Dopo vent’anni dalla sua uscita, vi proponiamo un’analisi di Silent Hill 2, dei suoi contenuti e delle sue tematiche
Il 2001 è sicuramente stato un anno prezioso della storia del videogioco. Molti titoli che hanno influenzato gli anni a venire sono infatti usciti nel corso di quei dodici mesi. Halo, Metal Gear Solid 2, Ico, Devil May Cry, Grand Theft Auto III: sono solo alcuni esempi di veri e propri capolavori che hanno cambiato per sempre il medium videoludico. Ma c’è un titolo che forse più di tutti è riuscito a coniugare alla perfezione ogni aspetto che da quel momento aveva caratterizzato il concetto di videogioco: Silent Hill 2.
Attenzione, questa analisi contiene spoiler.
Le origini di Silent Hill
Nel 1999 esce il primo Silent Hill per la prima PlayStation, horror prodotto da Konami come risposta al celebre gioco di zombie di Capcom. Resident Evil è un survival horror, un’opera dove l’obiettivo ultimo è far sopravvivere il nostro avatar nella magione infestata da mostri creati in laboratorio. Oltre a gli zombie abbiamo squali, serpente giganti e rettili umanoidi: un perfetto pastiche delle classiche paure rappresentate da sempre dall’horror occidentale. La saga di Resident Evil ha infatti poi continuato, di capitolo in capitolo, a seguire uno stile sempre più indirizzato all’action horror hollywoodiano, arrivando anche alla sua saturazione con il pessimo sesto capitolo.
La risposta al franchise Capcom che Konami propone nell’ormai lontano 1999 è, invece, all’estremo opposto.
La storia di Silent Hill si allontana infatti dai classici canoni dell’horror occidentale, mettendoci nei panni non di soldati o poliziotti, ma piuttosto di semplici adolescenti, lavoratori, padri di famiglia o vedovi in lutto. Nel primo capitolo controlliamo Harry Mason, uomo comune che si mette alla ricerca della propria figlia dopo che i due subiscono un incidente automobilistico. Non siamo degli eroi, ma dei cosiddetti tizi qualunque, persone che per colpa del fato si ritrovano ad affrontare situazioni surreali e terrificanti senza essere per forza in grado di risolvere la situazione con la forza bruta.
L’horror di Silent Hill è un horror subito, perfetto rappresentante dell’impotenza di fronte allo spaventoso. Se Resident Evil congegna la formula del survival horror, ovvero giochi dove l’unico obiettivo è la sopravvivenza e dove è fondamentale gestire in modo ottimale le proprie risorse, Silent Hill è un “survival to horror” nel senso che l’unica vera e propria sfida consiste nel sopravvivere all’orrore che ci si pone davanti, senza curarsi del lato più manageriale del genere. L’inventario è infatti infinito, possiamo tenere con noi decine di munizioni e oggetti curativi, e i nemici sono relativamente poco ostici. Il vero motore del gioco è la paura, che viene trasmessa al giocatore attraverso la storia, la musica e la direzione artistica. Quello che compone l’ormai sciolto Team Silent è infatti un gruppo di persone profondamente interessate nella creazione di un mondo narrativo vivo, terrificante e in grado di lasciare un impatto al giocatore che vada oltre al semplice spavento del momento. In Silent Hill non ci sono zombie o serpenti giganti, piuttosto creature originali ideate dal designer Masahiro Ito, e ispirate all’eredità orientale del genere. Gli stilemi del j-horror sono la base contenutistica delle disavventure raccontate dalla saga, dove simbolismi demonologici e allegorie bibliche collaborano per creare un ambiente allo stesso tempo perturbante e affascinante.
In my restless dreams: analisi di Silent Hill 2
Nel 2001 esce quindi Silent Hill 2 per la seconda console di casa Sony. La storia è quella di James Sunderland, uomo qualunque che un giorno riceve una lettera dalla propria moglie, morta tre anni prima a causa di una malattia, che lo invita a raggiungerlo “nel loro posto speciale” a Silent Hill. James si mette quindi in viaggio per raggiungere la città fantasma, per poi doversi confrontare con gli orrori che gli cambieranno per sempre la vita.
Nonostante l’ambientazione sia la stessa, la cittadina di Silent Hill sembra plasmarsi a seconda delle situazioni. Il Team Silent costruisce un vero e proprio “non luogo” dove tutto è possibile, e dove gli eventi mutano a seconda delle persone che vivono tra le sue strade. Come nel Solaris descritto da Stanisław Lem e ripreso da Andrej Tarkovskij, la città sembra vivere di una propria natura mutaforme e riflettente. Lo specchio del Solaris e delle strade di Silent Hill riflettono il subconscio dei protagonisti delle relative narrazioni. Nel primo capitolo infatti, tutti gli orrori che caratterizzano il gioco nascevano dal dolore e l’odio vissuto da Alessa, una bambina processata per stregoneria dalla città. L’agonia della giovane bruciata viva si riversava nelle mura degli edifici e nei terrificanti aspetti delle creature, costruendo così una sorta di carattere psicologico comunicato al giocatore attraverso nient’altro che il level design e la direzione artistica.
