Durante il Cartoon Village abbiamo avuto il piacere di intervistare due big del doppiaggio made in Italy, ovvero Leonardo Graziano, voce di Naruto e Sheldon, ed Ivo De Palma, storica voce di Pegasus.
Continuate a leggere per scoprire cosa ci hanno detto in questa lunga ed interessante chiacchierata!

Partiamo subito con Ivo de Palma.

Ivo, tu e i tuoi colleghi avete dato vita a uno dei doppiaggi più belli della storia dell’animazione in Italia, ovvero i Cavalieri dello zodiaco.
È un cartone animato che si contraddistingue anche per un tono quasi aulico, con vari riferimenti da Dante, spaziando un po’ ovunque. Come ti sei trovato a doppiare qualcosa di così impegnativo seppur comunque, in qualche modo, adatto a un pubblico giovane?

De Palma:
Intanto a Cesare quel che è di Cesare, o per meglio dire a Carabelli, perché era Carabelli il direttore del doppiaggio di allora e fu lui che impostò quella linea, come hai detto tu, un pochino più aulica. Proprio in breve diciamo che fu uno dei rari casi in cui elevare il registro si dimostrò una delle cause del successo, mentre invece di solito per ricercare il successo bisogna abbassarlo. In questo caso il merito fu del coraggio, la determinazione di questo direttore che diceva: “Se il bimbo non capisce chiede ai genitori, punto”. E quindi in qualche modo questa sua volontà diede vita ad un esperimento che ovviamente è discutibile, come tutte le cose di questo mondo, ma che però, insomma, ricordiamo anche per quella cifra stilistica.

ivo de palma

Poi nel 2008 vi siete ritrovati per la saga di Hades, dove tu ti sei occupato della direzione del doppiaggio.

Ci siamo ritrovati, purtroppo, senza più Carabelli che nel frattempo era scomparso. C’è questo meccanismo per cui di solito, se muore il direttore, o comunque per qualche motivo non fa più lui quella produzione, si tende ad affidarla al protagonista poiché si suppone sia quello che più o meno conosce meglio la serie rispeto agli altri. In realtà era ed è una serie talmente variegata e con talmente tanti personaggi che, alla fine, viene un po’ a cadere questo fatto, a meno che uno non sia già di suo un appassionato del manga; ma non era il mio caso. Io in realtà fino a quel momento avevo solo doppiato il mio personaggio e quindi mi sono comunque ritrovato ad avere in mano una grande responsabilità perché, oltre alla direzione del doppiaggio, dovetti ereditare anche l’adattamento dei dialoghi, in quanto il dialoghista dell’epoca,, in quegli anni, aveva cambiato attività e quindi non era più disponibile. Io lo cercai ma si dichiarò non disponibile. Dunque fu una doppia responsabilità che ovviamente cambiò il mio approccio con l’opera, perché prima facevo il protagonista, più o meno in modo apprezzato sia dal direttore sia dal pubblico e non avevo altre preoccupazioni, mentre da quel momento in avanti diciamo che, oltre che a qualche soddisfazione in più, sicuramente, ebbi pure qualche mal di pancia in più.

Questo anche perché c’era grande aspettativa da parte dei fan e gli spettatori di un tempo.

Il così detto fandom dei Cavalieri dello zodiaco, che poi è particolare. Nel senso che, per ciò che concerne il doppiaggio, da un lato ci sono gli integralisti del purismo assoluto, per cui totale aderenza all’originale, che peraltro farebbero molto più in fretta a vederselo in giapponese punto e basta. E poi ci sono i puristi dell’intervento in chiave aulica. Per cui io che mi ritrovai a dover mediare tra le due fazioni – chiamiamole così – perché da un lato il cliente mi chiedeva naturalmente continuità, ma dall’altro non potevo proprio non cambiare nulla, come era stato fatto molto spesso in passato, perché abbiamo una percezione ora diversa rispetto l’originale. Quindi mi trovai a mediare tra le due posizioni, e a livello di grande pubblico andò benissimo, il cliente fu soddisfatto, la maggioranza del pubblico fu soddisfatta, ma, rispetto al fandom appunto più accanito, io ebbi contro sia i puristi della vicinanza all’originale che i puristi del doppiaggio aulico.

