Nona puntata
La narrativa fantastica
Prima di entrare nel merito della cosiddetta narrativa fantastica, c’è da fare una considerazione di fondo: il concetto di genere letterario, così come quello di genere cinematografico, ha fondamentalmente origini di natura commerciale.
La narrativa è narrativa. Punto. Poi, siccome un romanzo è anche un prodotto, così come lo è un film, si è cercato di segmentare il mercato per pianificare strategie promozionali più efficaci; ci si è cioè chiesti a chi potrebbero interessare determinate tipologie di storie, ad esempio, storie romantiche o di guerra, racconti del mistero o dell’orrore.
Il problema è che questo ha finito per creare compartimenti stagni, fino a influenzare gli stessi scrittori che, invece di raccontare semplicemente una storia, si trovano spesso a limitarne le caratteristiche in base a modelli predefiniti.
Ricordo che diverso tempo fa scrissi un racconto di fantascienza che, sul piano del genere letterario, era di fatto un poliziesco. Ebbene, sebbene fosse piaciuto all’editore, non lo pubblicò perché a suo avviso i lettori della sua collana amavano la fantascienza “pura”, qualunque cosa quel termine volesse dire.
In effetti, col passare del tempo, anche gli editori hanno dovuto prendere atto che persino all’interno di un certo genere letterario ci sono infinite possibilità di sviluppare una storia, ma invece di abbandonare il concetto in questione, si è finito per rafforzarlo ancora di più, creando i cosiddetti “sottogeneri”. Così adesso abbiamo la space opera, la fantapolitica, il cyberpunk, lo steampunk, la fantascienza distopica e chi più ne ha più ne metta.
Rimane invece fuori da questo modello qualsiasi forma di ibridazione, o almeno, si cerca di evitarle ad ogni costo. Ad esempio, sebbene in un romanzo di fantascienza il romanticismo ci può tranquillamente stare, difficilmente leggeremo una storia “romantica”, ambientata nello spazio o su un mondo alieno. In realtà una buona storia è solo una buona storia e non avrebbe bisogno di essere per forza incasellata in un modello. Prendete ad esempio il film The Rogue One. Facendo parte della saga di Star Wars si potrebbe pensare a un film di fantascienza, eppure ad analizzarlo bene è di fatto un film di guerra a tutti gli effetti. Gli stessi film di Star Wars hanno caratteristiche che potrebbero farli considerare più fantasy che fantascienza.
Come venga classificata una storia, tuttavia, è secondario, almeno se lo si fa a posteriori. Al più si sarà costretti ad accettare il fatto che non risponda del tutto allo schema dei generi attualmente riconosciuti. Il vero problema sorge quando lo si fa prima che venga scritta, ovvero quando allo scrittore si pongono dei confini se non addirittura quando a porseli è lo stesso autore. In pratica quando ci si trova a DOVER scrivere una storia di uno specifico genere, per accontentare editore e mercato. Questa limitazione riduce di fatto il ventaglio di storie che potrebbero essere raccontate.
E qui veniamo a un secondo concetto fondamentale: fantascienza, fantasy, horror, noir, mystery e via dicendo sono considerati “letteratura di consumo”, in contrapposizione a quella “impegnata”, con connotazioni di carattere sociale, politico o comunque ricadenti nel filone del “realismo”.
Ebbene, anche questo è un pregiudizio. Non c’è alcun motivo perché una storia di fantascienza o fantasy non possa essere una grande opera, capace di colpire in profondità il lettore, di farlo ragionare su problematiche importanti, di trattare questioni delicate sul piano politico o sociale. Nessuno, tranne appunto il mercato, o meglio, gli editori. Un editore abituato a pubblicare opere impegnate, difficilmente pubblicherà un romanzo di fantascienza, per quanto buono esso sia, per paura di intaccare la sua immagine di “editore serio”. Viceversa, un editore che si rivolge a un mercato di consumatori, non se la sentirà di pubblicare un romanzo troppo raffinato, se non addirittura sofisticato o impegnato, per paura di veder crollare le vendite sul suo segmento di mercato di lettura “da intrattenimento”.
Così anche gli scrittori si adeguano. In fondo chi scrive lo fa per essere letto. Al di là del discorso economico, se un libro non vende, nessuno lo legge.
