Scacchi e Mech e 8 bit
Subset Games, una studio di sviluppo composto da ben due individui, Justin Ma e Matthew Davis, torna a far parlare di sé pubblicando un titolo tanto piccolo come byte-aggio quanto immenso come divertimento e carisma: Into The Breach si è affacciato finalmente sui nostri PC e Mac dimostrando quanto fosse stato meritato il premio di Best Game Designer che i due ragazzi hanno vinto alla GDC del 2013 per Faster than Light.
Insetti alieni, Mech e viaggi nel tempo
Dal punto di vista narrativo, Into The Breach inizia in un momento un po’ difficile per il nostro mondo: l’umanità è stata spazzata via quasi del tutto, a causa di una soverchiante invasione di Alieni insettiformi chiamati Vek.
Non c’è modo per rimettere le cose a posto, ORA, ma un manipolo di scienziati e militari hanno messo a punto un sistema di viaggi nel tempo per combattere ancora e ancora i Vek e riuscire a sconfiggerli. Ed è questa la Breccia a cui si riferisce il titolo, la fenditura temporale in cui i nostri eroi si lanciano con i loro Mech per salvare in extremis l’umanità.
La sezione narrativa è ridotta a queste poche nozioni, ma è perfettamente funzionale all’intero gioco, perché impone delle scelte coerenti di game design restrittive e punitive, ma perfettamente comprensibili.
Il giocatore quindi prenderà possesso di un squadra di tre Mech, di solito assortiti tra un tank per il combattimento melée, uno per il combattimento a distanza e un terzo più variabile per funzioni e abilità. Conoscere a menadito le proprie unità è fondamentale per capire fin a che punto ci si può spingere nelle partite, visto che ciascuno dei nostri pezzo ha dei punti di forza e delle debolezze.
La Terra dell’Invasione Vek è sintetizzata in quattro isole principali a cui se ne aggiunge una quinta (l’alveare) dove si svolge sempre lo scontro finale. Ciascuna isola rappresenta un diverso terreno di gioco: da quello neutro, con le foreste, a quello ghiacciato o sabbioso.
Ogni scenario di gioco, in ciascuna isola, è generato proceduralmente, così da non avere mai lo stesso piano di gioco.
I terreni influenzano come ci si aspetta la mobilità, la difesa e l’attacco sia dei Mech che degli avversari. Così, riuscire a far cadere in acqua un alieno equivale a ucciderlo, farlo sbattere contro la montagne gli procurerà dei danni e via dicendo. L’interazione tra pezzi sul tavolo di gioco e lo scenario stesso diventa parte integrante delle strategie che si possono costruire.
Aspetta il tuo turno!
Il gioco si presenta come uno strategico a turni, ma con alcuni tweak che ne alterano parzialmente la giocabilità, avvicinandolo paurosamente agli scacchi, per pianificazione e complessità di strategie. Il piano di gioco è sempre una griglia 8×8 e su questa dobbiamo disporre i nostri Mech e combattere contro i Vek. Di solito la partita si articola su un numero finito di turni, in cui l’obiettivo principale è sopravvivere e difendere gli edifici umani. L’importanza delle costruzioni terrestri è mostrata da un indicatore di Power Grid, che altro non è che l’energia di cui dispone la Terra: ogni edificio che viene distrutto, abbatte questo indicatore e, quando raggiunge lo zero, l’intera missione è compromessa ed è GAME OVER. Non vi spaventate, però: questa schermata la vedrete spesso, fin quando non entrerete in affinità con i meccanismi di gioco e ucciderete un sacco di vostri piloti. D’altronde, la morte e la fine della partite vuol solo dire il ritorno al futuro e la programmazione di un altro salto nella Fenditura Temporale. Questo tipo di approccio fa parte della curva di apprendimento e non deve necessariamente mettervi in ansia.
A parte l’obiettivo principale, ciascuna partita mette sul piatto anche degli obiettivi secondari, spesso racchiusi nelle formule ‘Uccidi tot Vek’, proteggi un determinato edificio, distruggi un elemento del piano di gioco. Ovviamente, per ogni obiettivo secondario portato a termine, riceverete dei punti Reputazione, cruciali per acquistare add-on per le vostre truppe e per ripristinare Power Grid.
Nonostante la loro quasi banalità, questi obiettivi secondari, talvolta, vi metteranno di fronte a delle scelte, a dei sacrifici, in termini di truppe e edifici.
Il gameplay spicciolo è un tipico esempio di un gioco facile da capire e difficile da padroneggiare. Ciascuno dei vostri Mech ha a disposizione per ogni turno una fase di movimento e una di azione (che sia attacco, autoriparazione o attacco secondario). Se malauguratamente risolvete prima l’azione, non avrete più possibilità di muovervi.
