Quando giocare in compagnia è più un ammenicolo che un’utilità
È da un po’ che rifletto su un aspetto che sempre più sta diventando preporenderante nei giochi che recentemente hanno visto la luce sulle nostre console ed è quello del multiplayer cooperativo a discrezione dell’utente. Parliamoci chiaro, tantissimo tempo fa se si voleva giocare in tanti bisognava avere un salotto abbastanza grande, un bel po’ di joypad e qualche titolo che prevedesse il gioco in compagnia. Basti pensare ai primi FIFA su Super Nintendo, che si potevano giocare in quattro, magari togliendo l’opzione ‘FALLI’ e facendo diventare il tutto un incontro di catch con pallone… Erano altri tempi, eravamo altri giocatori, c’erano altre esigenze. Da allora ad oggi un sacco di cose sono successe, grazie all’avvento di Internet e del multiplayer transcontinentale. Abbiamo ingigantito il nostro salotto fino a ospitare dodici persone senza neanche il bisogno di offrire le patatine e la Fanta, cominciando con Quake fino ad arrivare ai più recenti MMORPG. In questi frangenti il ruolo dei giocatori incontrati era molteplice: potevano essere nemici in una una sessione PvP, potevano essere invece neutri così da essere ignorati o iniziare sessioni di commercio e via dicendo. Le meccaniche di gioco erano comunque chiare e cristalline, nonostante la loro complessità, lasciando sempre libera scelta al giocatore.
Adesso invece si sta vedendo un nuovo approccio al multiplayer, un modo che potremmo chiamare (sicuramente sbagliando) paracooperativo. Che cosa voglio dire? Non è una cosa semplice: con Destiny prima, poi DriveClub e l’imminente The Crew abbiamo assistito a una riorganizzazione del multiplayer, adattando l’esperienza a un mondo di gioco persistente. Sono rimasto molto perplesso, fin dall’inizio, sull’introduzione del concetto di gioco social. Lo ammetto: non sono un tifoso di questa (apparentemente) nuova feature che tutti sbandierano come il futuro del videogaming. La prima volta che ne ho sentito parlare, ho fatto un’associazione di idee che mi ha procurato quasi uno shock anafilattico: socialgaming + giochini di facebook. È stata una cosa automatica, ma ho immediatamente pensato a tutte quelle fottute richieste da parte di amici (non tanto amici) che mi invitano in continuazione a giocare a qualcosa di cui non voglio neanche conoscerne l’esistenza. E il bello è che queste richieste arrivano a tutte le ore, su tutti i dispositivi con cadenza non prevedibile, per il gusto di aumentare ai massimi livelli la rottura di coglioni nel prossimo. Sono sicuramente tra le cause principali di stragi nei licei negli USA e dell’aumento di adesione alle sette filosataniche nell’europa del nord (condizione imprescindibile per fare del buon Metal).
Immaginate allora come mi sia sentito quando ho immaginato queste orribili dinamiche di gioco che invadevano senza tanti complimenti anche l’ambiente (già problematico per i fatti suoi) dei giochi per console… No, non poteva accadere proprio a me! Non volevo farne parte. Purtroppo però, queste sono cose che uno non si sceglie. Noi miserrimi esseri umani videogiocanti possiamo solo accettare il destino e cercare in qualche modo di correre ai ripari. E così con molto fatalismo e un pizzico di nichilismo (che non so cosa sia, ma ci sta sempre bene come il parmigiano) ho preso atto di questa nuova tendenza: il social gaming. Che poi ognuno chiama social gaming più o meno quello che vuole, lasciando perdere la definizione ufficiale: è social ogni gioco che propone una interazione sociale… E qui, vi confesso che ho storto il naso. Ditemi un gioco che abbia una minima componente multiplayer e che non preveda un po’ di interazione sociale (nel bene e nel male…). Quindi che senso c’era a coniare (o resuscitare) questa terminologia fintamente aulica? E per dedicarla poi a quali giochi? Destiny? DriveClub? The Crew? The Division? Ma fatemi il piacere… La componente social di questi titoli (l’unico su cui possiamo nutrire dei dubbi è The Division, perché ancora non si conosce praticamente nulla) è limitatissima. Già ho parlato in altro ambito di The Crew e di come non si capisse perché uno debba anche solo vagamente andare a rompere il cazzo a chi sta guidando nei paraggi per unirsi e viaggiare insieme… Già partiamo dal presupposto che chi guida si acidifica fino a raggiungere un pH bassissimo, diventando