L’anti-mito di Alan Ford, un caposaldo del fumetto fai-da-te
Il fumetto di Alan Ford è l’eredità di un’epoca ben precisa. Questo perché la storia del fumetto italiano, soprattutto nei primi decenni, si identifica con la figura di grandi autori che si sono ritrovati ad operare in un contesto difficile e in un mercato tutto da inventare. E, spesso, questi uomini (ma anche donne, come Tea Bonelli) hanno dovuto fare i conti con una mancanza cronica di quattrini che li portava a fare così tante cose per volta da far invidia al moderno concetto di multi-tasking.
Stranamente è una particolarità che accomuna tutti, dai più ai per nulla famosi. Gianluigi Bonelli, oltre che essere sceneggiatore di Tex Willer, era romanziere, soggettista, e traduttore; suo figlio Sergio, oltre che questi ruoli, svolgeva pure il compito di fattorino ed editore; Galep, poco prima che il Ranger diventasse un successo, illustrava 2/3 storie contemporaneamente, lavorando anche di notte.
E così via. Tra questi capisaldi del fumetto, ce n’è uno un po’ meno noto ma altrettanto importante: Max Bunker, il creatore di Alan Ford.
Max Bunker (al secolo Luciano Secchi) nei suoi 80 e passa anni di vita ne ha fatte di cose: è entrato giovanissimo nello staff dell’Editoriale Corno ed è diventato l’uomo di punta dell’editore Andrea Corno, prima come traduttore e poi come sceneggiatore, ma è stato anche un ottimo romanziere e regista cinematografico.
La sua ascesa avviene in un’epoca, gli anni ’60, in cui il fumetto vive un intenso periodo di fermento culturale: esordisce Diabolik, vengono fondate riviste storiche come Linus e i Peanuts di Charles Schulz arrivano nel nostro paese. Il periodo ideale per personalità poliedriche come Max Bunker, che negli anni scrive decine di serie (a volte nello stesso momento) ed è il fautore di un’intuizione che farà epoca. Fu lui, infatti, nel 1970 a spingere affinché l’Editoriale Corno traducesse in Italia i fumetti del neonato Universo Marvel, il più grande successo editoriale del decennio appena passato. Non a caso, Stan Lee lo ha sempre considerato uno dei suoi migliori amici in terra italiana.
Era quella, lo ripetiamo, un’epoca in cui il fumetto popolare aveva un visione prevalentemente artigianale: si lavorava in pochi in redazioni piccole, i disegnatori a stretto contatto con gli sceneggiatori, e si creavano serie e personaggi a ritmo folle, senza soluzioni di continuità. Si lavorava subito, non c’era tempo per corsi preparatori, esami, o manuali di disegno o di scrittura: se volevi agire nel campo dei fumetti, dovevi buttarti e imparare a nuotare direttamente in acqua.
Ed è in questo contesto che, nel maggio del 1969, nasce Alan Ford.
Un inizio difficile
Nel maggio del 1969 esordisce un fumetto strano, insolito. È ambientato in una New York decadente, sporca, maleodorante, che in realtà assomiglia più alla Milano dell’immediato dopoguerra e che per atmosfere ricorda i film neorealisti di De Sica. Il protagonista si chiama Alan Ford ed è uno squattrinato grafico pubblicitario che diventa, quasi all’improvviso e suo malgrado, un agente segreto arruolato in una stranissima squadra anti-crimine, conosciuta come Gruppo TNT.
Sullo sfondo, si staglia ancora questa New York sull’orlo del collasso, simile ad un bizzarro inferno dopo tutti sono poveri o poverissimi, dove la ricchezza è roba per pochi, il benessere anche, gli abitanti sono impegnati a farsi la guerra per un tozzo di pane e invece che aiutarsi sono pronti a prendersi a sberle senza troppi complimenti.
Non lasciatevi ingannare: l’aria che tira non è affatto cupa. Anzi, lo è, ma a dilagare è soprattutto un’incontenibile ironia, venata da quel retrogusto amaro e particolarmente inquietante che solo il più efficace black humor riesce a veicolare, insieme ad un po’ di sana denuncia sociale.
Perché nel suo degrado, nella sua dimensione smitizzante e tragicomica, Alan Ford, fin dal primo numero del maggio 1969, si presenta come un fumetto ironico, una crudissima parodia dell’Italia e della stupidità umana.
