Prima di Lollipop Chainsaw e prima di No More Heroes, Suda 51 fu l’autore di Killer 7, una delle sue più bizzarre opere, che oggi ho voglia di descrivervi, in questa sorta di retro-recensione, in modo che chissà, magari venga l’istinto a quanti di voi non l’abbiano mai giocato, se non addirittura sentito nominare, di riscoprirlo. Ma per farlo, avrete necessariamente bisogno di un Game Cube o di una PlayStation 2, in quanto parliamo di un titolo del 2005. Quale migliore occasione se non il suo decimo anniversario per riesumare impressioni ed emozioni legate ad un gioco a mio avviso davvero importante nel panorama dell’industria giapponese dei videogiochi?
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Cominciamo con il dire subito che è uno dei giochi più particolari mai provati… sia per la storia, che per le scelte stilistiche e perfino per quel che riguarda il gameplay.
Il gioco comincia subito buttandoci nell’azione vera e propria, senza troppi preamboli, lasciandoci momentaneamente senza una premessa significativa, quasi a voler sottolineare da subito che non ci troviamo di fronte alla solita avventura convenzionale di Capcom, per quanto proseguendo, in minima parte gli sviluppatori si smentiscano introducendo a volte piccoli cliché tipici delle produzioni della famosa software house, ma questo più che altro a livello di meccaniche di gioco.
La grafica si presenta al primo impatto davvero originale, essenziale ma pulitissima (per l’epoca): realizzata completamente in cel-shading il particolare stile rende ogni inquadratura una piccola opera d’arte pop-minimalista, con personaggi in stile fumetto americano e ambienti estremamente stilizzati, con dettagli ridotti all’osso ma che, uniti alle sgargianti scelte cromatiche piuttosto spiazzanti, fa la sua porca figura, a patto che si scenda al compromesso di dare più peso al suo valore artistico piuttosto che tecnico.
In ogni caso la particolare grafica non funzionerebbe cosi bene se non fosse perché studiata per rendere al meglio unita ad una formula di gioco eccentrica sotto tutti i comparti.
L’avventura, quando non si tratti di mostrarvi spezzoni animati per il proseguo di trama, è divisa essenzialmente in due fasi di gioco alternate fluidamente, che il giocatore è chiamato a “vivere” in prima persona: la prima è la classica esplorazione degli ambienti alla ricerca di personaggi chiave con cui chiacchierare e oggetti necessari per lo svolgimento delle vicende ed avviene completamente in modo semi-automatico… dall’inizio alla fine.
Mi spiego meglio: che si tratti di una scuola elementare, una città all’aperto, un ospedale o quant’altro (Killer 7 si spreca abbastanza nella varietà delle ambientazioni) il nostro personaggio seguirà dei binari virtuali e per muoverlo in questi non dovremo premere altro che A (su GC) per correre o camminare in una direzione, oltre a questo a schivare un bidone, salire su un marciapiede, evitare un vicolo cieco ecc. ci penserà automaticamente il gioco. Le altre possibilità a noi offerte sono solo di girarci di 180 gradi per tornare sui nostri passi o scegliere una delle direzioni ove si presentassero bivi di vario genere. Inusuale eh?
Ora, non sta a me giudicare la scelta del gioco di toglierci la completa libertà di movimento come giusta o sbagliata, ma in relazione a quanto dicevo poco fa sull’affinità grafica/gameplay, se devo esprimermi, mi esprimo in modo positivo in quanto penso che anche questo faccia parte della visione precisa di un “tutt’uno” che Goichi Suda aveva in mente per il suo titolo.
A questo punto devo assolutamente aprire una parentesi sulla trama, argomento imprescindibile per comprendere meglio quanto detto. Vi dico subito che a mio parere è una delle più originali e criptiche sceneggiature mai godute in un videogioco che non svelerò assolutamente ma che sicuramente nella sua articolata schizzofrenia, vale da sola il prezzo del biglietto. Un contesto affascinante e profondo e abbastanza delirante da potersi considerare il corrispettivo “videoludico” del cinema di Cronenberg, ovviamente il tutto declinato secondo una sensibilità di matrice giapponese.
La storia, al di là delle evidenze nelle sue premesse, introduce tematiche noir e background politici internazionali profondissimi vissuti e visti dagli occhi di un killer… o sette, o forse nessuno, niente è certo fino alla fine, nemmeno la vostra identità.
Perché parlo di 7 killer? Come forse saprete sono 7 i personaggi a vostra disposizione, o meglio, è uno che può “trasformarsi” in sette individui diversi, ognuno con le sue peculiari caratteristiche, che andranno sfruttate in modo adeguato e che avrete sempre facoltà di cambiare come credete (o quasi).
Gli scenari si dipanano trasmettendoci sempre una stana sensazione di nonsense generale: il fatto di passeggiare tranquillamente in un edifico statale, aprire una porta, e trovarsi improvvisamente dentro una discoteca, per poi proseguire di poco, aprirne un’altra e trovarsi senza motivo dentro un Colosseo, disorienta un po’ ma rende la codifica dell’immaginario creato stimolante e affascinante.
Tutto è pervaso da una atmosfera onirica, dove non tutto ciò che ci circonda è definito, e come dentro un sogno si è proiettati verso un preciso destino dove i particolari fondamentali sono solo quelli più surreali, quelli che possono far vacillare il tuo stato d’animo e la tua sanità mentale.
