Breve e non esauriente lista di genere
Veniamo finalmente alla seconda parte del nostro excursus sulle distopie. Dopo un ampio discorso generale, dove abbiamo buttato giù un paio di regole e ci siamo presi un po’ di spazio per commentare con la pancia e la testa uno dei generi di fantascienza che tanto sta andando in voga in questo periodo, è arrivato il momento di farci un giro in questo luna park spaziotemporale, tra generi, sotto generi e degeneri. Faremo in modo di non essere noiosi, d’altronde siete su Stay Nerd, mica su un libro di fottutissima letteratura del liceo (che comunque non tratterebbe mai un argomento del genere)!
Ci sono molti modi per affrontare questo lavoro, ma cercheremo di essere quanto più soft possibile, dividendo l’enorme produzione multimediale in grossi filoni. Chiarisco subito che la classificazione che segue non è stata presa da qualche sacro testo, né tanto meno è stata discussa con qualcuno più esperto di me. È il frutto di un po’ di riflessioni, tanta lettura e altrettante pippe mentali come solo gli avidi lettori sanno farsene. Se poi qualcuno di Voi Fedelissimi ha suggerimenti, non si tirasse indietro! Tutto quello che facciamo qui è perfettibile e il contributo di tutti è sempre benaccetto!
Ci muoveremo per aree di interesse, macrocategorie di genere in cui mettere i filoni distopici più importanti. Li inquadreremo per tipo di sfiga, in base, cioè, a cosa va storto nella realtà alternativa. Citeremo diversi titoli, più o meno famosi e non ci limiteremo a letteratura e cinema, ma vedremo di spaziare fin dove è possibile anche in altri ambiti, così per far vedere che siamo fighi e perché un argomento di questa portata merita davvero molta attenzione. Seguiteci, il giro sulla nostra giostra sta per iniziare.
Quasi Distopie
Mi va di iniziare con qualcosa di un po’ stiracchiato, forse eccessivo e che magari non è neanche esatto, ma mi va così e ho le mie ragioni. Mi riferisco a quei romanzi di fantapolitica e avventura che ho divorato quando ero un ragazzetto imberbe e un po’ suonato (in pratica come adesso ma senza la barba), che venivano ambientati pochi anni nel futuro. Tom Clancy ne era, e lo è ancora, il maestro assoluto. Inventava delle trame complicatissime, le ambientava in una realtà molto simile alla nostra ma diversa per diversi piccoli particolari, sviluppava i suoi piccoli discronismi, creava delle microdistopie quasi invisibili per poi fare esplodere tutto in un tripudio di effetti speciali narrativi. Ecco, è vero che i suoi romanzi sono un po’ mattonici, e il motivo è che Tom Clancy si è sempre preso lo spazio necessario per plasmare il uso mondo personale, la sua realtà storica e politica, senza compromessi. E segue perfettamente le regole che abbiamo descritto precedentemente. Prendere il romanzo in cui Jack Ryan diventa Presidente degli Stati Uniti: già questa premessa segue la regola dello stravolgimento dello stato attuale delle cose, ma aggiungiamoci anche la scena profetica dell’aereo guidato da un pilota folle giapponese che si schianta contro il Congresso decapitando l’establishment governativo degli States. E siamo nel 1994 (anno nostro) e qualche anno più avanti secondo la narrazione… Quando scrivevamo che i romanzi distopici erano vagamente divinatori intendevamo proprio questo… Da brivido.
Ma perché consideriamo questa una quasi distopia? Perché in realtà, quello descritto non è un modo devastato e ferito, è comunque il peggior mondo dove vivere perché è paurosamente simile al nostro, ma non ha la forza immaginifica di altre realtà fantapolitiche cattive e marcescenti, l’uomo e l’umanità non sono schiavizzate o annichilite, ma si trovano nella nostra situazione di cittadini occidentali liberi (o quasi). Per questo mi sento di annoverare questo filone di fantapolitica nelle distopie ma solo per simpatia non per veri e propri meriti. Accettatelo come un vezzo.
L’incubo politico
Avete mai sentito parlare di 1984? Beh, sicuramente sì, foss’anche per sentito dire, o perché c’era quell’orribile pubblicità della Apple del 1984, appunto. L’idea che la politica e gli ideali politici potessero diventare motivo di distruzione di massa è sempre stata affascinante, e Orwell è stato solo uno dei tanti che ne ha analizzato le conseguenze, scegliendo come spauracchio il comunismo portato verso gli estremi più devastanti.
