Una storia dal gusto vintage
Dopo il successo del primo spin off della celebre saga fantascientifica, che ha segnato per sempre la cinematografia mondiale, Disney scende in campo con la seconda pellicola della serie Star Wars Antology, incentrata sulla storia che ha reso l’iconico Han Solo il contrabbandiere più famoso della galassia.
Solo: A Star Wars Story (nelle sale dal 23 maggio) è un tuffo nel passato dal sapore vintage, ricco di furbi richiami e, d’altronde, l’avevamo già ampiamente capito dalla locandina ufficiale, dove si vedeva il giovane Alden Ehrenreich giganteggiare nell’iconica posa di Han intento a sparare con il suo blaster, uno sfacciato ed ammiccante Donald Glover (alias Lando Calrissian) e soprattutto, il Millenium Falcon sullo sfondo, pronto a partire per l’iperspazio.
Ron Howard però decide di portare sullo schermo non solo una serie di rimandi al passato (sempre ben dosati), capaci di farci scappare più di un feels, ma anche una pellicola estremamente dinamica e divertente, volta ad intrattenere lo spettatore e, checché se ne dica, ricca di contenuti interessanti atti a spiegare il mito e la leggenda di Solo e dei suoi compagni.
Lo script, che parte immediatamente con una sequela di emozioni interminabili, ha il “pregio” di catturare l’attenzione senza nemmeno impegnarsi troppo, ma peccando, d’altro canto, nell’incapacità di osare.
Oltre a ciò va detto che spesso le risoluzioni finali di determinati avvenimenti risultano forzate o quasi dettate dal caso, ma sinceramente lasciamo il beneficio del dubbio grazie alla “sospensione dell’incredulità”.
Certo è che narrare una storia dell’universo di Star Wars senza trattare argomenti come la Forza, il dualismo Jedi/Sith e senza l’Impero come antagonista principale, è esageratamente difficile e solo per questo va dato merito ad Howard (alla regia) e ai fratelli Kasdan (sceneggiatori), di essere riusciti a rendere una pellicola interessante non soltanto perché basata su uno dei personaggi più iconici della storia del cinema. Eppure, nonostante queste premesse, manca in maniera evidente qualcosa, finendo per essere una produzione, apparentemente anarchica, ma idealisticamente e furbamente, tenuta al guinzaglio da Howard.
Questa mancanza di epicità sarà forse dovuta a Paul Bettany, che nonostante la sua proverbiale qualità e mutevolezza che gli permettono di ottenere una dignitosa sufficienza (come tutto il resto del cast), finisce per essere sacrificato dal plot (sorte simile, ahinoi, per Glover) divenendo un antagonista fantasma, quasi più una minaccia costante da tenere a mente senza vederlo effettivamente all’opera, e d’altronde si sa che una storia acquisisce valore solo se ad un grande protagonista viene contrapposto un grande antagonista.
Un protagonista che, nonostante un peso gigantesco da far invidia ad Atlante, è riuscito a destreggiarsi in maniera impeccabile nel ruolo di Han Solo.
Ehrenreich, salito alla ribalta grazie alla comica collaborazione con i fratelli Cohen in Ave Cesare!, si dimostra all’altezza delle aspettative, acquisendo consapevolezza dei propri mezzi frame dopo frame, sequenza dopo sequenza, fino ad arrivare, verso la metà del film, a farci capire realmente che dinnanzi a noi si trova, non un impostore, ma il vero Han Solo in carne ed ossa.
Dalla nascita del suo cognome (sperando che vi emozioni tanto quanto è successo a me), passando per il primo incontro con Chewbecca, sino ad arrivare alla mitologica rotta di Kessel percorsa in soli 12 parsec, l’intrattenimento e l’efficacia sono assicurati, ma allo spettatore sembrerà sempre di trovarsi dinanzi ad una pietanza gradevolissima, priva tuttavia di quella spezia necessaria a far risaltare il gusto.
Sostanzialmente bastava osare di più, cosa che, come abbiamo già visto con Rogue One, si poteva fare benissimo.
Per tornare al nostro protagonista, però, oltre alla sfrontatezza e al beffardo e spavaldo sorriso tanto caro al mostro sacro di Harrison Ford, il giovane Alden va avanti per la sua strada, catturando l’occhio, ed il cuore non solo nelle sequenze più movimentate (le quali compongono ¾ del film), ma anche nei momenti di intimità condivisi con la splendida Emilia Clark (nel ruolo di Qi’ra).
L’affascinante coppia, sacrificata più volte da uno script, come già detto, più furbo che buono, riesce a dare perfettamente vita (grazie anche, e principalmente, al direttore degli effetti speciali Rob Bredow) alle numerose scene d’azione, e a quei dolci attimi che avevamo già vissuto nella trilogia originale tra la principessa Organa ed il noto contrabbandiere.
Al di là di questo, Solo, è un’opera ben studiata anche sotto il profilo artistico, visto che, oltre alle eccezionali (e non ci annoieremo mai a ripeterlo) colonne sonore di John Powell (subentrato alla divinità John Williams) che strizzano più volte l’occhio alle note epiche delle pellicole passate, c’è un contributo determinante da parte del direttore della fotografia Bradford Young.
L’artista, infatti, dopo essere salito giustamente alla ribalta grazie allo splendido lavoro in Arrival (tanto da valergli una nomination agli Oscar), dona qui una forza visiva e, per l’appunto, fotografica certamente non scontata per una pellicola della saga di Star Wars.
La palette adoperata, dove spiccano le tonalità di blu e giallo, è magnetica e regala un’ulteriore punto a favore alla potenza del film.
Per tornare al cast, oltre ai complimenti giustamente fatti ad Ehrenreich, che riesce a superare indenne le due ore e dieci di proiezione, bisogna togliersi il cappello dinnanzi ad Emilia Clark.
La star de Il Trono di Spade infatti riesce, paradossalmente, a rendere il proprio personaggio, la figura più intrigante ed affascinante dell’intero film, grazie a tanta classe e presenza scenica, nascondendo un’apparente timidezza recitativa.
Benissimo anche, ma non serviva nemmeno dirlo, Woody Harrelson, che nei panni del contrabbandiere Tobias Beckett ci offre l’ennesima, impeccabile, e convincente interpretazione della sua fantastica carriera e dei, seppur brevi, affascinanti momenti vissuti con Han.
Verdetto
Solo: A Star Wars Story, nonostante una lavorazione travagliata e complessa, figlia di un cambio di regia che ha portato alla direzione della pellicola l’eclettico Ron Howard (che dimostra, nuovamente, di essere bravo “ma senza applicarsi”), fa il suo dovere e riesce a portare nelle sale una storia capace di appassionare tutti i fan della più grande saga fantascientifica delle storia del cinema.
Tralasciando una sceneggiatura dal sapore vintage incapace di osare, volta ad appagare più il fan service che altro, il cast di Solo si districa all’interno di una storia ricca di richiami a mostri sacri di Star Wars.
In particolar modo vanno apprezzati i lavori svolti da Alden Ehrenreich (verso il quale non avremmo puntato nemmeno un penny), ed Emilia Clark, i quali sono stati capaci di portare il peso di una simile pellicola sulle proprie spalle.
Oltre al loro ottimo lavoro, va dato più di qualche merito a John Powell (musiche) e, soprattutto, al giovane Bradford Young (direttore della fotografia).
Un mix che, tutto sommato, ci fa dare un voto più che positivo, ma ci lascia un po’ di amaro in bocca ripensando a quanto poco sarebbe bastato per fare ancora meglio.