Nessuna guerra degna di questo nome è mai stata combattuta da qualcuno che non si credesse dalla parte giusta.
Al centro di polverose strade dell’America rurale, quattro personaggi a bordo di una Cadillac nera viaggiano verso la guerra. Un conflitto che vedrà le vecchie divinità affrontare i nuovi dei che stanno prendendo rapidamente il loro posto, una battaglia che si combatte contendendosi la fiducia della gente. Intanto dall’autoradio risuonano le note di “I Cast a Lonesome Shadow” di Charley Crockett, e un dio al volante segue concentrato la strada. Si tratta di Odino, conosciuto anche come Felice-della-Guerra, Spietato, Furore e Terzo, come Monocolo, l’Altissimo, Colui che vede il vero e anche un sacco di altre cose, per gli amici comunque è Mr. Wednesday (Ian McShane) autonominatosi leader e comandante dei vecchi dei. Al suo fianco siede Shadow Moon (Ricky Whittle), unica presenza umana nell’abitacolo, che assiste con un certo distacco e un senso di smarrimento gli eventi straordinari che si rivelano intorno a lui, non sapendo ancora bene a cosa credere. Ci sono altri passeggeri a bordo, ma è con l’incontro tra questi due personaggi che parte la grande Odissea di American Gods.
La serie tv, basata sull’omonimo romanzo di Neil Gaiman, dopo due anni segnati da uno sviluppo travagliato, pesanti abbandoni e continui rinvii, si ripresenta finalmente nelle nostre case su Prime Video con la seconda stagione. Nonostante l’infinita saggezza degli dei infatti, gli showrunner Bryan Fuller e Michael Green restano degli esseri umani, e non potendo fare quindi affidamento su una pazienza divina, sono stati costretti ad allontanarsi dallo show in seguito a divergenze creative con la produzione. Il loro abbandono ha poi scatenato una reazione a catena, che ha visto andarsene anche la spettacolare Gillian Anderson, che nella prima stagione ci aveva regalato una straordinaria interpretazione di Media, divinità della Tv e della Radio, mettendo in mostra le sue capacità camaleontiche vestendo i panni di Lucille Ball, David Bowie, Marilyn Monroe e Judy Garland.
Ultimo personaggio ad abbandonare il cast, per solidarietà verso Fuller, è Kristin Chenoweth, la dea germanica Eostre che per non perdere la sua giovinezza si è reinventata come Easter, dea della primavera e della Pasqua. Nonostante questi sofferti addii, lo spettacolo prosegue nelle mani di Jesse Alexander, sempre affiancato dallo stesso Neil Gaiman che è anche produttore esecutivo. Per quanto riguarda Media, la dea è stata sostituita da Kahyun Kim, mentre per Easter viene trovata una giustificazione per cui non apparirà più nella serie. Scelta curiosa quest’ultima, dato che nel libro la dea svolge un ruolo di fondamentale importanza, ma come abbiamo visto già a partire dal quarto episodio della prima stagione e come spesso accade nelle trasposizioni da un medium all’altro, le distanze prese tra le due versioni sono abbastanza ampie.
Mettere da parte la canonicità con quanto viene raccontato nell’opera primaria in realtà è stata la grande fortuna di American Gods, la serie tv infatti gioca molto di più con le storie e le vicissitudini dei personaggi secondari, senza le quali non avremmo i restanti due passeggeri che viaggiano con Mr. Wednesday e Shadown, ovvero la moglie morta Laura Moon e il leprecauno Mad Sweeney, rispettivamente Emily Browning e Pablo Schreiber. Nella prima stagione questo duo delle meraviglie ci porta una grande caratterizzazione dei rispettivi ruoli, nonché una fortissima chimica rubando spesso la scena, soprattutto ad uno Shadow Moon piuttosto spento (ma credetemi, e se avete letto il libro potete capire, la sua interpretazione è fortissima). Non sono però gli unici personaggi che nella serie tv assumono un ruolo forte e importante, lungo le strade americane troviamo la coppia formata dal musulmano Salim (Omid Abtahi) e il Jinn (Mousa Kraish), che ci hanno regalato la scena di sesso più intensa ed esplicita della storia delle serie tv, o la regina di Saba Bilquis (Yetide Badaki), che qui si prostituisce sfruttando app fornitagli dai nuovi dei e facendo per loro il doppiogioco. Tutti questi personaggi hanno molto da dire, e sarà interessante vedere come evolveranno nel corso della serie, sperando che gli venga dedicato abbastanza spazio.