Da qui il consolidarsi dei generi letterari. Non era così qualche secolo fa. Nessuno si poneva il problema di che genere letterario fossero i romanzi di Jules Verne, Lewis Carroll o Jonathan Swift. In fondo l’“Odissea” è una storia fantastica, i “Promessi Sposi” un romanzo storico, “Frankenstein, o il moderno Prometeo” un racconto horror. Ma lo sono davvero? In realtà no, e comunque io preferisco pensare che siano solo storie, scritte e raccontate bene, e che questo debba essere sufficiente.
Eppure per molti non è così. Italo Calvino fu accusato di disimpegno per aver scritto le “Cosmicomiche”, Gabriele Salvatores duramente criticato per aver girato “Nirvana”. Una certa intellighenzia pretende esista una letteratura di serie A e una di serie B basate sul concetto di genere, piuttosto che semplicemente storie scritte bene e storie scritte male.
Quindi cos’è la narrativa fantastica? Abbiamo bisogno di alieni per avere un romanzo di fantascienza? Di magia per avere un fantasy? Di mostri per un horror? Sì e no. Parliamo di narrativa fantastica quando il romanzo è ambientato in un contesto non reale, ovvero nel quale ci siano elementi che non esistono o che si presuppone non esistano nella realtà che conosciamo. Da qui gli alieni, la magia e i mostri.
Eppure nulla ci impedisce di fare un romanzo fantascientifico in cui non ci sono né alieni né navi spaziali, o un horror in cui l’unico mostro non è altro che l’uomo stesso. Pensate al film “Alien”. Considerato di genere fantascientifico è a mio avviso uno dei migliori film horror mai realizzati, capace di suscitare tensione anche a chi l’ha già visto più di una volta. Perché? Perché ha tutte le caratteristiche giuste per essere un film dell’orrore. Che poi sia ambientato su un’astronave e che il cattivo sia un alieno è del tutto secondario. Si potrebbe riscrivere la sceneggiatura ambientandola su una petroliera e trasformando l’alieno in un semplice serial killer, magari un ragazzino. Funzionerebbe lo stesso, se si adottassero gli stessi tecnicismi filmici.
Perché allora stiamo parlando di narrativa fantastica, se il genere non è così fondamentale ai fini di stabilire la qualità di una storia? Perché se volete scrivere un romanzo di questo tipo vi troverete ad affrontare alcune sfide che chi scrive un romanzo storico o realistico non ha.
Infatti, sebbene ogni elemento fantastico di un romanzo di questo genere non sia altro che un’estrapolazione di un corrispondente reale — la magia della tecnologia, l’astronave di una semplice imbarcazione, il mostro del peggio che un essere umano può dare — la sua introduzione all’interno di una storia è tutt’altro che banale.
Pensate alla magia. Immaginate che esista sul serio. Perché i maghi non dovrebbero avere il potere? Intendo quello politico, di governare. Cosa glielo impedirebbe? Possono fare tutto quello che vogliono: uccidere a distanza, leggere nel pensiero, costringere le persone a eseguire qualsiasi compito. È chiaro che se vogliamo costruire una società più bilanciata nella quale tuttavia la magia esista, bisogna trovare meccanismi che ne limitino l’uso ed evitino quindi di avere una situazione irrealistica.
Già, perché fantastico non vuol dire inverosimile. Anche nella storia più fantasiosa ci deve essere una logica, per quanto astrusa, a meno di non scrivere volutamente qualcosa di geniale e demenziale come “La Guida Galattica per Autostoppisti”, ovviamente.
La vera sfida per uno scrittore di narrativa fantastica è proprio questa: il mondo che si crea, le situazioni che si sviluppano, i personaggi, tutto deve avere comunque un senso. E questo richiede molta conoscenza. Non si può creare un mondo alieno senza solide basi di astronomia, di fisica, di chimica, di geologia, di biologia e via dicendo; né si può creare una società o una cultura senza avere i fondamentali di sociologia e antropologia.
Immaginate di costruire un mondo, di dargli un’atmosfera, un clima, una gravità. Gli alieni potranno avere qualsiasi caratteristica, qualsiasi forma? Certo che no. Stabiliti alcuni parametri, si vanno a porre dei picchetti anche all’evoluzione delle specie. Analogamente, se una società ha una determinata cultura, questo influenzerà il modo di vestirsi, di comportarsi, persino l’esistenza nel vocabolario di determinati termini, ovvero il linguaggio.