In questi casi come fai sbagli…

Naturalmente non si può accontentare tutti; a un certo punto qualche scelta bisogna farla e quindi chiaramente è nel gioco, però mi ha sempre un po’ fatto specie questo integralismo. In questo caso io ebbi critiche e perfino insulti dai puristi, ma anche insulti e qualche minaccia dagli integralisti del doppiaggio aulico, che dicevano che avevo tradito il mandato di Carabelli. A volte io ho qualche dubbio che questi cartoni animati siano stati in grado di favorire la crescita e la visione a certi valori, perché spesso si dice così, no? Un po’ tutti dicono che questi cartoni hanno insegnato delle cose ecc.. ecc… Sì, però poi quando mi ritrovo di fronte a certi linguaggi e a certe critiche poste e, soprattutto poste in un certo modo, che poi scendono anche sul personale in maniera del tutto indebita, allora io mi chiedo: “Siete sicuri che avete imparato qualcosa dai Cavalieri dello zodiaco? Ecco”.

Graziano:
Non credo che siano i cartoni, perché di una serie come Dexter allora che dovremmo dire? Che vuoi imparare da una serie che parla di un serial killer? Il punto è che qui la gente deve avere un po’ più di educazione.

Un discorso che si allaccia alle recenti critiche ai videogame….

Io non mi pronuncio su questo, però dico, se tu dichiari che questi cartoni, questi prodotti, ti hanno fatto crescere in un certo modo poi dimostramelo, sennò comincio a dubitarne. Indipendentemente dal prodotto in sé e dalla mia opinione sul prodotto.

A proposito della crescita invece, veniamo a te, Graziano e a Naruto e Sheldon. Ognuno nel proprio universo, è diventato ormai grande e negli anni ha subito una vera e propria evoluzione.
Che ne pensi di come hanno vissuto e di come sono diventati? Pensi che siano distanti dal loro io di un tempo?

Graziano:
Credo che siano stati molto intelligenti, sia i giapponesi che gli americani, visto che parliamo di due serie fatte agli opposti, nel cercare una chiave per portare i personaggi avanti perché, come succede spesso nei cartoni animati, non crescono i personaggi, quindi dopo un po’ stancano, si perde la verve, magari cambia il character desing, cambia il regista delle storie. In questi due casi specifici credo all’intelligenza della forza del prodotto, anche se Naruto ormai purtroppo ce lo siamo dimenticato, perché sono due anni che non lo doppiamo più, quindi credo sia una di quelle serie che andrà purtroppo nel dimenticatoio.
Sono stati intelligenti nel creare un’evoluzione del personaggio grazie a quelli di contorno che poi sono arrivati piano piano. Per quanto riguarda Naruto il figlio, per quanto riguarda Sheldon la compagna, che poi nell’ultima stagione è diventata la moglie. Questa crescita personale ha permesso l’introduzione di nuovi personaggi e ha dato linfa vitale ai personaggi stessi, perché altrimenti sarebbero morti con la loro ripetitività, la loro continuità. Nella vita è naturale crescere, quindi non è naturale non farlo in una serie televisiva, ed è giusto portare avanti un personaggio e portalo avanti con tutte le difficoltà. Gli X-men ebbero successo negli anni ’80 proprio perché raccontavano di super eroi con super problemi. Avevano tagliato di netto la continuità dei supereroi fino al 1976-78 che avevano stufato, annoiato, perché non crescevano mai, erano sempre rimasti nella guerra. Quando Claremont creò gli X-men, per esempio, cambiò tutto il cast, di netto, incupendo anche molto la serie, dando tutta quell’area che non c’era, l’area dei problemi, l’area della quotidianità. Ecco, credo che la forza di queste due serie sia stata il fatto di farli andare avanti grazie, ovviamente, alla quotidianità. Naruto è andato avanti, ha trovato una compagna, si è sposato ha fatto un figlio, ed infatti la serie è stata conclusa e intelligentemente Kishimoto ha aperto una serie nuova parlando delle avventure del figli,o ma facendo apparire ancora i personaggi che lo hanno reso famoso. E nello stesso modo Big Bang sta andando avanti sulla stessa linea. Credo che non finisca con la 12a stagione, a quanto ho capito. Credo che il prodotto stia bene e stiano sperimentando, perché ancora non è deciso, ma stanno creando una nuova chiave per non far annoiare il pubblico. Questa è la fortuna di avere dei bravi registi, dei bravi sceneggiatori che ti permettono di andare avanti col personaggio, che altrimenti morirebbe.

Tra l’arto sia Naruto che Sheldon sono dei personaggi che hanno tante sfumature caratteriali, il che è proprio la loro forza. Tu, quanto ti rispecchi in loro?