Il trittico di regole: La guerra è pace, L’ignoranza è forza, La libertà è schiavitù, è un mantra che è entrato a far parte di forza nell’immaginario collettivo. Ma è solo una delle tante fantastiche invenzioni che Orwell inanella una dopo l’altra nel suo capolavoro. Basti pensare alla psicopolizia, alla Neolingua, alle Buche della memoria, al totalitarismo che permea in maniera disturbante l’intero romanzo: fanno del 1984 uno se non il migliore romanzo distopico a sfondo politico.
Ma non è il solo: il Mondo Nuovo di Huxley, del 1932 (avete letto bene…) in cui la descrizione di una Utopia perfetta, governata delle tre regole Identità, stabilità, comunità, rasenta invece uno degli incubi più spersonalizzanti che mente umana potesse in quel periodo concepire.
Per citare al volo uno dei fumetti politico-distopici più importanti, diamo la parola all’inflazionatissimo V for Vendetta, visto che va tanto di moda e la sua mascherina è ormai presente in migliaia di post dove si inneggia alla lotta contro ‘il sistema’… Il tema politico è contenuto all’interno dei confini inglesi dove il nostro antieroe Guy Fawkes si muove seminando il terrore. A questo aggiungiamo in campo cinematografico il fantastico Equilibrium e il recente The Giver (più puerile ed edulcorato, nella peggiore tradizione Young Adult).
Una cosa che però non viene sempre sottolineata o che si tende a perdere di vista è che in questi racconti dove il totalitarismo e l’oppressione politica sono la causa scatenante, esiste una parte della popolazione (i capi, per intenderci) che da questo status quo traggono vantaggio. Spesso il racconto si incentra sulla lotta che gli oppressi esercitano per riacquistare la loro libertà, ma non bisogna dimenticare che il più delle volte dall’altra a parte, a difendere l’inferno da loro stessi creato, c’è un gruppo elitario di persone che ne sta traendo vantaggio.
In tutti questi romanzi e racconti una cosa traspare in maniera quasi accecante: l’uomo in quanto singolo individuo viene schiacciato e annientato dalla potenza di uno stato soverchiante e asfissiante. La tristezza che sgorga dalle pagine di questi libri sta tutta nella condizione umana che di umano ha solo il genere, mentre il resto viene cancellato senza troppi complimenti. Le lotte per arrivare a liberarsi da questo giogo sono spesso sanguinose e non sempre portano a un risultato oppure c’è da chiedersi se magari il momento di rinascita non sia in realtà un pretesto per andare dalla padella nella brace… Insomma, spesso il pessimismo di questi romanzi distopici è talmente cosmico da non risparmiare nessuno. Affossanti.
Postapocalittico
Forse uno dei miei filoni preferiti e che non ha bisogno di grosse presentazioni. Si capisce immediatamente dove sta la distopia: una qualunque catastrofe ha sterminato intere popolazioni, lasciando deserti al posto delle città e obbligando l’uomo a regredire in preda ai suoi istinti belluini. State pensando a Ken il Guerriero, vero? E fate bene! Per quel che mi riguarda, è stato il primo racconto postapocalittico distopico che ho mai seguito e si sa che le cose che ti entrano dentro da bambino non si dimenticano facilmente (e non fate battute poco felici su reati a sfondo vietato ai minori di 18 anni…). Quel cartone animato (prima e il fumetto poi) mi ha letteralmente rapito dalla prima all’ultima puntata, fin dalla sigla iniziale e dalle frasi della voce fuori campo, -“Siamo alla fine del XX secolo. Il mondo intero è sconvolto dalle esplosioni atomiche. Sulla faccia della terra, gli oceani erano scomparsi, e le pianure avevano l’aspetto di desolati deserti. Tuttavia, la razza umana era sopravvissuta”- che tratteggiava con poche pennellate il mondo devastato che avrebbe fatto da sfondo alla storia dell’Uomo dalle sette stelle.
Stesso brivido che ho provato qualche tempo fa giocando a The Last of Us, uno dei giochi più coinvolgenti su cui ho messo le mani. Un’ambientazione dove la catastrofe porta il nome di un fungo che trasforma le persone in esseri folli assetati di sangue e deformati e che, strano a dirsi, esiste per davvero. Il parassita citato nel videogame, il Cordyceps, attecchisce sugli insetti (nella realtà), mentre la sua mutazione ha portato quasi all’estinzione il genere umano. Da questa catastrofe ecologica-medica, si è creata tutta l’avventura microscopica dei due protagonisti, fino al magnifico epilogo.
Lo so, lo so, vi vedo già scalpitare e dire: ‘Manca Mad Max, che stanno pure facendo il film nuovo… Manca District 9… Manca questo, manca quello.’. Sì, mancano e se li conoscete, o ne conoscete ancora altri, non esitate a citarli, a leggerli, a giocarli, a guardarli. E ditecelo.