In ogni turno, il giocatore utilizza in ordine sparso OGNI suo Mech a disposizione, cercando di abbattere o spostare i Vek. È interessante come l’attacco di ogni alieno sia telefonato e perfettamente riconoscibile, così da permettere al giocatore di sfruttare ogni arma in suo possesso per allontanare le minacce dai punti di interesse.
Una trovata che aggiunge un ulteriore strato al complesso gameplay di Into The Breach è quello che spesso i Vek non devono essere necessariamente distrutti per renderli innocui: basta spostarli, spintonarli, attrarli in altre parti della mappa. Infatti ci sono alcune unità terrestri che hanno solo questa funzione e talvolta sono addirittura più utili della mera forza bruta.
Per ogni turno, si assiste alle azioni dei Vek e poi al loro respawn in punti determinati della mappa. È giusto specificare che una strategia è quella di bloccare i punti di respawn per limitare la quantità di alieni sul campo di battaglia, ma questo vi costerà punti vita.
Insomma, come potete ben capire, il gioco offre una marea di possibilità e approcci, tutti ragionati e da pianificare. Cercare di attaccare a testa bassa, senza un’adeguata strategia, di quelle che guardano almeno tre mosse avanti, porterà solo a morte e distruzione per il genere umano.
Le vittorie, poi sono fondamentali, perché solo conseguendone tante si possono sbloccare gli achievement, che non hanno solo la funzione di vantarsi con gli amici al bar: per ogni obiettivo raggiunto, si guadagnerà una moneta d’oro che è la valuta per acquistare altre squadre di Mech con caratteristiche diverse e abilità uniche. Vi possiamo assicurare che per sbloccare tutto, dovrete sudare un bel po’!
8 bellissimi Bit
L’approccio grafico di Into The Breach è quello minimalista e molto gradito della Pixel Art: i piani di gioco isometrici sono perfettamente riconoscibili, così come tutte le minacce che il terreno ha da offrire. I Mech sono vari, ben realizzati e hanno quel sapore a metà strada tra il moderno e il vintage che davvero scalda il cuore. Alla stessa maniera, il design dei Vek è relativamente vario, con un bestiario piuttosto ampio, ma niente che faccia gridare al miracolo, visto che spesso ci troviamo di fronte a unità che differiscono solo per il colore del carapace (e le abilità, ovviamente). D’altronde, Into The Breach non è un gioco che fa della grafica il suo baluardo, ma nonostante tutto riesce a essere gradevole perché mostra una dose di carattere, tale da essere riconoscibile e apprezzabile fin dal primo istante.
La colonna sonora è ben realizzata ed è in linea con il resto della produzione, riuscendo a essere un buon tappeto musicale su cui si iscrivono i vari effetti sonori. Non è invadente e soprattutto mai fuori luogo.
Forse, la cosa che più ci lascia perplessi è l’esiguo numero di scenari: solo cinque in tutto, anche se ogni scacchiere è generato proceduralmente e mette sempre una buona quantità di incognite e alterazioni con cui fare i conti. Badate, non stiamo dicendo che si vedono sempre le stesse cose, questo sarebbe ingiusto nei confronti di Into The Breach, ma sicuramente una varietà superiore di terreni di gioco avrebbe giovato ancora di più a questo titolo che è comunque superlativo.
La longevità di Into The Breach è teoricamente infinita: vedete, non è questione di portare a termine la linea temporale, non è neanche il problema di sbloccare tutti i Mech, è che anche quando avrete completato tutto, continuerete a tornare sulla Terra assediata dai Vek, perché il gioco è costruito per essere SEMPRE una sfida. I tre livelli di difficoltà sono un incentivo in più a continuare a combattere.
Verdetto
Il feeling che abbiamo provato giocando partita dopo partita è che abbiamo tra le mani un piccolo capolavoro che non ha un vero e proprio genere di appartenenza: è un riuscitissimo mix che pesca dagli strategici a turni, dagli scacchi (immortali), dai puzzle game e da una certa tradizione ruolistica. Inoltre, il fatto che a ogni nuova partita inizierete senza alcun miglioramento o add on per i vostri mech, rende la sfida sempre più intrigante.
Questo è un gioco che genera assuefazione, che provoca dipendenza e che potrebbe divertirvi per ore e ore senza che ve ne accorgiate.
Non possiamo che consigliarlo, perché noi ne siamo rimasti entusiasti e non fa altro che dimostrare come i due ragazzi di Subset Studio siano dei geni maledetti che prima o poi conquisteranno il mondo.