Elogio all’iconica archeologa e al concetto di avventura

Non è raro trovare nei cruciverba la definizione “La Lara dei videogiochi”, e il motivo risiede nella valenza simbolica che ha l’inglesissima archeologa, divenuta oramai icona inossidabile non solo per noi giocatori, ma per chiunque sia appassionato di cultura pop. E poco importa della caduta nel baratro dopo l’incredibile successo degli Novanta, perché Lara è tornata più in forma che mai, all’interno di un mondo videoludico spietato ma che ha imparato a (ri)apprezzarla nel corso degli anni.
Tutto questo preambolo è per annunciarvi Shadow of the Tomb Raider, terzo capitolo che conclude l’epopea iniziata nel 2013, disponibile su PlayStation 4, Xbox One e PC.
Adesso preparate piccozza e arco, si parte verso l’America Latina.

Ognuno è artefice del proprio destino

Lara e Jonah abbandonano il gelido freddo della Siberia post-comunista per raggiungere il caldo esotico del Perù precolombiano. Proprio lì, nella terra di Inca e Maya, l’archeologa dovrà lottare ancora una volta contro la Trinità, l’organizzazione paramilitare di stampo religioso, bramosa di ottenere reperti dimenticati per imporre un nuovo equilibrio mondiale, in un contesto che ci rimanda all’Apocalisse Maya.
Eppure, lo scontro tra Lara e la Trinità non è da intendere come una lotta dualistica tra bene e male, perché la stessa eroina, nel corso di quest’ultima avventura, tirerà fuori il suo lato più ombroso.
Shadow of the Tomb Raider, infatti, adopera la sua trama – abbastanza naif e con sparuti colpi di scena – per evidenziare sempre di più la caratterizzazione della protagonista.
Ne viene fuori una Lara bellissima, sia in senso estetico, di cui parleremo in seguito, sia in senso caratteriale. L’archeologa non si vergogna di mostrare le diverse sfaccettature della sua personalità: ride, scherza, si fa beffa dei nemici, ma si arrabbia pure, si colpevolizza, impreca, piange. Viviamo un corollario di emozioni assieme alla ragazza che abbiamo imparato a conoscere, di nuovo, come fosse la prima volta, cinque anni fa. Adesso però ne vediamo concretamente la maturità acquisita, i timori che lasciano spazio alla tenacia e al coraggio, la volontà di sfruttare il passato per trovare il proprio destino nel presente, e non per ritornare indietro.

Certo, Lara ci piace e pure tanto, ma da un lato la totale concentrazione nei suoi confronti lascia poco spazio ai personaggi secondari, primo fra tutti Jonah, spalla sempre presente ma di poco impatto e funzionale solo per certe dinamiche narrative. Stesso discorso vale per il cattivo di turno, esponente della Trinità.
Il risultato finale, dal punto di vista narrativo, è tutto sommato soddisfacente, grazie anche al ricorso ai flashback o ai flashforward, ma solo perché dà la possibilità di godere appieno della protagonista, perché la trama generale, sopratutto sul finale, lascia quel leggero amaro in bocca, privo dell’epicità che ci si poteva aspettare in un capitolo conclusivo di una trilogia di questo calibro.
 

La doppia natura della giungla: bellissima e spietata

Tolto il primo neo, passiamo a uno degli aspetti più riusciti di Shadow of the Tomb Raider: l’ambientazione. Il Perù, con i suoi villaggi nascosti, con suoi i resti di civiltà perdute, e con la sua natura selvaggia ma ammaliante, conquista il nostro sguardo dall’inizio alla fine.
Questo non vuol dire che la mappa sia di dimensioni gigantesche, ma è composta da una serie di aree molto articolate tra loro, sviluppate più in verticale che in orizzontale, in cui è bellissimo perdersi.
Ciò va a giovare alla fase esplorativa, vero fulcro del gioco. Dimenticate cosa voglia dire linearità, perché in Shadow of the Tomb Raider occorre aguzzare la vista e sfruttare al massimo l’istinto sopravvivenza per individuare sentieri ristretti tra rocce coperte di vegetazione, incavi nelle profondità marine, e rami attraverso cui raggiungere una piattaforma rocciosa.
In questo senso, piccozza, corda e arco saranno gli elementi indispensabili per trovare nuovi percorsi e dunque nuovi collezionabili. La giocabilità infatti è stata arricchita, dandoci la possibilità di calarci giù da altezze vertiginose attraverso la corda, o di arrampicarci ancor più in alto, sfruttando superfici orizzontali.
Anche immergersi nell’acqua diviene un’azione piacevole, grazie ai movimenti più fluidi e realistici, da compiere con attenzione, dato che anche tra i cunicoli marini vi sono insidie come piranha e murene da cui dobbiamo nasconderci.