Beh, sì e in tutti e due, sicuramente. Ogni personaggio che doppiamo ha una parte di noi. Ci sono dei personaggi ai quali magari io non sono più affezionato, però poi alla fine mi rendo conto che in ognuno di loro metto una sfumatura del mio carattere. Non ne saprei scegliere uno; sono sempre legato a loro nel bene e nel male e c’è una grande parte di noi.
Non ho le manie di Sheldon ma ho quella ironia che lui ha, non tanto nell’elevarsi in quel superbo personaggio nei confronti della persona che sta davanti, ma quell’ironia insita nel fatto di scherzare, di sdrammatizzare una situazione attuale, quella per esempio io ce l’ho. Di Naruto ho l’allegria, ho la “coglionaggine”. Ognuno di loro ha una mia piccola sfaccettatura: non sono come loro, questo sia chiaro, però posso dire che un piccolo cristallo della mia recitazione, della mia arte va all’interno di ognuno di questi personaggi, e non posso dire: “No, con quel personaggio non c’entro niente”. No, non lo posso dire assolutamente.

Come ci si sente quando un personaggio che si è doppiato per molto tempo, poi magari va a morire? Il doppiatore come si sente?

Graziano:
Se c’è un senso, io sono contento perché vuol dire che ha concluso un percorso. Se il percorso non lo conclude ci rimango male. Per esempio con Naruto ho un grosso dispiacere, onestamente, perché ci siamo fermati all’episodio credo 270 e ne mancano ancora 240, tantissimi. A me un po’ dispiace che Madieset lo tenga in standby, anche perché poi i tempi cambiano, arrivano prodotti nuovi e ormai purtroppo la quantità di prodotti che arriva è talmente grossa, troppa che non ti fa più affezionare ai personaggi. Una volta c’erano tre cartoni animati l’anno, poi sono diventati dieci e riuscivi ancora a stare al passo, ma quando diventano cinquanta, distribuiti in tutte le reti, anche chi produce giocattoli non sa dove investire, se su quello o su quell’altro, alla fine magari non esce niente e non lo trovi nel negozio di giocattoli, e allora rimangono sempre i soliti. Rimane Barbie, che è iconica, rimane Hot Wheels per i bambini, e poi gli altri personaggi muoiono per via di questa quantità assurda di prodotti che arriva e a cui non viene dato un giusto spazio. Adesso invece la logica del mercato è così: viene creato una volta e poi appena non ha successo tutti si spaventano, le pubblicità si tirano indietro e dopo venti puntate magari il cartone animato viene stoppato, pure se è un cartone che potrebbe ingranare oppure potrebbe piacere. Sai quante volte sono arrivati dei prodotti che potevano piacere e poi son piaciuti 15 anni dopo? Oggi come oggi io rivedrei I cinque samurai, te li ricordi?

Certo! Era molto bello.

Ecco, per dirti. Un peccato che la gente proprio non se li ricordi, perché la rete magari non ha saputo gestirli, li ha mandati su Europa 7 e poi…

È una serie che tra l’altro si avvicinava al target dei Cavalieri dello zodiaco.

Esatto. È un peccato questo, perché quando ti rimane un personaggio a metà poi non lo puoi concludere, ed in quello un po’ di dispiacere ce l’ho. Meglio che una serie venga conclusa piuttosto che lasciarla a metà. Magari ti rimane un po’ l’amaro in bocca, però almeno come artista, ti parlo proprio da artista e fan, ti senti più soddisfatto.

Penso che per un doppiatore le sensazioni siano le medesime quando ciò accade per un personaggio di un cartone, che per un attore. Giusto?

Graziano:
Ovvio, Quando arriva un attore che tu hai fatto per tanti anni e poi non te lo danno, perché ci sono persone che scelgono di non dartelo, e ti dispiace. Purtroppo, anche lì, l’affetto del pubblico a volte non è così superiore alla decisione potente, che dice: “No, Graziano non lo voglio”. Ti dispiac,e mandi giù un boccone amaro, però comunque un po’ di amaro ce l’hai, perché lo senti tuo. Ci sono degli attori – e credo che sia capitato anche a De Palma – o dei personaggi che senti tuoi, che a un certo punto quando te li tolgono e oltrettuto in maniera ingiusta, specie se magari è fatto con superficialità, ci rimani dvvero male. Perché, ti ripeto, nel mio caso, ogni personaggio ha una parte di me, quindi mi sento strappare una piccola parte di me.

Quindi se doveste sceglierne uno solo a cui siete più affezionati?

Graziano:
No, non me lo chiedere perché non te lo dirò mai.