Essere coerenti è la vera sfida per uno scrittore di narrativa fantastica. Quante volte avete visto un film in cui un mostro fa fuori un sacco di gente esperta, mostrando intelligenza e dando allo spettatore un senso di imbattibilità, per poi farsi ammazzare come un’idiota dal protagonista in un modo che faccia dubitare che sia persino senziente?
In un romanzo di carattere storico o realistico buona parte della coerenza è garantita dal fatto di parlare di un ambiente o di situazioni reali, di cui si ha esperienza diretta o indiretta ma comunque con una solida base esperienziale. In una storia fantastica questo salvagente non è disponibile e quindi si rischia facilmente di cadere in contraddizione o di scadere nell’assurdo anche quando non lo si vuole.
Come fare allora? Potrà sembrare strano, ma per scrivere una buona storia fantastica basta far riferimento alla realtà. Non è un caso che molti mostri della fantascienza siano evoluzioni fantastiche di animali realmente esistenti, magari rari o microscopici, ma con caratteristiche ben definite e note. Ibridi, molto spesso, in pratica “chimere”, ovvero realizzati prendendo caratteristiche diverse da animali diversi.
Analogamente un’astronave può riprendere certe caratteristiche mescolando un aereo con un sottomarino, mentre per un mago si può prendere a modello uno scienziato, magari un po’ distratto, introverso o misogino.
Un altro aspetto a cui prestare attenzione è la tecnologia. Non è difficile “inventare” il teletrasporto o la spada laser. La sfida qui è capire che impatto possa avere introdurre quella specifica invenzione in un tessuto sociale. Pensate a come il web ha modificato la nostra società. Studiate l’impatto che hanno avuto invenzioni come il vapore o scoperte come quella dell’elettricità. Ogni tecnologia ha un prezzo e modifica il modo di ragionare e di comportarsi delle persone.
Oggi tutti noi usiamo i cellulari e i tablet, ma già negli anni ‘50 li si conosceva: bastava guardare un episodio della serie classica di “Star Trek” per vederne uno. Eppure in nessun episodio di quella serie si vedono i comportamenti peculiari che invece caratterizzano oggi generazioni di dipendenti digitali. Questo perché immaginare un oggetto del genere non era poi così difficile qualche decina di anni fa, ma prevederne l’impatto sociale sì.
Troppo complicato? Dipende. Rendiamolo più semplice. Regola numero uno: se gestire molte novità è complesso, non fatelo. Voglio dire, non avete bisogno di introdurre cento tecnologie per scrivere un buon romanzo di fantascienza, oppure inventarvi decine di creature stranissime e razze immaginarie per fare un fantasy. Iniziate con qualcosa di semplice. Prendete il mondo che conoscete e introducete un elemento nuovo. Ragionateci sopra, immaginate che capiti sul serio. Pensate a come reagireste voi, chiedete ai vostri amici come reagirebbero loro. Volete scrivere un fantasy? Studiate la storia, poi prendete un periodo storico, quello ellenico oppure il Medioevo, e aggiungete un po’ di magia, oppure qualche razza non umana. Non esagerate nel dare alle varie razze poteri strani o caratteristiche che poi avrete difficoltà a gestire.
Pensate alla lettura del pensiero. Se esistesse davvero, come dovrebbe funzionare? Se io fin da ragazzo avessi potuto sentire i pensieri degli altri probabilmente sarei impazzito. Ma se anche fossi stato in grado di controllarlo subito, sarei diventato cinico, cattivo, perché anche la persona che ti ama di più prima o poi pensa qualcosa di cattivo su di te, o ti mente. Una persona che potesse davvero leggere nel pensiero degli altri sarebbe un emarginato, nel migliore dei casi. Quindi introdurre un potere come questo va fatto con molto “grano salis” e crea comunque tutta una serie di limitazioni poi nello sviluppo della storia, se si vuole rimanere coerenti.
Un fantasma. Chi è? Come ragiona? Cosa prova? Uno dei migliori film di fantasmi che ho visto è “Sesto Senso”. Perfetto. Non è un film dell’orrore nel senso stretto del termine, eppure conosco più di una persona che lo considera tale, per le forti emozioni che è stato in grado di suscitare.
Un alieno. Come pensa? Cosa trova normale? Cosa strano? Esiste un ambito comune che condivide con noi e che gli permette di comunicare con un umano e di capirlo? Oppure è così alieno, appunto, da non essere neppure in grado di trovare un terreno comune di scambio di conoscenze?