Anche i protagonisti sono strani, insoliti. Alan Ford, per dire, è tutto fuorché un eroe, non è un cuor di leone ed è assai impacciato sia nei movimenti che nei modi, nonostante il suo bell’aspetto. E che dire, poi, dei suoi sciagurati compagni d’arme? Il Conte Oliver è un nobile decaduto dalle maniere ben poco nobiliari; Bob Rock è basso, col nasone e gira con una mantellina da detective che lo rende una sorta di Sherlock Holmes in miniatura; Cariatide si atteggia a leader mentre in realtà è uno scansafatiche nato; Geremia è una spia tutto fare che lamenta malattie immaginarie; Grunf è un presunto inventore che non riesce mai a realizzare macchine capaci di funzionare o di avere un qualsivoglia effetto utile.
Ovviamente sono tutte delle caricature, sgraziate e spesso ripugnanti. Per certi versi, il più originale di tutti è il capoccia del Gruppo TNT, Numero Uno, un vecchio dalla parlantina facile e dalla mazzata pronta, che siede su una carrozzina traballante ma che risulta arzillo come nessun altro. A pensarci, tra tutti è l’unico a non somigliare a niente. Forse proprio per questo è il capo.
Non è facile apprezzare un barocca e scalcinata accozzaglia di finti eroi come questa. E, infatti, così fu, perlomeno all’inizio. Per un paio d’anni, il fumetto di Alan Ford diede l’impressione di essere la peggior serie dell’intera Corno, con vendite da fame (tipo la sua New York). Ci mise un po’ ad ingranare, ad essere capito. Si dice che la svolta avvenne col numero 26, quello che vedeva debuttare Superciuk, lo straordinario villain alcolizzato “che ruba ai poveri per dare ai ricchi”, uno dei nemici storici insieme a Gommaflex, Margot e il boss della mala Il Grande Cesare.
Da lì in poi, sembra che abbia avuto inizio una straordinaria ascesa che lo ha portato oltre i 600 numeri e raggiungere i traguardi dei 50 anni di vita. Impensabile all’inizio, anche se dietro c’era, oltre che a Max Bunker, quel Magnus (nome d’arte di Roberto Raviola) destinato a far parte della storia del fumetto. In realtà, è strano che Alan Ford abbia impiegato così tanto tempo per farsi apprezzare visto che, nonostante la sua evidente freschezza, era comunque perfettamente inserito nel suo tempo, in quegli anni ’60 che hanno cambiato tutto.
Alan Ford, un fumetto figlio degli anni ’60
Gli anni ’60, come abbiamo detto, sono anni particolarmente innovativi per il fumetto italiano. Tutto il decennio è attraversato da forti scossoni, che hanno portato una narrazione di carattere prettamente artigianale e di nicchia sotto l’occhio di nuovi e voraci lettori.
A partire da Diabolik, il cui esordio, avvenuto nel 1962, oltre che a lanciare quella moda dei fumetti neri che avrebbe poi fatto scuola, inaugura il trionfo nazional-popolare di un particolare formato, il cosiddetto “pocket“, ovvero un tascabile con una tavola costituita da due grandi vignette di uguale dimensione. Il pocket è in realtà già conosciuto, ma grazie al Re del Terrore acquisisce una dignità nuova e da vita ad una lunga serie di epigoni, in un’epoca in cui il formato Bonelli la fa ancora da padrone.
Max Bunker, a proposito di epigoni, è uno degli autori più prolifici del fumetto nero, visto che crea Kriminal e Satanik, personaggi molto più complessi e sfaccettati di Diabolik (anche dal punto di vista sessuale) in una fase storica in cui gli “eroi con la K” vanno per la maggiore.
In tutte queste serie, Bunker, che nel frattempo è diventato anche consulente creativo per la Corno, si affida ad un disegnatore che stupisce per la qualità e la velocità dell’esecuzione: Magnus. I due danno vita ad un sodalizio creativo indimenticabile, non solo per quanto riguarda l’importanza dei loro prodotti ma anche per come hanno contribuito alla maturazione di un settore in ascesa. In quegli anni, sono febbrilmente all’opera sulle testate che abbiamo già menzionato e, nel frattempo, lavorano anche ad una collana dedicata ad un agente segreto di nome Dennis Cobb. Nato nel 1966, ha purtroppo una breve vita ma lascia un ricordo indelebile nell’immaginazione dei due autori.
L’idea di fare qualcosa con al centro le spie, con i paradigmi e le coordinate di quel genere, rimane infatti un chiodo fisso nella mente di Max Bunker che decide di dare vita ad una nuova serie. Ovviamente non appena l’idea germoglia nella sua mente non tarda a con coinvolgere il suo collaboratore privilegiato, per quanto già pieno di lavoro fino al collo.