De Palma:
Per quanto mi riguarda è chiaro che sia Pegasus. Ha una posizione particolare nella mia carriera, è arrivato in un momento in cui mi serviva quel personaggio lì per fare un po’ il salto di qualità. Il tutto è coinciso con una specie di sodalizio artistico felice tra me e il direttore del doppiaggio, Carabelli. Poi è ritornato negli anni 2000 causandomi, come dicevo prima, qualche grattacapo in più, ma sostanzialmente sul personaggio ho avuto modo di dimostrare che ancora, malgrado fossero passati un po’ di anni, ci stavo ancora, diciamo. Quindi lui è un personaggio un po’ particolare nella mia carriera, e non lo metterei alla pari con gli altri. Degli altri invece rimpiango che sia durato soltanto 26 episodi l’anime Samurai 7, in cui ho doppiato il capo dei samurai, questa figura molto carismatica che però è un antieroe, quindi non rispecchia il pensiero forte, tipico giapponese appunto, ma un eroe malinconico, uno che ne ha date ma ne ha pure prese nella vita. Molto carismatico ed impatto, anche fisicamente: la tunica bianca, la barba fluente, il capello sciolto, una sorta di Gesù Cristo con la katana, praticamente. Uno di quei personaggi che uno doppierebbe a vita, eppure, dopo 26 episodi, chiuso il discorso. Quindi a volte si incontrano delle felici alchimie che, però, questioni produttive varie costringono a racchiudere solo in quel lasso di tempo e basta. 

Voi che siete dei veri professionisti del settore, che cosa ne pensate delle scelte che negli ultimi anni sono state fatte in termini di doppiaggio, affidando dei ruoli – come capita spesso nei film di animazione – a personaggi che non hanno vere e proprie competenze. Qual è il vostro pensiero a riguardo? Al di là del fatto che poi c’è qualcuno che ha del talento, ma sicuramente è una cosa diversa.

Graziano:
I cosiddetti talent. Con tutto il rispetto, perché negli anni 50 gli attori facevano i doppiatori, quindi avevamo gente come Alberto Sordi, i talent li facevano loro. Oggi una cosa del genere si ripete, ma è passato tempo, ed i valori artistici che c’erano una volta erano sicuramente ben scelti, non in base alla quantità di fama che uno aveva, quanto più in base all’aderenza a un personaggio, e alla bravura. Io, che ti devo dire, non sono proprio d’accordo con questa storia dei talent, ma non proprio con i talent in sé; perché è giusto dare un lustro ad un personaggio. Però se, per dire, Angelina Jolie lo fa in americano è perché è un’attrice a tutto tondo che ha studiato recitazione, ha fatto teatro, sa recitare un leggio, può fare un musical, sa cantare. Magari gli attori che stanno in Italia, non sono così preparati col doppiaggio perché nella loro carriera non lo hanno mai fatto. E allorache succede?  Puoi essere una bravissima attrice a presa diretta, ma il doppiaggio è un’altra cosa, è un altro mondo, un altro approccio e un altro sistema di stenografia. Se tu sai fare C non è detto che sai fare A, quindi bisognerebbe scegliere con molta cura, e credo che lo stiano facendo con le major, per esempio Disney fa molta fatica a trovare delle attrici che poi prestate al doppiaggio funzionino.
Devo essere sincero: se prendiamo ad esempio Frozen, nonostante a me non sia tanto piaciuto il cartone animato, devo ammettere che ci si è sforzati di trovare delle cantanti che almeno avessero fatto dei musical. Ma in Italia non ci sono queste figure che studiano a tutto tondo; purtroppo il doppiaggio è stato un mestiere sempre relegato in quarta fila e gli stessi attori non dedicano lo spazio che dovrebbero dedicare a un mestiere che gli fa anche comodo. Perché a volte ridoppiarsi nelle scene è molto complicato, e se tu non lo sai fare, se non sai ridoppiare la tua stessa faccia, fa male a te, quindi, o poi ti doppiano oppure quando sei doppiato si sente che sei stonato e si avvertela differenza quando sei a presa diretta.
In sostana bisognerebbe che, prima di passare al doppiaggio, queste persone, questi grandi attori italiani, si prestassero per anni come abbiamo fatto noi. Perché se mi mettono all’Isola dei famosi a presentare io non lo so fare, e non lo faccio. Io non ho fatto tanta presa diretta, magari potrei fare teatro ma, davanti a una telecamera avrei difficoltà e si vedrebbe.
Abbiamo tantissimi colleghi bravi, che hanno dato per anni e anni colori e toni a personaggi iconici, anche Disney, che non erano magari famosissimi, ma che ancora oggi vengono ricordati. Allora, il talent di oggi lo guardo con una certa preoccupazione. Sono sempre un po’ preoccupato, perché poi Disney rimane per sempre. Per cui quando poi senti certe cose… mamma mia, prendete un doppiatore! Oppure prendete un cantante famoso e cercate il doppiatore più simile, come è stato fatto con La principessa e il ranocchio: ci attacchi la voce e magari hai una doppiatrice molto brava e una cantante straordinaria e cerchi di fare quel connubio, quel gusto che si rifà veramente agli anni 50’/60′. Quando trovi qualcuno che è digiuno della materia e fa lo youtuber, tu capisci…
Noi abbiamo studiato per fare questo mestiere, non è che ci siamo improvvisati davanti a un microfono. Noi siamo tutti arrivati con una piccola esperienza recitativa e le nostre prime battute erano un po’ più faticose rispetto a quelle di oggi. All’epoca a me non avrebbero mai potuto dare un super protagonista al primo giorno di doppiaggio. Ho dovuto fare un po’ di gavetta. I talent di oggi non fanno una minima gavetta, non studiano il doppiaggio, che – lo dico sempre – è come un medico: tu sei medico di base, però il chirurgo non lo sai fare; il dentista non lo sai fare. L’attore americano invece, sa cantare, ballare, recitare, recitare al microfono, doppiare. Sarebbe il caso che, magari, quando si fanno delle scelte siano ponderate.

