“The pure always act from love, The damned always act from love”
Good Time è un film di Benny e Josh Safdie, presentato in concorso al Festival di Cannes 2017 e distribuito nelle sale statunitensi, ma mai approdato in quelle nostrane. Ci ha pensato, come al solito, Netflix a permetterci la visione di quest’opera, che si trova sulla piattaforma di streaming dall’11 gennaio 2018.
Constantine “Connie” Nickas (Robert Pattinson) ha un fratello, Nick, a cui è molto legato ma che purtroppo ha dei ritardi mentali, e viene interpretato proprio da uno dei registi, Benny Safdie.
Connie organizza una rapina in banca e porta con sé Nick, come spalla, cercando di assicurarsi che il fratello stia alle sue disposizioni e non faccia gesti inconsulti. Ma le cose non andranno come nei piani del protagonista, e la polizia finirà per metter le mani su Nick, mentre Connie riuscirà a darsela a gambe e metterà in atto un piano per tirar fuori il fratello dai guai.
Il film dei Safdie Bros è un racconto dalle diverse sfaccettature e dal ritmo incalzante, con un Robert Pattinson che si prende indiscutibilmente la scena dando vita ad un’ottima interpretazione ed un personaggio davvero stravagante, che agisce secondo una propria logica ed ha sempre un piano ben definito in mente, ma le sue azioni sfuggono ai nostri ragionamenti, riuscendo a venir fuori dai problemi anche quando tutto sembra dato per perso. Ci riesce proprio grazie al grande studio che ha evidentemente effettuato sul personaggio, che pare muoversi come una variabile impazzita ma che in realtà è machiavellico e determinato, a tratti inquietante, e che racchiude al suo interno il male, la perversione, le sfumature più subdole dell’animo umano.
C’è tutto nella personalità di Connie: il ladro, l’assassino, il pedofilo, il truffatore. Riesce a circuire le persone, quantomeno quelle più deboli, ed il suo modo di fare gli permette di proseguire verso i suoi obiettivi a discapito del prossimo.
Good Time somiglia a qualcosa che abbiamo già visto, rivisitato in salsa Safdie. Il tema della rapina finita male è un leitmotiv abbastanza abusato, dalla letteratura moderna a là Eddie Bunker, e se vogliamo qui siamo un po’ dalle parti della sua trasposizione di Cane mangia Cane, nonostante le differenze strutturali siano tante, fino a opere magnifiche The Town di Ben Affleck.
I registi tratteggiano una linea irreale, quasi allucinogena, in un racconto denso di frenesia per una risoluzione che non ha la benché minima logica, se non quella folle del suo protagonista, ma che ottiene il risultato più importante, ovvero il tener lo spettatore incollato allo schermo.
Sì, perché al di là dei suoi difetti, il lavoro un po’ stentato dei Safdie Bros funziona grazie a quella effervescenza e quella stravaganza di fondo, con lampi improvvisi ed anche cromatici che mantengono alta l’attenzione, tra il rosso purpureo delle banconote contrassegnate, che esplode sui loro volti, e la tinta biondo platino di Pattinson, totalmente inaspettata e piuttosto vana. O ancora le luci al neon di Adventure Land, un desueto parco giochi in cui il protagonista si ritrova durante la sua corsa senza sosta, e che contribuisce a creare un’atmosfera per certi versi narcotica, assistita dalla colonna sonora fantastica, firmata Iggy Pop e Oneohtrix Point Never.
Come il suo protagonista, anche i Safdie bros corrono verso il proprio obiettivo, cadendo in un parallelismo piuttosto pericoloso che ci dona, nei fatti, un film con una bella forma ma in cui la sostanza non è molta. Tutto questo in realtà non è necessariamente un male, perché il moto perpetuo di Good Time diviene il vero fulcro dell’opera, ma di certo durante questa delirante maratona si perdono un po’ di quei pezzi, quelle minuzie stilistiche che definiscono la differenza tra una grande e una buona regia.
Verdetto:
Good Time dei Safdie Bros, disponibile alla visione su Netflix dall’11 gennaio, è un film convulso e frenetico, con un Robert Pattinson come motore instancabile di tutta l’opera. Se la carica sulle spalle ed inizia a correre, con la frenesia dettata da uno script che fa proprio della fuga e di un piano illogico il suo paradossale punto di forza. Molta più forma che sostanza, e se per certi versi questo si tramuta in un bene, non lo è per altri aspetti, quelli in cui i registi non dimostrano la maturità che serve. Tuttavia l’opera riesce nel suo obiettivo, ovvero tenere lo spettatore incollato allo schermo, e questo non è poco.