Nato sotto il segno del Ragno. Il nostro tributo a Steve Ditko.
Ci sono storie strane nel mondo dei fumetti. E non parliamo di quelle degli eroi in calzamaglia e china che i nerd amanti dei comics americani amano e leggono. In un certo senso parliamo dei veri eroi, di quelli che dietro a un tavolo da lavoro passano le proprie ore a disegnare per consegnare a noi storie in grado di farci provare emozioni meravigliose.
Alle volte può capitare di superare un Re, solo col duro lavoro e con un sincero affetto nei confronti del proprio mestiere. E, in quei casi, di dare vita a una leggenda, conosciuta e amata in tutto il mondo.
Steve Ditko era questo. Un ragazzo che arrivato alla Atlas Comics, quella che poco tempo dopo diverrà la Marvel, riuscirà a farsi strada col suo talento e porre la propria firma sopra a un’icona del fumetto mondiale a scapito di Jack Kirby.
Nato da una famiglia di emigrati slavi Steve si caratterizzò per una precocità intellettuale e manuale. Dopo aver prestato servizio nella Germania del dopoguerra, il giovane Steve si iscrisse alla Cartoonists and Illustrators School, ispirato dalle opere di Will Eisner, Bob Kane e Jerry Robinson.
Proprio quest’ultimo, uno dei più grandi autori nella storia di Batman, ricorderà i primi anni di Steve alla scuola di fumetto, riconoscendolo come un gran lavoratore e una persona seriamente legata al suo lavoro. “Ha fatto parte della mia classe per due anni. Era lì quattro o cinque giorni alla settimana, cinque ore a notte”.
Proprio Robinson farà in modo di far entrare Ditko alla Atlas Comics: nel corso di una conferenza inviterà come relatore Stan Lee, il quale rimase folgorato dal lavoro di Steve, prendendolo con sé. È il 1955 quando Steve Ditko approda nella Casa delle Idee dopo una breve esperienza con altre pubblicazioni.
Ma perché il nome di Steve Ditko entri nell’Olimpo del fumetto ci vorrà ancora qualche tempo. Siamo all’inizio degli anni ‘60, quando Stan Lee decide di creare un personaggio completamente nuovo. Il panorama dei fumetti era saturo di eroi in costume: “noi fumettari li chiamiamo eroi in costumi e ce ne sono a un soldo la dozzina” recitava la vignetta di presentazione di un certo fumetto.
L’idea di Lee era quella di dare risalto al lato umano dei supereroi: non miliardari o alieni invincibili. Supereroi con superproblemi era diventato suo motto. E il suo prossimo “eroe” doveva essere quanto più normale possibile, magari un ragazzo.
Il primo disegnatore a cui il Sorridente si rivolse fu il suo sodale, il Re, Jack Kirby. Il quale non ci mise molto a creare un grande personaggio, qualcosa di perfetto per il suo stile. C’era solo un problema: non era affatto quello che Stan Lee voleva.
“Odiavo quel lavoro di Jack” rivelerà, anni dopo, il Sorridente. “Non è che fosse brutto, anzi. Solo non era quello che volevo io”. Il personaggio concepito inizialmente appariva troppo adulto. Soprattutto non era piaciuta granché l’idea di affidare i suoi “poteri ragneschi” a un anello magico. Lee si consultò allora con Ditko, proponendogli i primi schizzi e le tavole realizzate da Kirby. Presa visione di quanto aveva concepito il suo collega, Steve rivoluzionò il personaggio. Creò il costume, andando anche un po’ contro le indicazioni di Lee che voleva mantenere visibili almeno gli occhi del personaggio. Ma, nonostante le libertà creative (anzi, forse proprio grazie a queste) Ditko confezionò uno dei più iconici personaggi nella storia dei comics americani. Era nato Spider-Man.
L’Uomo Ragno costituì una pietra miliare del fumetto moderno: con lui il comic e la pop-art, quella corrente votata alla realtà e alla quotidianità, si fusero per creare qualcosa di superiore alla somma delle parti. Era l’idea di Stan Lee realizzata con un’efficacia visiva che nemmeno lui stesso avrebbe mai potuto concepire.