De Palma:
Sì, gli americani hanno un ulteriore vantaggio: di solito non doppiano dopo ma mettono prima la voce, quindi la recitano come diavolo vogliono, e poi viene fatta un’animazione sul loro parlato. Per cui già sono mediamente attori molto bravi, se in più gli lasci la completa libertà, praticamente, è chiaro che poi quel cartone animato in originale americano con delle voci eccezionali, attoroni incredibili, che hanno potuto recitare del tutto liberi, con l’animazione stata sul loro labiale, il risultato è artisticamente notevole. In Italia, ovviamente, non abbiamo questa stessa qualità per i motivi che ha già spiegato prima il collega. C’è da dire che di solito i committenti che scelgono uno o più talent per quel determinato film hanno almeno la cura di mettere alla guida di quel doppiaggio, come direttore, un nome della direzione del doppiaggio decisamente molto grande, tipo Francesco Vairamo, per fare un nome tra i tre quattro che si potrebbero fare. Quindi in qualche maniera viene un po’ compensato da questo; poi è ovvio che il risultato di per sé può lasciare l’amaro in bocca ma è anche chiaro che lì per talent si intende qualcosa che ha a che fare con l’origine etimologica della parola, dunque gente che è lì per aiutare il film a far soldi. Se tu annunci tre mesi prima che la voce di tizio sarà quel talent lì, tu hai pubblicità gratuita su tutti i social per tre mesi, pro o contro non importa, perché tanto non importa mai. Il loro lavoro, in realtà, di talent nel senso di macchine per fare soldi, in qualche modo lo fanno, fanno quello lo sanno fare. Chiaramente poi sulla voce ci sarà quello più smaliziato: Fiorello comunque è bravo, o comunque tra i migliori che si possono sentire, mentre in altri casi, francamente c’è da mettersi le mani nei capelli e sulle orecchie.
Però, tutto sommato, se vogliamo proprio spezzare una lancia, è la prova che in Italia il doppiaggio dei film si fa, perché se tu hai bisogno dei talent, comunque doppierai quel film, e allora se c’è un talent che fa il protagonista e poi tutti gli altri professionisti comunque lavorano, alla fine è una riprova che quel film in originale, fosse anche con la voce di Angelina Jolie, non lo sentiremo in Italia, se non andando a cercare l’originale. È una sorta di dichiarazione che del doppiaggio c’è comunque bisogno. Fatto possibilmente da professionisti, con qualche talent che fa parlare un po’ di più del film.

Graziano:
Nei cartoni animati lo stacco è di meno, ma quando il talent fa parte del cast di un film, la cosa diventa più complicata.

De Palma:
Per fortuna è un po’ più raro

Graziano:
È più raro, ma ci sono stati casi, come vari supereroi magari doppiati da talent con dei risultati disastrosi. Hanno fatto anche retromarcia in questo le stesse major, che dicono “Non possiamo tenere un film così”. Quindi il doppiaggio, forse, magari, ancora…