Forse se incontrassimo davvero degli alieni, avremmo una tale difficoltà a capirci l’un l’altro che persino la questione se siano amichevoli od ostili non avrebbe alcun significato. Creare un alieno fatto bene è tutt’altro che semplice. Un buon film a riguardo è “Life”. Non è sullo stesso livello di “Alien” ma è ben costruito e l’alieno è verosimilmente… alieno.
Quindi la prima regola è: cercate di essere semplici. Più elementi mettete, più vi incasinate la vita nello scrivere la storia.
Seconda regola: non è affatto detto che per essere fantastico un romanzo, debba essere fantastica anche la storia. Ovvero, al di là dell’ambientazione e dei personaggi, una storia di narrativa fantastica può ripercorrere gli stessi modelli di una storia realista. Può essere una storia di emarginazione o di successo, una storia d’amore, un viaggio interiore, un’avventura in luoghi selvaggi o una storia di conflitti, veri o presunti. Insomma, qualsiasi cosa possiate ambientare oggi nella vostra città, potrebbe funzionare nello spazio o in una foresta magica. Semplicemente avreste delle armi in più.
Ad esempio, una storia di convivenza fra alieni e umani potrebbe mettere alla prova il lettore su tutta una serie di pregiudizi, diventare un messaggio politico nell’ambito del razzismo, della discriminazione, dell’omofobia o altro, senza tuttavia trattare direttamente nessuno di questi temi, o almeno senza farlo in modo tradizionale.
In pratica la narrativa fantastica permette di fare tutto quello che si può fare in quella “tradizionale”, basata sul realismo, dando in più tutta una serie di opportunità che quest’ultima non ha. Da qui l’affermazione fatta in precedenza, ovvero che non esiste alcuna ragione perché un romanzo di questo genere non sia, magari non un capolavoro, ma comunque un ottimo romanzo, che non abbia nulla da invidiare a quelli che vincono prestigiosi premi letterari.
Tanto per fare un esempio, pensate a “Il Labirinto del Fauno”, una storia fantastica che tuttavia tratta un argomento estremamente delicato e complesso, ovvero la guerra civile spagnola.
Ultima regola, e qui torniamo ai generi. Raccontate una storia. Non preoccupatevi se di fantascienza, fantasy, horror o altro. Non ponetevi dei limiti o dei confini: lasciate che la storia fluisca naturalmente dalla punta della vostra penna, o più realisticamente oggi, dal tambureggiare sulla vostra tastiera. Che siano altri a catalogarla, se proprio ci tengono. Un buon scrittore non ha limiti se non la sua stessa fantasia. Piedi a terra e testa fra le nuvole: coerenza e creatività. Non sono in alternativa o in conflitto ma si complementano a vicenda. Le storie, anche quelle più fantastiche, sono tutte intorno a voi. Dovete solo imparare a vederle.
Quindi, per concludere, se volete scrivere una buona storia fantastica, siate semplici, introducete pochi elementi fantastici e assicuratevi che siano basati su solidi basi storiche o scientifiche; focalizzatevi sulla storia e sulla trama, ragionando sulla natura umana e non riempendo il racconto di “effetti speciali”, che dopo un po’ stancano. Una storia è buona se è robusta e una storia è robusta se è verosimile, ovvero se è tratta dalla vostra esperienza reale. L’ambientazione fantastica può essere di contorno o centrale alla storia. Nel primo caso avrete semplicemente scritto una storia “tradizionale” in uno scenario fantastico, nel secondo caso invece dovete essere ben sicuri di quello che fate perché il maggior rischio è quello di essere incoerenti o inverosimili. Ricordatevi sempre che la domanda chiave che si deve porre uno scrittore ogni volta che crea una situazione è «Che succederebbe se…?»
Che succederebbe se potessi viaggiare a velocità vicine a quelle della luce (“Ritorno al domani” di Hubbard), che succederebbe se i draghi esistessero sul serio (“Il Ciclo di Pern” della McCaffrey), che succederebbe se maghi, vampiri, lupi mannari esistessero davvero e condividessero con noi il mondo in cui viviamo (“I Guardiani della notte” di Luk’janenko)?
Molte grandi storie di narrativa fantastica sono nate da questa semplice domanda.
A cura di Dario de Judicibus