Spidey è questo per tutti noi: l’amichevole Uomo Ragno di quartiere, un personaggio che riusciamo a percepire vicino, quasi un amico che potremmo incontrare per i corridoi della scuola o al bar sotto casa. E lo stile di Ditko, sfruttando a piene mani l’immaginario stilistico dell’arte americana popolare, dava ai lettori quel senso di familiarità e vicinanza che rese l’Uomo Ragno un’icona pop. I lettori, soprattutto quelli più giovani, amavano Peter Parker anche per questo: la capacità di Ditko di esprimere con i propri disegni quel periodo di frustrazioni, ansie e paure che è l’adolescenza, il suo modo unico di portare su carta il conflitto tra la realtà giovanile e le idee stereotipate degli adulti, sinceramente convinti di vedere in quell’età un momento felice e spensierato, fecero la fortuna del personaggio.
Mentre il pubblico iniziava a conoscere e amare sempre di più Spidey, anche Ditko veniva sempre più riconosciuto come un grande autore. In quegli anni lavorò anche su altri grandi personaggi della Marvel, tra cui spiccano Iron Man e Hulk.
Ma la successiva su cui Ditko poté a tutti gli effetti porre la firma fu un altro grandissimo personaggio della Casa delle Idee, lo Stregone Supremo, il Doctor Strange. Ancora una volta Steve riuscì a sorprendere tutti, confezionando un personaggio in grado di cogliere lo spirito del tempo. In un periodo in cui il mondo occidentale aveva deluso i giovani, in cui la controcultura chiedeva a gran voce di essere ascoltata e l’oriente sembrava offrire soluzioni più spirituali, fu anche il momento in cui nella Marvel si fece largo il personaggio di un chirurgo materialista che abbandonava la sua vita precedente per scoprire i sentieri dell’occulto e del misticismo.
E qui i disegni di Steve espressero tutto il loro potenziale: fu con il Doctor Strange che poté realizzare quei paesaggi astratti e allucinati che ben si sposavano col personaggio. Una vera e propria forma d’arte portata ogni mese su una rivista di fumetti.
Gli anni alla Marvel si concluso in maniera travagliata. Lee e Ditko videro il loro rapporto deteriorarsi. Sin dal primo momento il motivo della separazione fu oggetto di moltissimi pettegolezzi, tutti sistematicamente smentiti negli anni, tra i quali spicca una diatriba sulla reale identità di Green Goblin: secondo questa voce Lee avrebbe scelto di rivelare ai lettori che si trattava di Norman Osborn, padre del migliore amico di Peter Parker, senza consultare Ditko. Anche questa suggestione fu smentita dallo stesso Steve qualche anno dopo, ma ai lettori non restò altro da fare che vedere uno dei genitori di Spidey andarsene, affidando quel personaggio a cui aveva insegnato “come tessere le proprie ragnatele” ad altri.
In seguito Ditko lavorerà con costanza nel mondo del fumetto fino ai tardi anni ‘90. Non mancherà nemmeno un ritorno in Marvel, dopo aver lavorato per la DC Comics e sull’etichetta Vertigo. Il suo ultimo contributo al mondo del fumetto fu il personaggio di Squirrel Girl.
Da sempre riservato, sin dalla fine degli anni ‘60 furono pochissime le uscite pubbliche di Steve, così come sono molto rari gli scatti che lo ritraggono. Anche questo era Steve Ditko: una persona umile, amante del duro lavoro e capace di fare le ore piccole sulle proprie tavole.
Oggi Steve Ditko ci ha lasciati. Nel giorno della sua morte lo si potrebbe ricordare in tanti modi. Come un artista, come un fumettista che ha cambiato il modo di concepire questo medium. Ma soprattutto come un uomo che ha dedicato tutto se stesso a una grande passione, lavorando con una serietà e umiltà esemplari, quasi dissonanti con quella che è l’effettiva grandezza espressa dalle sue tavole e dalle sue sceneggiature. Un desiderio di sporcarsi le mani continuando a provare un profondo affetto e una sincera gioia nei confronti del proprio mestiere, così raro da trovare da rendere ancor più speciale un uomo che ci ha donato un frammento del proprio sogno.