“Hei Huginn o Muninn o chiunque tu sia!”
Il corvo si voltò, piegò la testa sospettosamente e lo fissò con i suoi occhi lucidi.
“Dì: mai più”.
“Vaffanculo” rispose l’uccello.
(tratto dal libro)
Il primo episodio di questa seconda stagione di American Gods è interamente ambientato in Wisconsin, nella House on the Rock del titolo, che si mostra con le sue forme contorte e i suoi interni stravaganti. La voce di Mr. Ibis (Demore Barnes) alterego del dio Thot, divinità egizia della sapienza e della scrittura, nonché protettore degli scribi, ci introduce alla storia dell’edificio che vedrà ospitare il consiglio di guerra di Odino, posto che il padre universale definisce un “luogo di potere”. In effetti la House on the Rock emana un certo fascino mistico, esoterico, soprattutto quando si realizza che non si tratta di un luogo inventato o rimodellato per far parte della scenografia, ma è una località turistica realmente esistente sospesa tra il reale e il surreale. Questa atmosfera scende ancora più in profondità quando Shadow, Mr. Wednesday e altre personificazioni divine salgono sul carosello, che con una sequenza del tutto folle ci trascina nel “dietro le quinte”, la realtà onirica in cui si muovono le divinità. Qui e dove vediamo gli dei per la prima volta, radiosi, luminescenti e cangianti nelle varie forme con cui gli umani li hanno rappresentati. Molti dei hanno accolto la richiesta di Odino, tra cui spicca la dea Kali (Sakina Jaffrei), divinità guerriera indù, ma a rubare la scena è Orlando Jones, con il suo Mr.Nancy, personificazione del dio ingannatore africano Anansi, che come sempre affascina e cattura lo sguardo con le sue movenze e la parlantina svelta, nonostante la storia che racconta nel dietro le quinte sia abbastanza sottotono rispetto a quella raccontata dalla controparte cartacea.
Sul fronte dei nuovi dei invece, troviamo un Mr. World (Crispin Glover), dio della globalizzazione, ferito dopo la sconfitta subita nella villa di Easter, e che ricorre a mezzi militari per vendicarsi di Odino coinvolgendo organizzazioni super segrete, e nel frattempo invia il Technical Boy (Bruce Langley), sulle tracce di Media, scomparsa nel nulla, divinità importantissima per gestire la diffusione a macchia d’olio del nuovo credo. Si potrebbe quasi dire che senza Gillian Anderson ormai i nuovi dei siano sull’orlo del precipizio, ma questa serie continua sempre a sorprendere, quindi non è mai detta l’ultima parola.
E tu te ne andrai, con un piccolo dolce bacio sulle labbra, e l’oscurità eterna della tua anima
Anche perché l’ultima (penultima) parola spetta a Czernobog (Peter Stormare), divinità oscura slava, che dopo il bagno di sangue che ha visto la morte dei un’altra divinità slava, Zorya Vechernyaya (Cloris Leachman), si destreggia in un monologo che promette vendetta verso i nuovi dei, e grandi cose in arrivo verso gli spettatori.
Di American Gods due cose colpiscono più di tutte, la messa in scena e la grande bravura degli attori, due punti fondamentali che hanno reso grandiosa la prima stagione e, che almeno da questo primo episodio, lasciano ben sperare per il futuro. La più grande paura risiede nella possibilità che la serie subisca una brusca frenata verso la sua metà, dove Fuller lascia definitivamente le redini in mano a Jesse Alexander. Non ci resta che confidare nelle sue capacità, nella supervisione di Neil Gaiman, e di pregare gli dei, vecchi e nuovi.