Ready Player One di Spielberg: una delizia per gli occhi, diretta da un genio senza età
Quando abbiamo appreso della trasposizione cinematografica di Ready Player One, il nostro spider-sense ci ha messo sull’attenti. Il romanzo di Ernest Cline, come lo stesso titolo suggerisce, è una sorta di manuale per nerd, nonché un’opera piena zeppa di ammiccamenti alla cultura pop degli anni ’80 e ’90, tra videogame, film, e chi più ne ha più ne metta.
Quando poi abbiamo saputo che la direzione era stata affidata a Spielberg, uno degli iconici punti di riferimento del romanzo, citato in esso a più riprese, siamo sobbalzati dalla sedia, estasiati dall’idea di questo fantastico e narcisistico gioco di specchi.
In realtà il maestro Steven si dimostra tutto meno che un egocentrico ed elimina dal calderone di 140 minuti in cui condensa l’opera di 600 pagine tutti (o quasi) i richiami a sé e alle sue produzioni, ma infarcendoli con tutto il resto, regalandoci un film assolutamente sbalorditivo (che sarà al cinema dal 28 marzo).
Ma quindi Spielberg era la persona adatta a stare dietro la telecamera? Sì. Senza se e senza ma.
All’età di 72 anni e con oltre 30 film sul groppone, considerando solo quelli da regista (a cui si aggiungono la valanga di sceneggiature, produzioni, e film per il piccolo schermo) l’artista di Cincinnati è ancora in grado di stupire e soprattutto di appassionarsi a questo lavoro, dimostrandolo coi fatti.
Dai tempi de Lo Squalo, agli Indiana Jones, a prodotti totalmente differenti tra loro come Schindler’s List, A.I, Minority Report, Jurassic Park fino ai recenti o recentissimi GGG e The Post, il suo cinema multiforme ed eclettico ha avuto soltanto un comun denominatore: la perfezione della tecnica. Tant’è che a distanza di circa 1 mese, un occhio clinico ed attento ma disinformato potrebbe riconoscere in due film agli antipodi tra loro come The Post e Ready Player One la medesima mano dietro le quinte.
Arrivando, finalmente, alla trasposizione dell’opera di Cline, ci posizioniamo comodamente sulle poltrone della sala con la mente sgombra e pronta a fare il carico di informazioni.
Si spengono le luci, si accende il grande schermo, parte Jump dei Van Halen e vengono dissipati tutti i nostri dubbi: stiamo per assistere a qualcosa di epico.
Il viaggio nei ricordi, nella nostalgia e nel magico mondo edificato da Cline e portato in vita da Spielberg è appena iniziato. Si intuisce subito quanto Ready Player One metterà alla prova i nostri battiti cardiaci e la nostra capacità di resistere alla potenza di uno tsunami di citazioni e riferimenti che spaziano dagli anni ’70 ai ’90 con un battito di ciglia o giusto il tempo di caricare un hadoken.
Il film parte con un piccolo spiegone, ma non abbiate paura, sono pochi minuti di intrattenimento prima del tripudio di luci e colori.
Siamo nel 2045, con sovrappopolazione ed inquinamento che hanno messo in ginocchio il pianeta, al punto che le persone cercano una valvola di sfogo nel mondo virtuale denominato OASIS, creato un genio e nerd per eccellenza, tale James Halliday (Mark Rylance).
Si tratta di un luogo in cui tutto quello che la nostra mente può partorire, ha la capacità di divenire realtà, ma si deve comunque sottostare ad alcune regole e si deve far di tutto per non perdere monete ed anzi cercare di guadagnarne per garantirsi un soggiorno migliore in OASIS.
Halliday ha inserito nel gioco ben 3 sfide al completamento delle quali si otterranno altrettante chiavi, trovando l’easter egg nascosto. Chi riuscirà a possederle tutte per primo vincerà il gioco di Anorak (avatar di Halliday), ereditando le fortune del founder e divenendo pertanto unico proprietario di OASIS. Queste sfide si tramuteranno presto in una vera e propria guerra, tra clan organizzati, come l’IOI, finanziato dal ricco Nolan Sorrento (Ben Mendelsohn), e tra i cosiddetti Gunter, cani sciolti tra cui troviamo il nostro protagonista Wade Watts (Tye Sheridan), che nel gioco diventa Parzival.
Una trama che, anche per chi non ha letto il libro ed è all’oscuro di tutte queste dinamiche, è in grado di catturare l’attenzione e cercare insieme ai protagonisti di individuare le possibili chiavi per proseguire nel film, e nel gioco.
Proprio questa linearità è un concetto che paradossalmente si sposa benissimo con l’enciclopedica eterogeneità dell’opera e del suo flusso, poiché non appesantisce ulteriormente la narrazione, facendo in modo che lo spettatore possa anche (e soprattutto) concentrarsi sul bellissimo mondo di OASIS senza perdere alcun tassello. Un rischio scongiurato da subito perché Spielberg è un maestro troppo bravo e navigato per permettere a inside joke e fattori esterni di inficiare lo scorrere del suo plot. Al massimo si concede un po’ di autoreferenzialità, quella che ha tolto dai dettami di Cline, ma ha bisogno di sentirsi a casa e ogni tanto arraffa dalle sue opere passate, come il già citato A.I. Intelligenza Artificiale, in tema di distopie.
Uno degli aspetti esteticamente più affascinanti è proprio il modo in cui il regista sa spaziare tra la realtà terrena di Columbus, tra carcasse di macchine, su cui si innalzano moderne favelas a simboleggiare un degrado post-apocalittico e quella fuga dal mondo rappresentata dall’OASIS, dove fango e ferraglia vengono sostituiti da una palette di colori disarmante e da un trionfo di CGI. Il passaggio è notevole quanto accomodante per i nostri occhi, mai estraniante, dimostrandoci per l’ennesima volta come Spielberg sappia render semplici anche le imprese più ardue.
