La grande fuga… cooperativa
Quando fu presentato all’E3 A Way Out fu un bel colpo, in positivo. Non tanto perché avesse qualcosa di intrinsecamente eccezionale o rivoluzionario, anzi. Semplicemente Hazelight prometteva un gioco pensato interamente attorno alla cooperazione. Non una modalità bonus, non la possibilità di giocare ANCHE in due: A Way Out si gioca in coppia, preferibilmente sul divano, fine.
L’idea di Fares era quella di costruire un’avventura fortemente incentrata sulla narrazione che nell’essere vissuta assieme trova la sua raison d’être, guadagnando spessore grazie alla condivisione della storia e alla separazione del punto di vista, operata attraverso un utilizzo eccezionale del canonico split screen, che qui si eleva diventando uno strumento potentissimo nelle mani di una regia capace, in grado così di rendere entrambi i giocatori coinvolti, contemporaneamente spettatori e protagonisti. Una cosa quasi scontata, ma che di fatto non lo è, e che a prescindere dalle qualità e dai difetti del gioco ribadisce ancora una volta come spesso basti semplicemente una visione personale, portata avanti senza concessioni, per realizzare qualcosa di interessante e valido, in grado di scavalcare le singole sbavature per essere bello ad un livello più alto, seppur forse meno oggettivo.
A Way Out è bello in due, è bello perché si gioca insieme, e le persone al di qua dello schermo creano una magia che è qualcosa di più di un sistema di sparo rifinito o di un aspetto grafico da strapparsi i vestiti (entrambi elementi che non possono essere ascritti tra i meriti del gioco).
Leo e Vincent hanno un rapporto stretto, lo scopriamo fin dal primo momento. I due parlano tra loro come amici di vecchia data, a bordo di un piccolo aereo, mentre aspettano di arrivare chissà dove. Inizia così A Way Out, dalla fine o quasi, come è facilmente intuibile. Alle sequenze di dialogo a bordo dell’aereo si alterna il gioco vero e proprio, una serie di flashback che chiaramente si ricollegheranno “al presente” avanzando nelle circa 6 ore necessarie a portare il gioco a compimento. Leo e Vincent si conoscono in carcere, quasi per sbaglio. Vincent scopre che Leo ha un piano per evadere, e fa in modo di farsi coinvolgere. Da qui in poi, di cosa succederà e perché, non vi diremo niente perché A Way Out è appunto un prodotto che fa della storia uno dei suoi cardini.
Quello che è importante è come il gioco sappia fare andare in tandem queste ambizioni narrative e la sua natura cooperativa. A Way Out semplicemente non avrebbe senso se giocato assieme ad un’AI, e questo già è molto. Ovviamente gli enigmi sono da risolvere in due così come le parti di guida, d’azione e le sparatorie. Quello in cui A Way Out convince è il riuscire a far calare ognuno dei due giocatori nel proprio ruolo, facendolo effettivamente sentire il personaggio che sta interpretando e mettendolo in condizione di rapportarsi al suo partner – umano – di conseguenza. Il coinvolgimento è evidente quando ci si imbatte in alcuni dei minigame sparsi per le mappe, giocabili in due: così come i due amici, Leo e Vincent, cazzeggiano staccandosi un attimo dalla gravità della situazione che pesa sulle loro spalle, allo stesso modo noi, con il pad in mano, stacchiamo un attimo per distrarci in triviali giochi a punteggio, ritrovando per qualche minuto quella voglia di chiacchierare con la mente “lontana” dal gioco.
Questo discorso, che può apparire strano a chi non ha provato A Way Out, trova il suo senso nei ritmi che il gioco impone, e nelle reazioni che, almeno noi, abbiamo avuto affrontando l’avventura: A Way Out è denso, ha ritmo da vendere ed è sempre sul filo. Giocando, ci siamo spesso trovati a non parlarci per diversi minuti, soprattutto nelle fasi più action, concentrati su quello che stava succedendo; agendo di concerto, chiaramente, ma senza la necessità di “riempire i vuoti” chiacchierando (pure perché capisco quello che Francesco pensa anche se fa solo versi n.d. Luca). Questo perché A Way Out fa parlare i personaggi per noi, e soprattutto se si gioca con qualcuno che si conosce bene rende possibile affrontare le fasi d’azione in silenzio. Come fanno Leo e Vincent nel gioco, semplicemente perché si capiscono. Stesso discorso per le fasi in cui bisogna usare l’intelletto, o esplorare: si parla dell’enigma come se fosse lì, non di cosa fare il giorno dopo nella vita reale.