particolarmente irritabile, se poi allo stress della guida aggiungiamo il peso della concentrazione tipica del videogiocatore, ecco che abbiamo di fronte un mix esplosivo pronto a detonare alla minima distrazione. Se per sbaglio il pop up di richiesta di collaborazione gli farà sbagliare la curva prima del traguardo, state sicuri che l’intera area di gioco verrà incendiata dai suoi sguardi carichi di odio… E così abbiamo una città abitata da piloti che dovrebbero interagire tra di loro, cercando di fare amicizia, lanciandosi messaggi e condividendo contenuti. Mi ricorda qualcosa, ma faccio finta di niente. Ho un leggero prurito dietro la schiena ma lo ignoro. Allontano il corso dei miei pensieri dalla brutta strada che sta prendendo e… passo ad altro, all’altro gioco che ha una componente definita social: Destiny. Qui abbiamo una intera area che è definita dai programmatori stessi come luogo perfetto per le interazioni sociali, l’equivalente della piazza di paese ma senza i vecchi che giocano a carte prima di andare a guardare un cantiere. Analizziamo cosa succede nella Torre (almeno nei giorni buoni). Ci sono un bel po’ di giocatori che passeggiano, di solito facendo la spola tra il Criptarca (lo stronzo più odiato da tutti in assoluto) e il tizio che assegna le Bounty (un robot che non avendo avuto aggiornamenti software dal 1842, è ormai schiavo delle stesse routine). Quindi per adesso l’unica interazione sociale è tra uomo e macchina. Poi a guardarsi intorno si notano alcuni comportamenti inquietanti: alcuni si siedono in equilibrio su un pixel sospeso nel vuoto, altri salutano a casaccio non si sa chi, altri ancora manifestano la loro psicopatologia danzando sul tetto del negozio (sic). Il senso di tutto ciò? Buh… Poi ci sono i subdoli, quelli che annusano il culo degli altri giocatori e ne spulciano il profilo per il gusto di non farsi i cazzi propri, l’apoteosi del lurker videoludico fine a se stesso. Vi presento, dunque, l’interazione tra esseri umani nell’unico luogo etichettato come social dell’intero gioco. Abbandonata la Torre, c’è sempre l’aspetto multiplayer, fatto di inviti a unirsi alla propria squadra, lanciati a caso tra i giocatori presenti, riponendo la propria fede nella legge dei grandi numeri. Oppure si può usare la tecnica del Backdoor Man, che non è una cosa brutta, ma indica semplicemente che una volta trovato un giocatore che ha settato la sua partita come pubblica, ci si butta dentro la squadra senza dire niente a nessuno e in punta di piedi. Di solito la reazione è un bel kick out senza complimenti e l’immediata modifica dei parametri di missione… Social, molto Social… pure troppo A tirar le somme, c’è sempre qualcosa che non mi quadra. Aspetto Social di The Crew: mandare inviti… Aspetto Social di Destiny: mandare inviti (il Backdoor Man non serve…) Vi confesso che arrivato a questo punto, il prurito che era solo sulla schiena è ormai generalizzato. Sto realizzando una cosa terribile (almeno per me). Innanzitutto il concetto di multiplayer social è inutile in quanto tale: il multiplayer è social già per definizione.
Il secondo pensiero ancora più drammatico è che quello che ci stanno vendendo come social è solo una estensione di tutto ciò che odiamo dei giochini di Facebook: lo spam degli inviti… Ecco in pratica ci costringono a stare online ogni volta che giochiamo DA SOLI, mentre accanto a noi Frosties85 e Krendon fanno la stessa cosa ognuno per i fatti propri e lo chiamano social… Davvero? Amici delle software house, per farmi diventare social nei vostri giochi, mi dovete dare uno scopo e finora tutta questa utilità non ce l’ho vista. Che ne dite, ripensiamo al concetto e facciamo qualcosa per cui valga la pena davvero sbattersi a interagire con gli altri giocatori e far diventare davvero il multiplayer persistente un’esperienza sociale? Bisogna cercare un’altra definizione, perché il social attuale si risolve a questo: giocare nella stessa area di gioco con altri sconosciuti, isolati e privi di interazione, perché ogni forma di interazione e di comunicazione non porta a niente! Il giocatore è come un animale all’interno di un esperimento: ha bisogno di un condizionamento positivo per comportarsi in una certa maniera, altrimenti, il vostro salotto virtuale si riempirà di gente che invece di interagire passerà la serata a fissare il cellulare e farsi i fatti propri…