A differenza della desolazione siberiana di Rise of the Tomb Raider, il Perù offre una vegetazione rigogliosa, dove poter ammirare capibara che si abbeverano dai fiumiciattoli, giaguari nascosti tra le fronde degli alberi pronti ad attaccare, e ombre di Condor che sovrastano la nostra testa.
La vita pulsante dell’ambientazione è ancor più palese nei centri abitati, più numerosi e decisamente più vivaci rispetto a quanto visto nei capitoli precedenti.
I villaggi ci mostrano scene di vita quotidiana, con la gente che prega, passeggia per strada, danza per le celebrazioni religiose, si rifornisce al mercato. Gradita novità è infatti la presenza di venditori dai quali possiamo acquistare materiali o armi, oltre a ottenere completi unici da indossare per avere delle migliorie nell’esplorazione o nel combattimento. In generale è consigliabile l’approccio da “turista curiosa”, che non si vergogna a parlare con la gente del luogo per conoscere la sua essenza. Questo si traduce, in termini di gioco, in nuovi punti segnati sulla mappa e in missioni secondarie commissionate dagli npc. Si tratta di sub-quest abbastanza varie tra loro, che ci porteranno a indagare in scene del crimine, a raggiungere luoghi che non avremmo mai trovato di nostra iniziativa, a salvare qualcuno dai pericoli. Insomma, il contesto è sempre diverso, il che aiuta ad immergerci sempre di più nell’atmosfera di gioco, davvero ben riprodotta nei suoi numerosi dettagli.

Gli spazi aperti, luminosi e lussureggianti della giungla si alternano a luoghi stretti e angusti. Tombe, cripte, tunnel marini e terreni, lasciano trasparire l’oscurità che permea il titolo. Spesso sono gole profonde, da cui provengono suoni disumani e rimbombanti, in cui sembra quasi di poter sentire l’odore di morte, a causa dei cadaveri disseminati lungo il percorso o dei fiumi di sangue sopra cui dobbiamo strisciare per raggiungere la stanza successiva.
Ovviamente, anche in questo caso, non manca l’elemento sovrannaturale, perfettamente amalgamato con la cultura delle civiltà precolombiane, volto a rendere più ansiogeno e claustrofobico il nostro cammino verso la verità.

Le cripte sono molto più curate e varie rispetto a Rise,  ma è con le Tombe che Shadow of The Tomb Raider spende bene le sue carte.
Impossibile non schiudere le labbra dallo stupore quando giungiamo nella sala tombale. Probabilmente l’effetto meraviglia deriva dalla sapiente alternanza con gli spazi scuri e tetri sopramenzionati, e la vastità architettonica, solenne e inquietante, che caratterizza le tombe.
Esse sono nove in totale, proprio come in Rise, ma in questo caso nascondono degli enigmi ancor più soddisfacenti, in grado di impegnarci con la giusta dose di sfida, grazie alla proposizione di sfide ben diversificate tra loro.
Una volta raggiunto il tesoro, sbloccheremo nuove abilità da consultare negli accampamenti.
E qui ci addentriamo sempre più nel lato truce del titolo.

Vedova Nera

Accanto all’esplorazione, il combattimento e il crafting sono gli altri due elementi di gameplay su cui si fonda Shadow of the Tomb Raider. Ognuno di questi aspetti può essere migliorato spendendo i punti abilità ottenuti nel corso dell’avventura, in uno schema non troppo diverso da quanto visto precedentemente per quel che riguarda il contenuto, ma reso visivamente più gradevole. O meglio, qualche novità c’è, dato che sia nell’uso di risorse che di tecniche di combattimento, Lara adesso sa fare molto meglio.
Le risorse artificiali sono necessarie per poter potenziare le armi acquistate o gli indumenti – molto legati alla cultura peruviana – , mentre quelle naturali ci consentono di avere delle migliorie. Ad esempio le piante Concentrazione ci permettono di avere in evidenza elementi con cui possiamo interagire, senza far ricorso all’istinto sopravvivenza, mentre con i funghi Stoicismo resistiamo meglio ai danni.
Quanto al combattimento, sappiate che la nuova Lara è divenuta una macchina da guerra.

Il titolo calca la mano sul fattore stealth, e lo si capisce dalle diverse possibilità con cui possiamo eliminare i nemici nel silenzio più assoluto. Possiamo cospargere di fango il nostro volto e le nostre braccia per nasconderci meglio tra le vegetazione, sia quella a terra che quella verticale delle pareti, per compiere uccisioni furtive contro nemici ignari. Possiamo arpionare un avversario all’albero grazie al nostro arco, mentre scrutiamo il perimetro in cima a un ramo.
Senza poi dimenticare i classici attacchi alle spalle o dall’alto.
Riguardo l’IA nemica, è ancora lontana dall’essere a livello ottimale,  ma sicuramente compie un passo in avanti rispetto al passato: i nemici adesso si guardano le spalle più spesso, girano in coppia, danno subito l’allarme non appena scorgono il nostro corpo.

