Nella tana di Gudegast c’è un mondo sorprendente e ricco di azione
L’action poliziesco è una delle realtà più esplorate e trite del mondo del cinema. Un genere abusato, che vive di scarsa originalità, con trame spesso basiche che prendono linfa dall’azione e dalle sparatorie o tutt’al più dal crime investigativo quando esso diviene un importante elemento di supporto. Un genere in cui reboot e remake sono all’ordine del giorno, tra prodotti più o meno riusciti e un cast artistico che spesso si palleggia i ruoli. Eppure c’è un pubblico, anche piuttosto vasto, che non può fare a meno di vedere questo tipo di film, spettatori che riempiono le sale perché affezionati ed amanti di queste storie.
Ma il mondo dell’action poliziesco non è soltanto questo. Non è banalità e prevedibilità, quantomeno non sempre, ed anzi nel corso degli anni e soprattutto recentemente abbiamo assistito a molti prodotti anche autoriali, con una propria impronta, che ci hanno affascinato per la propria ricercatezza di uno stile autentico, con raffinate tecniche di regia e tutta una serie di elementi che hanno permesso a questi film di contraddistinguersi pur seguendo una strada inevitabilmente battuta centinaia di volte.
Tra questi vi è Nella tana dei lupi (Den of thieves), film di Christian Gudegast, scritto dallo stesso regista insieme a Paul Scheuring, con protagonista Gerard Butler. Lo vedremo nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 5 aprile.
Una panoramica dell’alto di Los Angeles apre il film, mentre l’OST pesante e pressante di Cliff Martinez scandisce i movimenti delle auto e ci fa immergere immediatamente nei sobborghi metropolitani, con un’atmosfera molto Refniana.
Il primo impatto con l’action però ci pone subito un’altra prospettiva, più dalle parti di The Town di Affleck, per dire (nonostante, chiariamo subito, non arrivi a toccare quelle vette).
Lo scontro di “faide”, tra i criminali, pericolosi e professionisti nel rapinare banche e i poliziotti sotto il comando di Big Nick O’Brien (Butler) emerge in maniera esplosiva, tramite la tanta polvere da sparo e le parole di Ray Merrymen (Pablo Schreiber): “siamo assassini di poliziotti”.
Così come dietro il gruppo di assalitori di banche capitanati da costui c’è un’organizzazione rodata e precisa, che riduce al minimo la possibilità di errore, anche la “cricca” di O’Brien è strutturata come una gang, tanto nell’aspetto quanto nei comportamenti, non propriamente etici e di certo non consoni ai dettami della polizia, che sono invece rappresentati da ‘Lobbin’ Bob’ Golightly (Jordan Bridges).
Questo aspetto è la sostanza di cui si nutre l’opera di Gudegast, che ci fa vivere intensamente il continuo gioco a cui si sfidano Merrymen ed O’Brien, andando spesso ben oltre le righe fino ad un epilogo inevitabilmente tragico e carico di pathos, azione e pallottole.
I due rivali catturano l’attenzione del pubblico, ma se per ciò che riguarda il personaggio di Nick il copione prevede la giusta cura del background, restituendoci ampiamente quel dramma che lo consuma, tratteggiando un protagonista carico di cliché ma caratterizzato alla perfezione, non si può dire lo stesso per Merryman, quell’antagonista che una volta era sorta di “collega”, un marine sempre al fianco dell’amico Enson (50 Cent), che però ha subito col tempo un’involuzione, passando dalle forze dell’ordine a quelle del disordine, facendo della criminalità e della vendetta verso il suo passato una ragione di vita. Tutto ciò però ci viene solo accennato. Gudegast ce lo lascia intuire, forse per evitare di scadere in un’eccessiva banalizzazione di un background, ma lasciando così troppi dubbi su una delle figure chiave del suo film.
Un difetto che tuttavia non toglie affatto adrenalina e non smussa mai la tensione narrativa, che si mantiene sempre alta e permette alle 2 ore e venti un incedere fluido e privo di intoppi, che non dobbiamo fare altro che goderci appieno. Il duello a distanza (ma non troppa) tra i due sfidanti è un leitmotiv frizzante ed affascinante con alcune sequenze che ci fanno sorridere e ci ammaliano, ma sono anche i guizzi di Gudegast ad offrirci il plus degno di un film di genere.
Il modo in cui ci racconta gli sviluppi delle rapine sottolinea tutta l’abilità di chi, nonostante sia al primo lungometraggio da regista, è cresciuto a pane e pellicola e sa come arraffare dall’archivio della sua memoria per proporre un’opera lineare ma autentica, che sa dirci la sua grazie ad una sceneggiatura ben studiata in cui c’è spazio per tutto, persino per i giusti plotwist.
È proprio qui che i suoi lupi escono dalla tana per andare a caccia di spettatori, che dalla loro si consegnano inesorabilmente alle arti di Gudegast: l’ultima interessante scoperta del cinema moderno.
Verdetto
Nella tana dei lupi (Den of thieves) è il primo lungometraggio di Gudegast, che dimostra però sin da subito attitudine per l’action poliziesco ma soprattutto ottime doti registiche, nonché di sceneggiatura. Il duello a semi-distanza tra il poliziotto Nick O’Brien (un ottimo Gerard Butler) e il criminale rapinatore di banche per eccellenza, Ray Merryman (Pablo Schreiber) è fantastico e rappresenta l’anima del film. È bravissimo Gudegast a metterlo in scena, nonostante lasci un po’ andare il discorso relativo al background di Merryman, ma è qui e nel modo curato ed intrigante di raccontarci i “colpi” della banda che il suo Den of thieves prende vita e cresce continuamente, cibandosi di una fortissima adrenalina che sa catturare lo spettatore.