La morte è parte naturale della vita, gioisci per coloro che intorno a te si trasformano nella Forza.
A due anni da Episodio VII, e carichi dell’attesa che si confà ai grandi appuntamenti, Star Wars: Gli Ultimi Jedi arriva finalmente al cinema e noi, più che mai, siamo consci del fatto che qualcosa è definitivamente cambiato nell’assetto della saga più amata dai nerd dell’ultima ora e non. Perché più che in passato, questo Episodio VIII è un film che sceglie di percorrere una strada che condurrà la saga verso il suo futuro, e con esso riassettarsi per una fruizione che non sia solo prerogativa delle vecchie, e vecchissime generazioni, ma anche delle più giovani.
Star Wars 8 è un film per gli jedi di domani, o anche per chi non aveva mai pensato di poter seguire con piacere la serie di Star Wars. Non compie passi in avanti sotto nessun punto di vista, ma semplicemente lavora di scrittura (ma non benissimo) per far avvicendare le vecchie leggende e le nuove, e per consacrare l’immaginario di Guerre Stellari ad un pubblico, se possibile, ancor più vasto e universale.
E così in oltre due ore di film assistiamo a quello che è un viaggio lungo e periglioso, in cui si alternano quasi senza continuità dei momenti di azione pura, di combattimenti spaziali e di esplosioni di una bellezza dirompente, ad alcuni più riflessivi, quasi di stanca, atti ad illustrarci quelli che sono, fondamentalmente, dei passaggi di testimone tra la vecchia guardia e la nuova. Difficile dirvi di più senza spoilerare nulla, perché in questo film accadono veramente molte, moltissime cose. Il fattore più sorprendente è che a differenza dell’episodio precedente, Rian Johnson è riuscito a rendere il tutto meno telefonato, tanto che qualunque congettura nata e morta in rete relativa a situazioni, legami, parentele, ritorni e tradimenti, viene puntualmente disattesa da una serie di eventi che in qualche modo sa sempre e comunque sorprendere e stuzzicare lo spettatore. E questo, non c’è bisogno che ve lo si dica, è un pregio notevole.
Ne Gli Ultimi Jedi, insomma, succede veramente di tutto, e quel tutto è tenuto insieme da una messa in scena a tratti autenticamente spettacolare. Ci sono, per dire, delle scelte cromatiche che puntano costantemente all’alterco tra i due lati della forza, ci sono colori che rimandano agli stati di turbamento e rabbia vissuti dai personaggi in scena, ma soprattutto ci sono alcune sequenze che per resa estetica e regia sono forse quanto di più bello la saga abbia mai partorito, il che riesce a staccare un autentico senso di meraviglia persino sul volto del disillusissimo nerd che vi sta scrivendo. Il che, scusate, non è poco. Detto così sembrerebbe quindi tutto perfetto, peccato solo che il film riesca anche, e puntualmente, a tradire un po’ la fiducia che a fatica cerca di costruire con lo spettatore, grazie soprattutto alla trama che oltre a presentare diversi momenti sinceramente assurdi (nonché un’unica situazione, con protagonista Leia, veramente brutta e nosense) manca anche di spiegare alcuni quesiti introdotti nel film precedente lasciandoli, senza alcun motivo apparente, relegati ad un dimenticatoio privo di logica.
Nel mezzo non mancano momenti sarcastici e volutamente leggeri, atti a strapparci dalle labbra una risata (nel complesso persino piacevole e mai fastidiosa), e va detto che al netto di tutto il film è comunque molto godibile ed intenso, ma usciti dalla sala non è proprio possibile non pensare a quelle due o tre situazioni incastrate nel racconto in modo un po’ troppo approssimativo e raffazzonato. Gli Ultimi Jedi è come composto da quattro canovacci diversi, che nell’idea del regista seguono evidentemente un montaggio ottimale, ma che in realtà significano per lo spettatore diversi momenti un po’ troppo lenti, con il pedale del freno schiacciato così forte che il film più che rallentare quasi si ferma. Intendiamoci: non stiamo parlando di noia, ma semplicemente di una non perfetta resa del montaggio, che rende la visione un su e giù di emozioni, con purtroppo molti istanti sul “mhe” andante.
Al centro di tutto, poi, un’unica grande protagonista: La Forza, il cui difficile equilibrio si incarna nel rapporto tra Kylo Ren e Rey, costantemente in contatto e presentati come i piatti della bilancia che pendono tra lato chiaro e lato oscuro. Da sempre e forse per sempre in conflitto, ma qui direttamente figli delle azioni della vecchia guardia, di quei maestri, di quelle leggende, che in qualche misura hanno fallito e hanno peccato di tracotanza, ed il cui lascito per l’universo è quello stesso squilibrio di poteri che ha portato caos e distruzione.