Il viaggio nell’OASIS ci porta a correre adrenalinicamente insieme ai nostri eroi su circuiti in cui convivono la Delorean, la moto di Akira, Dinosauri e King Kong, e facciamo veramente fatica a credere a ciò vediamo, soprattutto perché questo mega giocattolone di Spielberg funziona ed è bellissimo. Niente sembra fuori posto anche se lo è palesemente, e i brevi momenti di quiete regalatici dal regista ci fanno ricaricare giusto un attimo le pile per passare al quadro seguente.
Per non parlare poi di una scena che, in un fantastico gioco di matrioske, ci catapulta all’interno di un altro film, che però non vogliamo spoilerarvi perché lo stupore per quello che i vostri occhi andranno a vedere merita un godimento pieno, in un mix bislacco di frame originali dell’opera in questione e i protagonisti di RPO. Se non avete la minima idea di ciò che avete letto in queste ultime righe e di dove possa esser andato a parare Spielberg, fidatevi, è molto meglio così: quando lo vedrete salterete dalla sedia.
Quello che attua il cineasta è una celebrazione del libro di Cline ma soprattutto dei riferimenti in esso contenuti, ed è per questo che il tutto assume delle fattezze mastodontiche, che ci fanno venire i brividi quando vediamo Mechagodzilla scontrarsi con Gundam, mentre una soundtrack di spessore accompagna in maniera egregia tutti i momenti nevralgici dell’opera.
A volte i movimenti rapidi e dinamici del regista tendono a scombussolare e confondere un po’ lo spettatore, ma state sereni: non è un film che potrete vedere una singola volta. Se non altro non è ciò che vorrete, ed anzi aspetterete con ansia l’uscita in home video per riguardarlo con l’attenzione e coi tempi di una visione casalinga, partecipando alla caccia al tesoro dei vari easter eggs.
Penn e Spielberg mettono mano allo script cercando di esaltare il lavoro di Cline, rendendolo hollywoodiano e cucendo i personaggi su attori che rispondono “presente”. A Simon Pegg tocca poco più di un cameo ma la sua presenza è sempre un plus in un certo tipo di opere; Tye Sheridan invece fa la sua parte in modo egregio, rispecchiando appieno quanto detto sulle limature operate dal duo di sceneggiatori ma è soprattutto Ben Mendelsohn a strappare applausi, ricoprendo ancora una volta quel ruolo di villain che ormai gli calza a pennello. “Non sono solo un coglione che fa l’imprenditore“, risponde Sorrento a Parzival che lo incalza, e la stessa cosa fa Spielberg dimostrando a tutti gli spettatori che Hollywood non è un villain da cui tenersi a distanza e diffidare, ma può tramutarsi in un porto sicuro per nerd e amanti dell’arte. Un blockbuster rimane tale solo se finisce nelle mani sbagliate, altrimenti si eleva a qualcosa di più grande, di completo.
Come abbiamo detto, bastano pochi minuti di visione per dissipare quello scetticismo che si può legittimamente avere prima di entrare in sala, e che aveva in primis chi vi scrive, nonostante l’adorazione per il maestro Steven Spielberg. Ma quella complessità di cui il regista si fa beffe, si riflette in un film anche tecnicamente perfetto, che si tratti di live-action, della terrena e distopica Columbus e del mondo in CGI che ci fa sentire videogiocatori di VR più che semplici spettatori.
Eppure spettatori siamo, in fondo, e ci lasciamo cullare da un racconto dolcemente frenetico che non risparmia però gli insegnamenti sulla comunicazione, sulle difficoltà di interagire nel mondo reale rispetto alla semplicità di vivere in un OASIS qualunque, ma su quanto poi la realtà sia sempre e comunque la vita quotidiana e la nostra essenza in carne ed ossa. In un periodo in cui c’è chi accusa il videogame di essere uno strumento sbagliato, Spielberg lo esalta all’ennesima potenza, dimostrandosi come il nerd numero 1 al mondo pur tenendoci a sottolineare l’importanza di tenere sempre saldamente i piedi per terra. Questa in fondo è l’anima ambivalente del suo Ready Player One.
Lo ameranno gli amanti del libro, pur se inevitabilmente non ritroveranno l’adesione completa; lo ameranno i giovani, per il modo visivamente eccitante in cui è girato; lo ameranno i “vecchi”, per quel carico di nostalgia che Spielberg lancia continuamente nella narrazione, quasi senza sosta. Lo ameranno, infine, anche i puristi della tecnica, perché pure sotto questo aspetto è un film che fa scuola.
In definitiva, Ready Player One è il modo più spettacolare ed acuto di utilizzare gli effetti speciali nel 2018, e il manico non poteva che stare tra le mani di Spielberg.
Verdetto
Ready Player One è la spettacolare trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Cline. Il film di Spielberg è un prodotto per tutti: per chi ha amato il libro, per i giovani che lo ameranno per la componente estetica, per i vecchietti che apprezzeranno il tripudio di citazioni e la carica di nostalgia, e persino per i puristi della tecnica, perché prima di essere tutto questo, RPO è un’opera tecnicamente perfetta. Al di là di tutto quello che abbiamo già detto in queste numerose righe, il consiglio spassionato che vi possiamo dare è quello di sedervi comodamente sulla poltrona e sgombrare la mente: a tutto il resto ci pensa Spielberg.