Ma prima un’ultima parola su un sottogenere fichissimo: i racconti Pre apocalittici. Insomma, invece di studiare la società, il mondo, l’uomo dopo che la catastrofe si è scatenata, ci si preoccupa di vedere cosa accade quando una enorme sfiga si sta per abbattere sulla terra e non c’è niente da fare. Un esempio mirabile e recente è la trilogia ‘The Last Policeman’, che mescola critica sociale, ironia disperata e crime story in un magnifico melting pot riuscitissimo.
Collasso socio-economico
In una parola: gran parte del cyberpunk. Questa corrente artistica, letteraria e cinematografica molto in voga negli anni novanta, ha saputo perfettamente incarnare le regole non scritte sulla creazione della distopia. Ha preferito però arrivare alla distruzione completa del valore dell’essere umano per altre vie, più subdole, fatte di povertà ipertecnologica, dove il corpo e la carne diventano anche veicolo di scambio, terreno di vendita e oggetto di baratto. Il mondo immaginato dai vari Gibson, Sterling, Jeter e company è fatto di inquinamento, sporcizia, vicoli bui a malapena rischiarati dalla luce al neon delle insegne delle corporation giapponesi, traffico illegali di organi che contengono chip ed informazioni, cyberspazio, pirati informatici e corpi modificati tanto da perdere anche la definizione di umano. Una fantascienza talmente disperata da essere quasi dolorosa permea ogni singola pagina, fin dall’incipit di quel Neuromante che ha dato inizio a tutto questo: ’Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto’.
E oltre alla trilogia dei Tessier-Ashpool, possiamo tranquillamente sondare le paranoie, le mutilazioni e le perversioni di quel capolavoro acerbo e acre di K. W. Jeter, Il dottor Adder, insieme ad altre grandiosi invenzioni che ci hanno regalato Greg Bear e Philip Dick.
Il cinema ha seguito a ruota, trasponendo le opere letterarie e dettando regole visive che rendono un film cyberpunk riconoscibile da chilometri, dando colore e oscurità a racconti che meritavano di mettersi in movimento su uno schermo panoramico.
Il campo videoludico è stato lo stesso creativo in questo frangente, ma il gioco che più di tutti mi ha fatto amare il cyberpunk e mi ha gettato nell’incubo delle multinazionali è stato Syndicate di Bullfrog, un vecchissimo e mai tramontato strategico isometrico che introduceva le alterazioni del corpo, gli impianti e gli innesti, cose che poi sono diventate pane quotidiano di chi ha giocato a Shadowrun, che sembra il diretto successore con qualche marcia in più.
Oltre la distopia
C’è un discorso che imperversa su internet (non proprio ‘imperversa’, diciamo che qualcuno si è posto la domanda…): ovvero c’è un punto di tangenza tra racconti distopici e deriva fantasy? La risposta in realtà non esiste o meglio non è una sola e non ne esiste una abbastanza soddisfacente.
Possiamo spingere le conseguenze di un evento avverso fino all’estremo e arrivare ad avere per le mani un mondo abitato da goblin. Se cominciamo a fare accoppiare animali e accendini, prima o poi nascerà lo Zippopotamo o il drago Bic e così ecco che quello che era solo speculazione genetica e terrore dell’uomo che si sente dio, diventa automaticamente un bel fantasy con città diroccate e rovine di cemento.
Non so perché, ma automaticamente questo ragionamento mi ha sempre portato a pensare a una grande saga che ho letto anni orsono. Si tratta della serie della Torre Nera di Stephen King. Ripensandoci, il Medio Mondo di Roland pare essere una versione particolarmente maltrattata del nostro mondo, come spesso traspare dal racconto stesso. Ma Stephen King non è contento di questo. Non si limita a creare punti di tangenza (grandi o piccoli che siano) tra la nostra realtà e quella inventata per il nostro pistolero. Lui si prende la libertà di creare un terzo livello di contatto, quello con il mondo descritto tra le sue opere, in particolare (come in The Wizard and The Glass) con quell’Ombra dello Scorpione che è una vera e propria epopea distopica capeggiata dal malvagio Randall Flagg. Insomma, un gioco di specchi e rimandi, che mischia realtà (la sublimazione del suo incidente è da antologia), fantasia distopica, fantasy e tutto quello che c’è in mezzo.
Non c’era modo migliore per concludere questa bella carrellata, con qualche volo pindarico di troppo e un bel po’ di nostalgia. Gran parte di questo lavoro è frutto di ricerche e letture, ma molto di quello che ho messo su carta è stato pescato di sana pianta dallo stagno della memoria, con una lenza lunga almeno 20 anni…
Una cosa è certa: delle poche regole che avevamo scoperto, molte sono state infrante, perché è sempre così. Perché è la narrativa, baby, e le cose accadono. E basta.