasmo social fuori dal normale. Lanciato e rilanciato da pagine con centinaia di migliaia di followers, moltiplicato per migliaia di reactions e condivisioni, mi faceva chiedere come mai a suo tempo non ci fosse stato tutto questo hype.
Sono stato tentato di procedere inflessibilmente coi plagiatori ma… vado sulla loro pagina e hanno poco più di duecento followers. In altre parole, di tutto quel clamore, neppure loro hanno beneficiato granché.
E perché? Perché il pubblico, evidentemente, è a più strati. Uno strato curioso, interessato e attivo ma numericamente ben esiguo, più uno strato decisamente più affollato. Ma che inevitabilmente si limita a non scavare un centimetro sotto la superficie. Uno strato che non mi somiglia e che dunque non so come conquistare. Mi sa che ormai sia chiaro che non riuscirò mai ad andare sui numeri.
11) Gli anni passano, l’ansia resta
Adesso che sto scrivendo è fine ottobre. E fine ottobre, ormai da tempi immemori, per me è l’apice del delirio più assoluto. D’altronde, da editore ed autore italiano di fumetti, sarei un folle se non mi giocassi il tutto per tutto sull’anomalia più grossa del nostro settore. Una fiera che tutti cercano di emulare, che molte volpi denigrano più dell’uva acerba e che anche i più profani vedono come la mecca di quel fumetto per il quale si appassionano per cinque giorni all’anno.
Ma io non ho più vent’anni. O meglio: li ho due volte di seguito.
Tutta quest’ansia da prestazione, i primi tempi era magica e stimolante. E il motivo c’è, dato che la contropartita è bella sostanziosa.
Non parlo vilmente del solo fatturato: quello è solo un riflesso di aspetti più importanti. Più lettori, più attenzione, più gratificazione. Ma per quanto la contropartita sia sostanziosa, anno dopo anno scopri che non ci sono poi tante sorprese. E quindi questa eterna coazione a ripetere smorza l’eccitazione, un po’ come vedere e rivedere un bel film.
12) Cadono come mosche
“Ehi, non ti immaginerai mai quello che sto per fare!” mi dice il mio amico appassionato di fumetti di turno, pieno di eccitazione.
“Aprirò una fumetteria!” lo immagina dire la mia mente, un attimo prima che pronunci davvero queste parole.
E lì avanti con le congratulazioni e i peraltro sinceri in bocca al lupo. Ma mi resta spesso difficile condividere l’entusiasmo di chi si getta per pura passione (confortata da piani di mercato che immancabilmente l’assecondano) in un settore asfittico e che non mostra segnali di ripresa.
Spero sempre di sbagliarmi, davvero.
E poi, dopo un intervallo più o meno lungo, risento il mio amico che, con tono mesto, mi dice di nuovo una frase che la mia mente lo sente proferire un istante prima che apra bocca.
13) Ma davvero voglio darci un taglio?
Giù la maschera, ragazzi. I dodici motivi che ho snocciolato fino ad ora sono nient’altro che dodici riflessioni amarognole con le quali ho fatto finta di avere le idee chiare su quanto valga la pena restare a bordo o lasciare.
Ma no, non sono melodrammatico come la nostra povera Hannah Baker e il mio non è un settore di mucche da mungere o cani randagi da calciare via. Qui si resta se si vuol restare e si scappa se si vuole scappare. Solo in rari casi ci sono realtà in cui due più due fa quattro, ma non faccio parte di quelli.
Me ne andrò? Resterò? Sicuramente non deciderò in base a quanto la cosa può farmi notare, con buona pace di Nanni Moretti. Ed è anche inutile fare il grande esperto, salvo su quelle due o tre cose che hanno formato la mia carriera artistica e professionale.
Volete la risposta, quella vera? Ecco la risposta, quella vera.
Ho voglia di restare. Almeno un altro po’.