Che piaccia o meno, American Horror Story è riuscita in una impresa abbastanza ardua: quella di far piacere il genere horror al grande pubblico
Quello di American Horror Story è un fenomeno inarrestabile che sin dal suo esordio nel 2011, si è imposto come un grosso esponente della moderna cultura pop. Arrivata oggi alla nona stagione, intitolata 1984, l’antologia dell’orrore ideata da Ryan Murphy e Brad Falchuk ha sempre riscontrato grossi successi in termini di critica e audience, portandosi a casa, oltre che svariati premi, l’enorme merito di aver avvicinato il grande pubblico ad un genere spesso fin troppo ignorato e criticato.
American Horror Story infatti vide la luce in un periodo in cui il cinema dell’orrore soffriva di gravi mancanze di inventiva. L’horror era un genere ormai stantio, dozzinale ed eccessivamente automatizzato nella sua narrazione, pieno di cliché e luoghi comuni, talmente tanto banalizzato anche da chi lo produceva che pure quei (pochissimi) film buoni non riuscivano ad ottenere un pubblico decente. AHS è però riuscita nell’impresa di far tornare il pubblico ad amare le storie del terrore, trovando il giusto equilibrio tra innovazione e tradizione. Per dirla breve: ha reso l’horror mainstream.
Per dirla lunga invece, Ryan Murphy e Brad Falchuk hanno ideato una narrazione più accessibile a chi non mastica horror o preferisce tenercisi a distanza, diluendolo con sottotrame influenzate da altri generi di più ampio respiro. Questo espediente aiuta lo spettatore a scendere a patti con il genere, venendo pian piano imboccato mentre guarda una love story trasformarsi in una ghost story.
American Horror Story non si inventa quindi nulla di nuovo, anzi, riprende tutti quegli elementi classici della narrazione di genere e li inserisce in maniera abbastanza prevedibile all’interno della trama. Il suo punto di forza però è riuscire a montare una tensione che non sfocia mai in un banalissimo jumpscare che tanto piace ai registi degli horror scadenti, ma punta sempre a mostrarci una conseguenza in qualche modo disturbante, un qualcosa di realmente orrorifico che resta impresso nello spettatore più sensibile.
È questo il punto di forza maggiore che ha portato al successo American Horror Story, una storia adatta a tutti unita alla tradizione dell’orrore, e così il genere fa il suo ritorno a quel tipo di racconti che sfruttano fantasmi, assassini e mostri per raccontarci ciò di cui l’horror ha sempre parlato: attualità e umanità.
Una storia dell’orrore americana
Il cinema horror ha sempre posto molta enfasi sulla mente umana e sulla situazione politica e sociale, dagli zombie di Romero al Get Out di Jordan Peele per citarne un paio, e American Horror Story non farebbe eccezione, se non fosse uscita in un periodo in cui il questo tipo di cinema non parla più degli orrori reali.
Nelle sue otto stagioni, la serie ha affrontato ripetutamente tematiche come la discriminazione razziale, di genere e sessualità, esplorando tematiche legate alla famiglia e alle comunità, fino ad arrivare a parlare in maniera abbastanza esplicita della situazione in America post elezione di Trump nella settima stagione, Cult.
American Horror Story è tutto basato sull’attualità, con un focus, come da titolo, su quella dell’America e della sua storia passata, presente e futura. Tutte le ambientazioni infatti pendono spunto da luoghi o avvenimenti in qualche modo realmente esistiti, passiamo quindi dai processi alle streghe di Salem alla colonia perduta di Roanoke, senza contare poi i riferimenti alla letteratura, al cinema e a personaggi realmente esistiti.
Ed è sui personaggi che ci soffermiamo, perché l’horror raramente è stato un genere popolato da grandi attori e da ottime interpretazioni. Sono molto pochi coloro che sono passati alla storia con questo genere cinematografico, come Sigourney Weaver, la Ripley di Alien o Bruce Campbell con Ash Williams de La Casa. Alcuni sono addirittura partiti facendo horror, come Johnny Depp in Nightmare on Elm Street, ma considerando le percentuali, chi fa questi film spesso finisce nel dimenticatoio.
American Horror Story invece ha saputo garantire fin da subito grandi nomi come Jessica Lange e Denis O’Hare, affiancandoli a stelle emergenti, in particolare Taissa Farmiga. Come ben si sa, la presenza di un attore conosciuto fa la differenza nell’attirare il pubblico verso un prodotto, e se poi quando si guardano gli episodi ci si ritrova ad assistere a delle interpretazioni sopra la media, allora ecco che salta fuori la formula perfetta per far non solo avvicinare il pubblico di massa al genere horror, ma anche per farlo ritornare stagione dopo stagione. Pure nelle stagioni o negli episodi più sottotono, gli attori e i loro personaggi sono sempre riusciti a tenerci incollati allo schermo.
L’eredità di American Horror Story
AHS è quindi riuscita ad attirare l’attenzione del grande pubblico sull’horror, e questo ha permesso al genere di rinascere tanto in TV quanto la cinema. Potremmo citare serie come Ash vs Evil Dead o The Haunting of Hill House, che senza un pubblico predisposto per guardare una serie horror, difficilmente avrebbero ricevuto l’OK dalla produzione. Con il suo formato antologico, con attori che vengono riproposti di volta in volta in ruoli diversi, AHS ha ispirato anche serie TV di genere diverso dall’horror come True Detective o Fargo.
Che quindi piaccia o meno American Horror Story, non si può negare che il suo contributo tanto al genere horror quanto alle serie TV in generale sia stato enorme, e seppur non sia una serie priva di difetti, è riuscita a far breccia nei cuori di una vastissima comunità di appassionati che ancora oggi continua a supportarla e continuerà a farlo, perché AHS, sopratutto grazie alla sua struttura antologica che gli permette di rinnovarsi quanto e quando vuole, è lungi dall’essere conclusa.