In questo suo giocare con il giocatore A Way Out mostra il suo meglio, con una galoppata che sboccia un una fase finale eccezionale che, appunto, continua a ruotare attorno ai protagonisti e al loro rapporto. La storia in quanto tale è molto lineare e non sorprende osservandola da spettatore passivo, sfruttando molti dei cliché dei film d’evasione e polizieschi usciti negli anni che fanno da sfondo agli eventi, intorno al ’70. Tuttavia guadagna spessore cooperando con qualcuno che si conosce, arrivando anche a far prendere decisioni coerenti con la psicologia del nostro personaggio, rendendoci dei veri role player. Quel qualcosa in più, il quid che rende A Way Out un gioco che vale la pena di provare, lo mettiamo noi quando, pad in mano, facciamo due tiri con un pessimo mini-gioco di baseball, divertendoci e prendendoci una pausa da quello che è appena successo, fino a quando qualcuno dice: “Dai, basta che abbiamo da fare, restituisci la mazza”, discorso che tra l’altro può essere esteso agli obiettivi del gioco, fuori dagli schemi e ancorati all’interazione con il mondo attorno a noi.
La possibilità di non sbloccare nemmeno un trofeo alla fine del gioco è concreta e questo dettaglio è legato a doppio filo alla necessità di esplorare e osservare ciò che ci circonda, dando adito a ulteriori intermezzi narrativi che rafforzano ancor di più il rapporto che si crea tra i due personaggi e, di conseguenza, tra i giocatori.
Il tutto è poi valorizzato da una regia davvero superlativa, soprattutto grazie a un utilizzo davvero geniale dello split screen: sia giocando in locale che online, lo schermo diviso sarà una costante dall’inizio alla fine, permettendo così ai giocatori di osservare l’intera storia dai due punti di vista proposti, giocando con le schermate in modo dinamico, quasi come se fossimo in un fumetto interattivo in cui ogni quadro modifica le proprie dimensioni all’occorrenza: capiterà spesso infatti che alcune porzioni vengano messe in evidenza, quasi a voler strizzare l’occhio ad un montaggio in stile 24; ma all’interno del gioco si incontrano anche sezioni di inseguimento collettivo con una vista isometrica, fino ad arrivare ad attimi di gioia filmica con sequenze d’azione perfettamente montate e che non lesinano un citazionismo molto piacevole (ricordatevi di Oldboy, n.d. Francesco), ed ai momenti finali dell’avventura che vi lasceranno davvero senza fiato.
Come già abbiamo detto, l’aspetto tecnico di A Way Out non è perfetto come il suo tessuto narrativo ma, badate bene, non è che sia da buttare. Il gioco è infatti molto pulito e ben realizzato sul profilo artistico, con ottime texture e con diversi accorgimenti e dettagli, soprattutto all’interno di ambienti chiusi, dove è evidente la cura utilizzata, a favore di un realismo generale notevole. Negli spazi aperti, al contrario, il gioco soffre di alcune magagne legate non tanto a texture ambientali (non eccezionali) quanto piuttosto ad una gestione dell’illuminazione inadeguata che causa un blur decisamente poco piacevole da vedere, per quanto non intacchi la giocabilità. Per il resto, il motore di gioco gira fluidamente senza grossi intoppi e disputando un’intera partita online il lag non è mai riuscito a rovinare l’esperienza se non in rarissime occasioni, portando però più a situazioni stravaganti che altro. A proposito di giocabilità, è giusto anche spendere due parole sul sistema di controllo, molto buono quando si tratta di andare in giro a piedi, ma che può lasciare interdetti nelle fasi di guida o di shooting. Non parliamo di un vero difetto, piuttosto segnaliamo l’assenza di eventuali accorgimenti che avrebbero reso queste sezioni un po’ più piacevoli da giocare, ma che comunque si rivela un problema di poco conto grazie ad un sistema di checkpoint estremamente generoso e che mitiga del tutto qualunque momento di frustrazione. Una scelta che riteniamo molto intelligente e che gratifica la narrazione, evitando stalli che potrebbero compromettere il gioco.
Buono anche il comparto sonoro: A way out è doppiato in inglese e si avvale di voci di buona qualità e una colonna sonora che riesce sempre ad adattarsi agli eventi, siano essi momenti carichi di tensione o più distesi e tranquilli.
Verdetto
A Way Out è quella che può essere definita senza problemi una vera opera videoludica, che sfrutta il medium di appartenenza per creare un’esperienza unica e impossibile da replicare su altri fronti. Un gioco assolutamente da provare se avete qualcuno con cui godervi l’esperienza. Non si tratta di un gioco perfetto, con diversi limiti sotto il profilo tecnico e di gameplay, che però riesce a compensare i problemi ponendo al centro i giocatori, regalandogli un’esperienza impossibile da trovare altrove, con una bella storia da vivere assieme.
A cura di Luca Marinelli e Francesco Paternesi