“Alla fine ci siamo soltanto noi”
Da poco presentata alla 76esima edizione della mostra del cinema di Venezia, e con un cast che vanta attori del calibro di Brad Pitt, Tommy Lee Jones e Donald Sutherland, l’ultima fatica di James Gray ci porta in un’incredibile Odissea alla ricerca del nostro Io: Ad Astra (dal 26 Settembre al cinema).
Seguendo il filone “consciousness” delle varie opere fantascientifiche degli ultimi tempi, come Arrival o Interstellar, Ad Astra è un viaggio alla scoperta dell’essere umano, volto a dare un senso alla nostra esistenza e un valore alla nostra vita.
Brad Pitt, che anche in questo caso ci offre un’interpretazione di magistrale fattura, è lo sfortunato Ulisse protagonista della spedizione nello spazio più profondo, oscuro e isolante. Una vita passata a costruire muri, soffocare emozioni e innalzare silenzi assordanti, il Maggiore Roy McBride (figlio del leggendario astronauta Clifford McBride) è il prototipo ideale dell’uomo disposto a sacrificare ogni cosa pur di dedicare tutta la sua vita alla ricerca scientifica.
Lo spazio nero ed inglobante, magistralmente reso da Gray che enfatizza in ogni occasione possibile l’assordante mancanza di suoni e rumori tanto da far estraniare anche lo spettatore in sala durante alcune sequenze, è una triste e cupa rappresentazione del nostro animo. Roy, partito alla volta di Plutone, seguendo le orme del suo defunto padre (impersonato dal leggendario Tommy Lee Jones), per salvare la terra da una possibile apocalisse, si ritroverà a dover affrontare numerose prove e scavalcare ulteriori ostacoli per poter riuscire nell’impresa ancora più ardua di ritrovare sé stesso.
Perché Ad Astra non è altro che la turbolenta ricerca di risposte di un uomo divorato da solitudine e dolore, incapace di amare ed essere amato, ignaro del proprio destino e di ciò che sta pian piano perdendo pezzo dopo pezzo. La cura di Gray, oltretutto, riesce perfettamente a veicolare il mastodontico talento di Pitt, costruendo un’opera che, nonostante a tratti si ponga su un livello alla stregua dell’autoriale (con notevoli esperimenti affini al talento di Paul Thomas Anderson), ci porta in un viaggio al limite dell’onirico.
Oltretutto il cineasta, già famoso per opere come I padroni della Notte o Two Lovers, seppur ben dosate, ci offre delle evidenti contaminazioni che ci permettono di godere di sequenze appartenenti a generi vari quali l’avventura o anche, prendendo con le pinze quest’affermazione, l’horror (quasi fosse uno spin-off di Dead Space). Impeccabile, oltretutto, la scelta del ritmo ben cadenzato e diluito durante le due ore di proiezione.
Infatti, nonostante la forza ed il peso di determinati argomenti e, di conseguenza, relative scene, lo spettatore non si trova mai a disagio in sala, anzi, la voglia di indagare e osservare ulteriormente il viaggio di Roy è sempre alta. Un’avventura che probabilmente farà immedesimare più di un empatico osservatore.
Indescrivibile, passando al compartimento tecnico, la fotografia ad opera dell’eccezionale Hoyte van Hoytema (Dunkirk, Spectre, Her, Interstellar, solo per citare alcuni dei capolavori da lui curati). I neri dello spazio nei quali sprofondiamo si intervallano in maniera maniacale con sezioni geometriche monocromatiche delle stazioni spaziali, o giochi di luci strettamente collegati con le emozioni del nostro stremato astronauta. Ovviamente la fotografia, in Ad Astra, viene degnamente incorniciata da una colonna sonora ad hoc realizzata da Max Ritcher.
L’orchestra di suoni che dominano lo schermo regnano durante tutto l’arco di proiezione, diventando l’unico appiglio dello spettatore per poter sfuggire alla propria coscienza dinnanzi ad un black mirror di tale portata.
La pellicola di Gray è una costante sequenza di emozioni in evoluzione. Una perfetta rappresentazione dell’articolata vita del Maggiore McBride
Ad Astra, in sostanza, è un’opera coraggiosa e forte. Nell’arco dei suoi 124 minuti di proiezione ci mostrerà tanto, anche mettendo alla prova la nostra attenzione delle volte, ma sempre mantenendo un ritmo equilibrato e ben diluito. Una pellicola che ricerca l’essenza dell’animo umano in un mondo dove il gelo dello spazio ha preso il sopravvento su tutto e tutti. Brad Pitt, come se fosse necessario sottolinearlo d’altronde, ci offre l’ennesima pregevolissima performance (che possa valergli anche una nomination ai tanto agognati Oscar?) insieme ai veterani che lo accompagneranno durante la sua Odissea. Gray, oltre ad unire una fotografia mozzafiato e una colonna sonora di prim’ordine, usa nuovamente l’espediente del viaggio per poter indagare nel profondo dell’animo umano, ma senza annoiarci, donandoci un’opera che probabilmente metterà la sua firma nel grande libro della fantascienza.