Chiaramente è possibile far fronte ai nemici anche con un approccio classico da sparatutto in terza persona, usando pistola, fucile a pompa e fucile da combattimento, ma dato che il gunplay rimane semplice nelle dinamiche, la via stealth è decisamente quella consigliata per assaporare al massimo l’atmosfera tetra del gioco e le nuove azioni aggiunte.

Un viaggio in mezzo alla bellezza

La capacità attrattiva del titolo nell’immedesimarsi in Lara e nel provare gratificazione durante l’esplorazione deriva principalmente da un dettaglio grafico stupefacente. Non parliamo di un qualcosa fuori da canoni attuali, perché il diretto avversario di miss Croft, sir Nathan Drake, ci ha abituato a standard qualitativi elevati. Il succo però è che Shadow of the Tomb Raider riesce comunque a stupire, grazie alle innumerevoli espressioni di Lara, il cui solo sguardo riesce a farci comprendere il suo stato d’animo, e grazie anche ai numerosi dettagli che costellano la natura e i villaggi latinoamericani. Non è facile resistere infatti alla modalità foto, attivabile semplicemente dal menù di gioco.
E abbiamo testato il gioco su una PlayStation 4 classica, ottenendo un risultato davvero piacevole alla vista. Per PC, PlayStation 4 Pro o Xbox One X l’effetto finale è certamente più godibile.

La cura nei dettagli è evidente anche nel comparto sonoro, attraverso cui potere attivare il doppiaggio dinamico, ovvero lasciare che i personaggi parlino la loro lingua natia per un’immersione totale nell’ambiente di gioco. Le musiche invece fanno da accompagnamento perfetto alle diverse situazioni incontrate, comparendo all’improvviso, tra lo scroscio dell’acqua del fiume e il cinguettio degli uccelli, con tonalità orchestrali solenni o che rimandano alla musica tipicamente peruviana. Quanto al doppiaggio, sia in italiano che in inglese è ottimo, anche se propendiamo per la versione italiana con Lara dotata di una voce più sveglia e vibrante rispetto a quella più seriosa inglese, anche se a volte pare che il lip-sync non combaci perfettamente.

Verdetto

Shadow of the Tomb Raider è un titolo che ci regala una Lara nuova, agguerrita, e impavida. La trama dalle forte tinte apocalittiche non fa altro che da pretesto per mostrarci l’archeologa in tutte le sue debolezze e soprattutto in tutti suoi punti forza.
Il problema è che dalla trama narrata viene fuori solamente il suo personaggio, davvero ben caratterizzato, ma che abbaglia tutto il resto come comprimari, antagonisti e vicenda principale, davvero dotati di pochi guizzi.
Ci pensa l’attenta cura ai dettagli, visivi e sonori, a immergerci nell’avventura: la giungla è selvaggia, abitata da creature pericolose e pronte all’attacco, ma allo stesso tempo seducente con i suoi colori vividi e la sua flora rigogliosa. Sotto il velo luminoso della natura si nascondono, tuttavia, cunicoli colmi di macchine mortali, fosse comuni intrise di sangue e coperte di ossa, tombe immerse nell’acqua, decorate con piramidi o edifici precolombiani di grande bellezza.
La varietà dell’ambientazione dona tantissimo alla parte adventure, vero punto forte del gioco, in quanto pieno di segreti da scoprire, tra sfide, reliquie, murales, cripte e tombe da trovare, grazie alle nuove abilità in scalata e nuotata apprese dalla ragazza.
Anche il fatto di poter girovagare per i villaggi, conoscendo le loro tradizioni e la loro popolazione, ci permette di vivere appieno l’avventura conclusiva di Lara Croft.
La parte action, sebbene leggermente inferiore rispetto alla sua controparte adventure a causa di un’IA e di un gunplay semplicistici, riesce comunque a farci divertire, grazie al piede premuto sull’acceleratore stealth: Lara si fa predatrice silenziosa e letale, proprio come i giaguari nascosti tra gli alberi.
Tutto ciò porta a un’esperienza valida, merito delle diverse migliorie apportate nel gameplay e nell’atmosfera di gioco. Dispiace solo vedere che Eidos Montreal, erede di Crystal Dynamic nella nuova trilogia dedicata alla famosa tombarola, non abbia voluto osare, specie sul versante narrativo, lasciandoci un titolo godibile in molti aspetti, ma che difficilmente resta nel cuore. Tranne Lara ovviamente, ma in questo caso sono anche i vent’anni storia a renderla immortale, ed è giusto darle merito.

 

Lorena Rao
Deputy Editor, o direttigre se preferite, assieme a Luca Marinelli Brambilla. Scrivo su Stay Nerd dal 2017, per cui prendere parte delle redini è un’enorme responsabilità, perché Stay Nerd è un portale che punta a stimolare riflessioni e analisi trasversali sulla cultura pop a 360° tramite un’offerta editoriale più lenta e ragionata, svincolata dalle dure regole dell’internet che penalizzano la qualità. Il mio pane quotidiano sono i videogiochi, soprattutto di stampo storico. Probabilmente lo sapete già se ascoltate il nostro podcast Gaming Wildlife!