Siccome i due hanno ormai una certa dimestichezza col genere noir e d’avventura, all’inizio optano per qualcosa di simile ma, rendendosi conto che il mercato è ormai saturo di prodotti tutti uguali, scelgono di realizzare qualcosa di ironico, leggero e fuori dagli schemi. Da qui al battezzare una parodia del “fumetto nero“, qualcosa che seppellisse con una risata l’intero filo conduttore degli anni ’60, il passo è breve.
Max Bunker e Magnus, la premiata ditta del fumetto
Ed ecco che, finalmente, debutta il fumetto di Alan Ford. Sia i testi che i disegni sono affidati ai due creatori, cosa li porta a lavorare su almeno 400 tavole di media al mese, visto che entrambi scrivono e illustrano più serie in contemporanea.
Ma quella era appunto l’epoca del fumetto artigianale, nel senso che si produceva a velocità impensabili, senza troppi fronzoli, badando il giusto al “bel disegno” e cercando di privilegiare la chiarezza, mentre si cercavano continui stratagemmi per produrre il più possibile senza compromettere la qualità.
Tante invenzioni di Magnus, rimaste scolpite nella memoria come “l’occhio di bue” (vignetta senza sfondo realizzata con una luce da teatro), nascono proprio per cercare di accorciare i tempi.
Come detto, all’inizio Alan Ford fatica ad imporsi, nonostante la grande carica innovativa e artistica.
Probabilmente, vista la fama che Bunker e Magnus si erano fatti come maestri del noir, per il pubblico era difficile digerire una simile svolta comica. Tant’è che, dopo un primo numero disastroso, la serie rischia di chiudere alla quarta uscita e diventa quasi un investimento a fondo perduto per la Corno.
Tuttavia gli autori, che godono di grande stima tra gli addetti ai lavori, decidono di tenere la barra dritta e di continuare, anche al costo di ritmi di lavoro insostenibili. Senza ombra di dubbio intuiscono le potenzialità di questo sgangherato personaggio e la sua originalità, che ne facevano allora un unicum nel fumetto italiano.
Ed è così che, dal già citato numero 26 (ma in realtà qualcosa si era mosso anche prima), le cose cominciano a cambiare: si afferma un vigoroso passaparola tra i lettori che porta, piano piano, la serie a trasformarsi nel prodotto di punta della Corno. Basti pensare che quel famoso numero 26, oggi una rarità tra i collezionisti, venne ristampato ben 3 volte nel corso di poche settimane perché andato a ruba, evento che permise all’editore di pareggiare in un colpo solo i costi dell’intera testata.
Di lì a poco, il successo di Alan Ford diventò tale che riuscì a superare con grande distacco le vendite delle serie Marvel, arrivate come abbiamo visto grazie alla lungimiranza di Max Bunker. Proprio come Diabolik, che aveva dato vita alle correnti artistiche del decennio, Alan Ford inaugurò a sua volta un modello da seguire, tant’è che presto arrivarono degli epigoni come Jonny Logan di Leo Cimpellin.
Alan Ford, l’ultimo fumetto artigianale
Un successo che prosegue ancora oggi e che ha vissuto anche dei veri e propri turning point che ne hanno cambiato per sempre la storia. Ad esempio quando, dopo 11 anni di lavoro a stretto contatto, la premiata ditta Bunker e Magnus si separa nel 1975.
Ma per Alan Ford questo addio, che in teoria poteva affossarlo, è stata l’occasione per una rinascita. Ai disegni arriva infatti Paolo Piffarerio che, guidato da un’inarrestabile Bunker, porta la testata a diventare uno dei primi fumetti in televisione. Infatti, nel 1977 la trasmissione Supergulp, famosa per i suoi “fumetti in tv“, decide di ospitare proprio Alan Ford e l’intero Gruppo TNT. Una cavalcata che non si ferma quando, nel 1983, Luciano Secchi fonda la sua casa editrice, la Max Bunker Press, sempre seguendo la linea dell’artigianalità che ha contraddistinto la sua carriera, portandosi dietro Alan.
La popolarità di Alan Ford in questi anni non ha smesso di diminuire, come testimoniato dal simpatico omaggio che nel 1997 le poste di San Marino gli hanno dedicato con un francobollo personalizzato. Ma non è stato l’unico e oggi in tanti altri fumetti è possibile trovare, per un occhio attento, citazioni e riferimenti di ogni genere con al centro la creatura di Bunker. Anche se l’epoca che gli ha dato i natali si è alla fine conclusa, Alan Ford rimane un prodotto indimenticabile in Italia, l’ultimo di un certo modo artigianale di fare e pensare il fumetto. Un modo antico, quando si realizzavano storie alla giornata, quando si faceva tutto senza investimenti troppo costosi, quando si improvvisava e la passione “povera e semplice” regnava incontrastata.