Provarci forte forte senza riuscirci
Il 25 luglio uscirà nelle sale il film Hereditary – Le radici del male, esordio cinematografico per Ari Aster, giovane regista statunitense.
Noi di Stay Nerd siamo andati all’anteprima pieni di ottime aspettative, come in occasione dell’uscita di ogni nuovo horror, sperando di uscire terrorizzati dalla sala, gridando al miracolo del nuovo avvento del genere. Così non è stato, purtroppo, perlomeno non in questo caso. Partiamo dall’inizio, però.
Hereditary ha tutti gli elementi che caratterizzano il genere: una famigliola all’apparenza felice ma con qualche segreto di troppo, una morte improvvisa (quella della nonna, in questo caso) che costringe i protagonisti a scavare nel loro passato, perfino una casa isolata in mezzo al bosco.
Come ormai di routine, la storia si apre presentandoci il delicato equilibrio familiare: una nonna invadente in modo inquietante, una coppia di nipoti non perfettamente integrati, due genitori che provano a tenere in piedi questo precario castello di carte.
L’improvvisa dipartita della nonna darà il via a una serie di accadimenti che porterà terrore e scompigli nei protagonisti, in una spirale che a tratti più che il tema horror sembra sfiorare il filone sfiga estrema.
Nelle intenzioni del regista, gli avvenimenti dei primi minuti del film avrebbero dovuto provocare nello spettatore una sensazione di disagio estremo, facendolo empatizzare con i protagonisti che si trovavano davanti a una fase della vita costellata da dolore e ingiustizie. In realtà l’accanimento sulla famiglia Graham ha fatto sollevare ben più di un sopracciglio, in sala.
Il regista, Ari Aster, prova a mettere in campo tutte le armi che la sua breve carriera gli ha fornito: il film, quindi, abbonda di primi piani abilmente usati per nascondere l’entità cattiva alle spalle del povero protagonista, di rumorini inquietanti che preludono all’arrivo del boo moment e di
Peccato che lo stesso impegno non sia stato messo nella gestione della seconda parte del film, ad esempio, che volta verso la conclusione fin troppo velocemente. Oppure nella stesura dei dialoghi, che troppo spesso si avvicinano a una seduta psicoterapeutica da quattro soldi.
Nonostante le scelte stilistiche non sempre eccelse, gli attori protagonisti hanno svolto il loro compito al meglio. Toni Colette, in particolare – nei panni di Annie Graham – riesce a essere particolarmente convincente nel ruolo della madre sull’orlo della psicosi, attanagliata dal dolore dal un lato e dal dubbio sulla propria sanità mentale dall’altro. Il suo personaggio – e quindi la sua performance – è quello che regge il film e che fa da specchio per il terrore dello spettatore: man mano che abbiamo visto Annie accartocciarsi, piegarsi e poi crollare, abbiamo sentito le nostre inquietudini salire a galla.
Gli altri due attori, pur non reggendo il confronto con la Colette, meritano una menzione d’onore per l’impegno. Vi basti pensare che Alex Wolff – che nel film veste i panni del figlio Peter – è rimasto nel personaggio per tutta la durata delle riprese. E quando il film si avvicina al finale, i suoi occhi rossi e persi nel vuoto la dicono lunga sulla sua capacità d’immedesimazione e sul futuro che lo aspetta.
Gabriel Byrne, conosciuto ai più per il suo ruolo ne I soliti sospetti, d’altronde, non è da meno, sfoderando la sua bravura anche in questo film, in cui si trova a essere un semplice comprimario.
Come ogni horror che si rispetti la colonna sonora è un aspetto fondante: in questo caso l’inquietante sottofondo musicale è stato affidato al sassofonista Colin Stetson, già la lavoro su 12 anni schiavo e Un sapore di ruggine e ossa. La collaborazione tra Aster e Stetson nacque in fase di stasura della sceneggiatura: il regista ascoltava i dischi del musicista proprio mentre scriveva le scene del film. Ispirato dalla sua multifonia e dall’uso delle valvole a percussione, Aster ha deciso di affidare al sassofonista la composizione delle musiche originali.
Alcuni elementi del film, quindi, sono stabilmente al loro posto: la colonna sonora, le performance degli attori, la scenografia, le location delle riprese riescono a confezionare un quadro horror degno di questo nome. Peccato che proprio i dialoghi e la trama facciano perdere buona parte dell’efficacia all’intero pacchetto.
Verdetto
Hereditary è un film che ambisce a essere il nuovo Esorcista, facendo ampi riferimenti ai classici del genere, da Rosemary’s baby a Psycho, mancando però completamente il bersaglio.
Il film è tenuto in piedi solo dalle interpretazioni degli attori che si trovano a recitare in un film in cui i boo moments sono ampiamente prevedibili e le svolte della trama piuttosto telefonate.
La trama, stiracchiata e poco originale, pone le basi anche per un franchise, lasciandosi aperte alcune porte e strizzando l’occhio alle saghe recenti più note, The conjuring in testa.