Proprio il messaggio relativo alla forza, il peso del retaggio, e la presenza preponderante di un redivivo Luke Skywalker, quasi schiacciato dagli anni e dal peso del fallimento del passaggio al Lato Oscuro da parte di Kylo Ren, sono in fin dei conti i motori principali della storia, attorno a cui è stato costruito quello che è il destino dell’Alleanza Ribelle, e dei vari personaggi che, ovviamente, le fanno da contorno. Forse si potrebbe biasimare la povertà di quel contorno, o la pochezza di certe scelte narrative (l’intera sopravvivenza dei ribelli, per dire, è affidata ad una mossa Kansas City veramente senza senso, condivisa per altro, senza motivo, da solo due personaggi). Ma non divaghiamo oltre. Il punto è che questo film, forse più del precedente, frammenterà ancor di più la fanbase e, per certo, scontenterà i fan più integralisti di Star Wars. Cosa questi ultimi si aspettassero di trovare in questo film, onestamente, per me resta un mistero. Lo Star Wars che vediamo oggi, che abbiamo visto due anni fa, e che presumibilmente vedremo per i prossimi dieci anni, non è quello con cui siamo cresciuti noi delle vecchie generazioni, né tanto meno quello che Lucas aveva cercato di riesumare con la sua seconda trilogia. Questo è uno Star Wars concettualmente più moderno e meno prosaico. Meno epico ma non per questo la spazzatura fumante che qualcuno vorrebbe per forza di cose convincervi che sia. Al netto di tutto, ad esempio, è forse lo Star Wars esteticamente più bello e, volendo, ricercato. Con alcuni momenti di fantascienza spaziale di una bellezza rara, se non la migliore che l’intera saga abbia mai proposto. Al netto anche della bellezza pomposa offertaci da Lucas nei primi anni 2000.
Ovviamente questo non basta. Non basta per conclamare Ep. VIII come un film eccellente, come non basta ai fan per gridare al miracolo. Ma il punto è che Star Wars sta andando avanti, e forse poco gli frega di tenersi attaccato addosso una generazione di nerd imbolsiti e disillusi che pretende di sventolare spade laser in sala a 40 anni suonati. Può essere un messaggio contestabile, finanche qualcuno potrà sentirsi tradito, ma il passaggio di testimone va compreso e accettato. Perché del resto, come diceva Yoda ad Anakin: “La morte è parte naturale della vita, gioisci per coloro che intorno a te si trasformano nella Forza”. Accettarlo o meno ci condurrà alla rabbia, al dolore, ad un lato oscuro dal quale non uscirete, pur combattendo con tutte le vostre forze il turbamento interiore che si confà al fan che ama, ma che si sente tradito. Un qualcosa che Rian Johnson intelligentemente ci riconsegna direttamente all’interno del film, quando per mezzo di un notevole colpo di scena ci spiega, tramite labbra quanto mai iconiche, quale sia il senso dell’essere maestri e cosa significhi “retaggio”.
“Ricorda, il vigore di uno Jedi proviene dalla Forza… Ma stai attento: collera, paura, aggressività, il lato oscuro essi sono. Quando il sentiero oscuro tu intraprendi, per sempre esso dominerà il tuo destino”
(Yoda – Il Ritorno dello Jedi)
Come dei redivivi Skywalker, ancorati al mito di una leggenda che oggi non è più, dobbiamo anche noi capire il senso del nuovo equilibrio della forza. Che non è più appannaggio di una elite di Jedi rintanati in chissà quale tempio ai confini dello spazio, ma è presente in tutti gli esseri ed in tutte le cose. La forza non è mai cambiata, semplicemente è sempre stata per tutti e di tutti, e questo è il messaggio più grande che potremo ricevere dal film. Scegliere di comprenderlo o rinnegarlo è compito dello spettatore, ben intenso che “solo i sith vivono di assoluti”.
Verdetto:
Rian Johnson non è J.J. Abrams, e pertanto Star Wars: Gli Ultimi Jedi manca di quel perfezionismo tecnico che, quantomeno, avrebbe permesso di creare un racconto più organico ed omogeneo. Così come ci è proposto, Ep. 8 è invece un film altalenante, con alcuni momenti di azione al cardiopalma incollati a scene più fiacche, con la risultante di una montagna russa di situazioni ed emozioni che, data la durata complessiva, potrebbero portare alla stanca. Lo scopo è tuttavia non solo intrattenere (cosa che la pellicola fa, comunque, abbastanza in scioltezza), ma soprattutto riconsegnare Star Wars alle nuove generazioni di Jedi, dentro e fuori lo schermo, non per mezzo di quel citazionismo forsennato con cui Abrams ci aveva furbescamente ingannati, ma con un racconto che si prende realmente la briga di passare quell’iconica spada laser dal maestro all’allievo. Star Wars: Gli Ultimi Jedi è questo: un racconto, che è anche una metafora, che è soprattutto un metatesto che, si spera, faccia capire alla vecchia guardia (di fan) che c’è ancora tanto da raccontare ma che tutto questo avverrà se, e solo se, saremo pronti a gettarci il passato alle spalle. In sintesi poteva sicuramente funzionare tutto meglio, ma difficilmente pagato il biglietto vi verrà voglia di alzarvi e scappare dalla sala prima dei titoli di coda. Star Wars è cambiato, è ora di accettarlo con serenità e senza paura. Perché la paura è la più grande nemica di un vero Jedi. La paura è la via per il Lato Oscuro. La paura conduce all’ira, l’ira all’odio; l’odio conduce alla sofferenza. La sofferenza del fan.