“Quando le scale smetteranno de menacce…”

Il regista Alessio Cremonini porta sul grande e piccolo schermo il film legato alla tremenda vicenda del calvario e della morte di Stefano Cucchi, il trentenne romano che si spense il 22 ottobre 2009 all’Ospedale Pertini dopo 7 giorni di agonia.

Si tratta di uno dei casi più rumorosi e discussi della cronaca giudiziaria italiana degli ultimi anni, con un processo ancora in corso e che vede – ed ha visto, nel corso del tempo – coinvolti i carabinieri che l’hanno condotto all’arresto, i medici del carcere e gli agenti di polizia penitenziaria.

Va da sé quindi che realizzare un film su una vicenda così era rischioso ed estremamente complicato, e le preoccupazioni erano molte. Dagli ovvi dubbi su come sarebbero stati riportati i fatti di cronaca, all’idea di sviluppare un progetto del genere con le inchieste ancora in corso, fino a questioni più tecniche, come la paura di trovarsi dinanzi a un’opera eccessivamente romanzata. Il confine tra una narrazione efficace ma non documentaristica e una rielaborazione distorta o troppo fantasiosa è davvero sottile, tuttavia adesso possiamo senza dubbio affermare che Cremonini sia stato impeccabile.

Il regista apre con la morte di Stefano per poi ripartire dal principio, con una cronistoria certosina e realistica, che ci fa entrare a gamba tesa nella vita del giovane romano, nella sua casa e nei suoi affetti, nelle sue dipendenze e infine nella sua atroce sofferenza.

Il punto di vista Cucchi-centrico, a lungo temuto e poi contestato da molti (anche da chi il film non l’ha visto), ha lo scopo esclusivo di raccontarci questo, di mostrarci il suo dolore psico-fisico e l’animo di un uomo di certo non perfetto ma vittima di un barbaro massacro.
E soprattutto, Sulla mia pelle NON è un film contro le forze dell’ordine. È un film contro le ingiustizie, che non punta il dito in direzione dei carabinieri, della polizia o dei medici, ma sale colpevolizzando un sistema che non tutela gli individui e si perde in una macchinosa e vecchia burocrazia, che non funziona mai come dovrebbe.

Quindi sì, Sulla mia pelle è il film che “quando le scale smetteranno de menacce...” ma anche del “sono tre giorni che veniamo qui; diteci cosa dobbiamo fare”, o ancora “se non me dai ‘na mano, come te aiuto?”.
Questo perché il grande lavoro di Cremonini non ha bisogno di fare di tutta l’erba un fascio o di scadere in una facile quanto inutile retorica, al punto che il momento del pestaggio non ci viene nemmeno mostrato, ma solo lasciato intuire. La potenza distruttiva delle immagini seguenti e la pedissequa ma straziante aderenza ai fatti sa gestire i 100 minuti complessivi, senza bisogno di tutto questo, colpendo ugualmente dritto al cuore e allo stomaco dello spettatore, togliendogli il fiato.

Una veridicità e una sofferenza che passano anche e soprattutto attraverso la gigantesca perfomance di Alessandro Borghi, che si trasforma nel corpo e nello spirito restituendoci una versione incredibilmente realistica del protagonista di questa triste vicenda. Vi basterà anche soltanto mettere a confronto il filmato dell’interrogatorio in Tribunale di Cucchi con la medesima scena del film, per capire esattamente di cosa stiamo parlando.

Borghi si estranea dalla realtà e dal suo corpo per prendere possesso di quello di Stefano, lacerando le nostre emozioni con la visione di un volto macchiato e tumefatto che ha una potenza esplicativa maggiore di qualunque altra immagine, con uno sguardo disperato che si fa col tempo sempre più triste e rassegnato, e una voce tenue con la quale Borghi è abilissimo a giocare, modificando leggere sfumature che possono variare dal sarcasmo di una risposta a un carabiniere alla tenerezza di una frase detta al padre.

Quella stessa tenerezza che è bravissimo a trasmetterci un sorprendente Max Tortora (nei panni appunto del papà di Stefano), vittima stordita e inconsapevole di un sistema che non funziona a dovere, sebbene Cremonini sembri volerci ricordare che forse la stessa famiglia Cucchi avrebbe potuto far qualcosa in più. Non lesina su nulla e non si tira mai indietro, il regista, che porta avanti il crudo racconto proseguendo la strada imboccata nei primi minuti, senza effettuare deviazioni per paura di colpire una volta in più il cerchio o una volta in meno la botte. La cronistoria mette davanti al fatto compiuto tutti, dalle forze dell’ordine, ai medici, alla giustizia, alla famiglia, e persino lo stesso Stefano.

Ma anche i cosiddetti personaggi di contorno e di passaggio giocano un ruolo chiave nella vicenda. Minuti interi vengono dedicati a infermieri che cercano di dare una mano a Cucchi, o a agenti di polizia penitenziaria che si assicurano soltanto di non finire invischiati in fatti che non li riguardano, evidenziando una triste e pericolosa indifferenza.

Chi questa indifferenza non l’ha mostrata di certo è Alessio Cremonini, che si è fatto carico di portare questa terribile vicenda di cronaca sullo schermo, attraverso un racconto soffocante e angoscioso, cupo e claustrofobico come la fotografia di Matteo Cocco, liberandosi dalle tante etichette di genere ed uscendo volutamente dagli schemi, ma scuotendoci e restando attaccato sulla nostra pelle per molto tempo. Per tutto il tempo che serve per arrivare alla verità e perché sia fatta giustizia.

sulla mia pelle

Verdetto

Dal 12 settembre, contemporaneamente al cinema e su Netflix, è possibile vedere Sulla mia pelle, lungometraggio di Alessio Cremonini che narra i tremendi fatti di cronaca giudiziaria legati alla morte di Stefano Cucchi.
Il suo racconto passa attraverso veridicità pedissequa e sofferenza umana, in un perfetto equilibrio misurato dall’abilità del regista e dall’incredibile prova attoriale di Alessandro Borghi, che si trasforma nel corpo e nello spirito per questo delicato ruolo.
Probabilmente c’era solo un modo per realizzare Sulla mia pelle, ed è quello scelto da Alessio Cremonini.

Dopo aver visto Sulla mia pelle…

Se avete ancora voglia di vedere un interessante film su fatti di cronaca vi suggeriamo Diaz, di Daniele Vicari, incentrato sulla vicenda del G8 di Genova del 2001.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.