Addio al maggiolone?
Fino ad ora, bisogna dire che i tanto vituperati cambiamenti nello status quo di Dylan Dog sono stati decisamente sovrastimati. Certo, Bloch è andato in pensione, ma ogni tanto (troppo spesso, forse) torna protagonista al fianco del suo amato Old Boy. Groucho ha un telefono, ma alla fine si è rivelato più come un’utile risorsa e ha preso il posto che prima veniva occupato, soprattutto, dai vecchi libri dell’appartamento di Craven Road come fonte principale d’informazione. Rania e Carpenter, dopo un primo approccio agli antipodi, si sono abituati ad avere a che fare con Dylan e spesso i tre hanno messo da parte i dissapori per collaborare. Per non parlare poi di John Ghost, per ora figura interessante ma poco presente e, anche quando chiamata in causa, troppo spesso al livello di comparsa. È rimasto dunque deluso chi si aspettava stravolgimenti epocali e contento chi, invece, ha visto tutto restare più o meno uguale. Il discorso potrebbe cambiare con l’albo di agosto, che vede al centro il maggiolone più famoso dei fumetti e la sua possibile dipartita… Ma sarà vero?
Nel cuore della notte, un uomo in bicicletta viene travolto e ucciso da un pirata della strada, alla guida di una macchina non identificata. Facciamo un piccolo salto indietro: quattro giorni prima, Dylan si reca al Dipartimento dei Trasporti per ricevere una dolorosa notizia… Il suo amato maggiolone, ormai, non può più circolare. A causa del motore vecchio, le sue emissioni hanno superato la soglia di guardia ed entro settantadue ore deve essere smaltito, o messo definitivamente in pensione. Per il nostro eroe, si tratta di un vero colpo al cuore. Quell’auto è stato il suo compenso per il primo mistero risolto, insieme hanno fronteggiato orde di zombi, mostri e orrori di ogni tipo… È diventata parte della sua identità. Ma c’è poco dare fare: è tempo di cambiare mezzo di trasporto, per l’Old Boy! Peccato che l’auto non sia molto d’accordo…
Dicevamo dei cambiamenti che hanno colpito la serie: mentre quelli estetici stanno già facendo vedere i loro frutti (l’arrivo di Cavenago su tutti), quelli narrativi stentano ancora a decollare nonostante siano stati annunciati e, in larga parte, introdotti qualche anno fa. Questione di tempo, si dirà. Le produzioni in Bonelli vengono programmate con almeno ventiquattro mesi di anticipo e affinché certe novità possano entrare in circolo c’è bisogno di aspettare. Vero, ma è indubbio che molti, soprattutto dopo certi annunci roboanti, si attendevano qualcosa di più. Per questo, il fatto che Dylan venga costretto, in seguito ad una qualche oscura vicenda, a separarsi dalla sua storica macchina sembra il pretesto giusto per vederlo finalmente alle prese con un radicale stravolgimento. Perché, siamo onesti: è impossibile vedere la creatura di Tiziano Sclavi senza il veicolo targato Dyd 666, esattamente come sarebbe impossibile vederlo andare in giro senza giacca nera, jeans e Groucho al seguito. Ovvio, oltre a questa possibilità c’è dietro anche un po’ di paura, dato che i cambiamenti spaventano sempre, anche quelli positivi. Ma vedere Gigi Simeoni dietro questo epocale passo in avanti non può che tranquillizzarci. Tra tutte le nuove leve arruolate all’interno del rilancio, Simeoni è forse quello che più ha osato e, anche se lentamente, ha cercato di operare una vera rivoluzione dentro il microcosmo dylaniato.
E dunque, com’è andato su questo numero 384? Bisogna, prima di tutto, dare atto all’autore di aver svilluppato una trama godibile e intrigante al punto giusto. Partendo dal classico presupposto dell’automobile assassina, ci mostra quello che è da tempo il meglio del suo repertorio: dialoghi superbi, interazioni tra i personaggi calibrate al millimetro, buonissimi capacità di montaggio e, specialmente, un Groucho in forma smagliante. Inoltre, ripercorre il rapporto d’amore tra Dylan e il suo prode destriero con una nostalgia strappalacrime degna del miglior appassionato. Fin qui, niente di strano: si tratta di aspetti che lo sceneggiatore (e disegnatore) ha dimostrato più volte di padroneggiare al meglio. Quello che è mancato più volte, paradossalmente, è stata la capacità di costruire una vicenda lineare dall’inizio alla fine che non dovesse fare troppi voli pindarici per concludersi, tant’è che spesso le sue storie rimanevano impresse più per l’efficacia dei siparietti che per il resto. Sbavature che Simeoni sembrava essersi lasciato alle spalle con Dormire, forse sognare, la sua miglior prova fin qui e che, sempre inaspettatamente, aveva mostrato ancora una volta nel Tango delle anime perse, quello immediatamente successivo. Albi non citati a caso, perché uniti tra loro da un filo sottile, esattamente come questo che riprende, oltre a Profondo Nero di Argento, Piani e Roi, perfino il numero 344, Il sapore dell’acqua, scritto proprio da Simeoni. In parole povere, la vicenda si risolve traendo spunto da quegli stessi elementi di continuity blanda che, fino a qui, avevano dato la sensazione di essere stati seminati senza troppa convinzione. Una soluzione che non funziona fino in fondo, per diversi motivi: un po’ perché stiamo parlando di numeri di oltre due anni e mezzo fa, un po’ perché la visione d’insieme non sembra ancora perfettamente amalgamata. La sensazione è che, ormai, il vero banco di prova per verificare l’efficacia di tutti questi cambiamenti sarà il Ciclo della Meteora, che dovrebbe prendere il via a novembre.
Ciclo dove, speriamo, avremo modo di rivedere Sergio Gerasi, da tempi non sospetti una delle nuove leve capaci di dare del “tu” ai mostri sacri della testata. Un Gerasi fresco fresco del suo primo graphic novel per Bao e della sua prova su Mercurio Loi, anche se questo albo è stato realizzato col suo stile “vecchio”, più simile dunque a Remington House che a quello visto in Nemico pubblico numero 1, lo speciale di settembre 2017. In ogni caso, sia che lavori al Pianeta dei Morti o alla serie regolare, si tratta di una ben consolidata garanzia che ci piacerebbe vedere più spesso. Ma sotto questo aspetto, quello del disegno, al Dylan Dog sotto Recchioni non gli si può dire niente: chiunque abbia tenuto in mano le matite, tra cadetti e veterani, ha sempre fatto la sua bella figura.
Verdetto
Nonostante le buone premesse e le ottime prove del duo Simeoni/Gerasi, questo La macchina che non voleva morire non riesce a strappare l’applauso e si candida ad essere una buona storia come tante. Chi si aspettava di più rimarrà deluso, chi invece aveva paura che ci fossero radicali cambiamenti tirerà un sospiro di sollievo, ma alla fine quest’albo, sebbene sia ben fatto e piacevole, assomiglia tanto ad un’occasione sprecata.