È per questo che forse non vi interesserà avere un tasto per guardarvi intorno e accorgervi che in una stanza c’è solo un letto, un armadio spigoloso e nient’altro. Preferirete contemplare solo il giallo abbagliante con cui è stata “dipinta” la suddetta stanza, o la regia e le inquadrature con cui viene rappresentata su schermo.
Prima parlavo di due fasi. La prima è quella esplorativa, su cui non mi soffermo oltre perché a dire il vero, tutto quello che mi resta da dire in proposito si trova -ahimè- sulle considerazioni finali dei difetti di quest’opera, la seconda invece riguarda il gameplay vero e proprio, ovvero gli scontri a fuoco con gli Heaven Smiles.
Questi frangenti sono sicuramente divertenti e godibili, ma non aspettativi lo stesso appagamento o profondità che già all’epoca potevamo ritrovare in un titolo come Resident Evil 4, sicuramente in questo caso, la Capcom, o meglio il buon Suda 51, ha preferito sviluppare principalmente l’aspetto narrativo.
Diciamo che tutto è riconducibile ad una sorta di “tiro al bersaglio”: i nemici di questo gioco, si, la carne da macello insomma, prende l’aspetto dei già citati Heaven Smiles, strani zombi/uomini pesce/cosi antropomorfi. Lascio alla lore imbastita il compito di giustificarne l’assurda esistenza. In linea di massima in ogni stanza ci sono due, tre o più HS, i quali non chiedono altro che farsi “scannerizzare” con il pratico “Visore HS” per rivelare la loro presenza (sono sempre invisibili e si annunciano solo con delle risate). A questo punto non ci resterà che mirare e ucciderli rigorosamente in prima persona (puntando l’arma dalla terza persona infatti, si passa direttamente alla “Quake view”). La nostra bocca di fuoco cambierà a seconda del personaggio utilizzato (quindi abbiamo sette diversi metodi di attacco, e qualcuno dei protagonisti ha la possibilità di trovare upgrade per la propria arma durante l’esplorazione).
Uccidere gli HS non è affatto un operazione fine a sè stessa, ma è necessaria per assorbire il loro sangue e poter potenziare nelle stanze di salvataggio varie caratteristiche del proprio personaggio: potenza, velocità, ecc.
Inoltre il prezioso liquido serve per poter riempire provette sempre pronte per ricaricare la nostra energia o alimentare qualche colpo particolarmente “potente”. Non c’è dubbio che tutto questo attribuisca ai nostri avatar un certo tocco “vampiresco”.
Colpendo gli HS in un preciso punto esplodono all’istante, non colpendoli affatto si avvicineranno a voi ed esploderanno ridendo felici di aver contribuito alla vostra perdita di preziosa salute.
Inutile dire che più andrete avanti più la varietà dei suddetti aumenterà e i loro punti deboli saranno sempre più difficili da colpire. In genere il tutto è sempre abbastanza divertente vista la varietà delle armi, che passano dal lancia granate alla magnum con mirino di precisione (la mia preferita), fino a pezzi grossi come super magnum dal rimbombo ultra stordente. Se si aggiunge il fatto che è possibile amputare gli HS in ogni modo possibile immaginabile (grazie al loro modello poligonale davvero poco sofisticato) il nostro lato sadico sarà sufficientemente appagato.
Sono presenti dei classici enigmi Capcom (per quanto sia una “classicità” d’altri tempi in realtà) come “tira lo scarico del water e cadrà dal soffitto il magico pezzo di control panel che apre la libreria e rivela la nuova strada” (non scherzo… un enigma è quasi precisamente come ve l’ho appena descritto) che si sopportavano già nel 2005 con tenera rassegnazione in altri giochi, ma che in un gioco che vuole essere l’emblema del “fuori dal coro” e dell’atipico, risultano stilisticamente inopportuni. Fortunatamente, verso metà avventura comincia a vedersi qualcosa di più articolato, cosi come cominciano a diventare meno invadenti i vari “fantasmi” che sulle prime si incontrano nel proprio cammino fin troppo spesso. Vi accorgerete infatti che inizialmente se vorrete avere suggerimenti sulla storia e i personaggi, vi dovrete fermare ogni 2 metri per parlare con entità paranormali che tra l’altro, hanno una parlantina assolutamente irritante. Certo, potete fare a meno di parlarci, ma potreste perdervi frammenti davvero interessanti del background narrativo.
Killer 7 inoltre, procede con una linearità davvero marcata (comincia un capitolo, filmato, svolgi, filmato, boss, filmato, next chapter). Ma va beh… nasce quasi come graphic novel interattiva, quindi non turba oltremodo. Infine, alcune abilità dei diversi personaggi non vengono troppo sfruttate, come quella di saltare e aprire lucchetti di Koyote (una delle vostre “personalità”) che avrebbero reso alcune situazioni più intriganti.
Ci sarebbero altre chicche e particolari da argomentare presenti nel gioco, come la splendida colonna sonora o il fatto che alcuni filmati in certi capitoli sono Anime veri e propri, in altri cartoon in stile americano, e altri ancora sono in CG. Ma gli aspetti che ho tralasciato o non voglio intenzionalmente svelarveli sono parte integrante di ciò che “è bello scoprire”, oggi come 10 anni fa.