In Silent Hill 2 James raggiunge la città fantasma con la speranza di ritrovare Mary, la propria moglie perduta, manifestando così un forte bisogno interiore della compagnia della ex partner. E in effetti trova uno sfogo in questa necessità in Maria, donna perfetta sosia di sua moglie, eppure perfetto opposto dal punto di vista caratteriale. Mary era una casalinga timida e amorevole, mentre Maria è una spogliarellista sfacciata e passionale. Lo sdoppiamento dell’idea che il protagonista conserva dell’ex moglie è solo uno dei molti modi in cui Silent Hill manifesta il suo subconscio. Altro punto fondamentale in questa analisi sono infatti i vari design delle creature di Masahiro Ito, tutte rappresentati un diverso aspetto della relazione tra James e Mary. Le diaboliche infermiere sono, per esempio, reminiscenza del lungo passato ospedaliero di Mary nelle ultime fasi della sua vita, come le creature che prendono la forma di manichini femminili altro non sono che il bisogno di vita sessuale che James è obbligato a reprimere. Ma è soprattutto Pyramid Head, il villain più iconico dell’intero franchise, a rappresentare la perfetta nemesi del protagonista, per vari fondamentali motivi.
Pyramid Head: delitto e castigo
Durante il primo grosso livello di Silent Hill 2 entriamo in contatto con una grossa creatura con la testa coperta da un particolare copricapo triangolare. Pyramid Head è il suo nome, e la prima volta che lo incrociamo è in un buio corridoio, dietro a delle sbarre di ferro che ci permettono di osservarlo con tutta calma. Alla fine della sezione entriamo in una boss fight proprio con lui: non possiamo fare altro, nei pochi metri quadrati destinati alla battaglia, che buttargli addosso tutto quello che abbiamo, che siano colpi di pistola o di tubo d’acciaio. Dopo qualche minuto si scoccerà di combattere con noi e si allontanerà, attirato dal suono di una misteriosa sirena. La verità è che non possiamo battere Pyramid Head perché non gli possiamo fare neanche un graffio. Per vincere lo scontro è necessario semplicemente dimostrargli di voler vivere, di voler battersi per la propria vita. James è infatti un protagonista atipico per i videogiochi, poiché autodistruttivo e masochista. Si avvia alla ricerca della propria moglie defunta e anche dopo aver incontrato innumerevoli mostri decide di non demordere, di continuare a credere nell’illusione che Mary sia effettivamente viva.
All’inizio del gioco, ancora prima di entrare a Silent Hill, incontriamo Angela, un altro personaggio che come James affronta un percorso parallelo di ricerca e perdizione. Angela avvisa James che la città è pericolosa ma a quest’ultimo non interessa, afferma che non gli importa se rischia la vita o meno. Senza Mary, James perde qualsiasi energia vitale e il compito di Pyramid Head è proprio quello di far risorgere il suo istinto di sopravvivenza. Non è un caso se proprio subito dopo lo scontro tra i due, James conoscerà per la prima volta il doppelganger dell’amata perduta.
Proseguendo nell’analisi dell’iconico villain, possiamo notare come l’esistenza di Pyramid Head sia legata a doppio filo a quella del protagonista. Il motivo è chiaro solo dopo aver assistito al colpo di scena finale, nel quale si scopre che è stato proprio James ad aver ucciso Mary, in un atto eutanasistico fatto di pietà e odio. James non sopportava assistere al decadimento sia fisico che mentale della propria moglie, e così decide di porre fine ai tormenti di entrambi. Però di questo non c’è memoria, poiché il nostro “eroe” fugge dal trauma eliminandolo completamente, sopprimendolo. Il ruolo della città di Silent Hill si riscopre essere quindi terapeutico per James, perché lo obbliga tramite le sue manifestazioni a confrontarsi con il passato. La verità tappezza le mura di Silent Hill come un getto incontrollato, scaturito da tutte quelle emozioni che nel corso degli anni sono state represse o dimenticate. Pyramid Head acquista dunque un altro significato: quello del peccato.
James ha sulle mani il sangue di un innocente, proiettato nel reale dalla città fantasma sottoforma dell’iconica nemesi. Indicativo di questo è anche lo scontro che precede il finale, dove questa volta si devono affrontare ben due Pyramid Head, poiché nel corso dell’avventura ci macchiamo del sangue di un’altra anima: Eddie, ragazzo problematico anche lui impegnato nella sua personale odissea a Silent Hill. In questa nuova battaglia si deve nuovamente dimostrare al gioco di voler sopravvivere ad ogni costo, questa volta con la conoscenza di tutti i fatti che all’inizio erano celati. Una volta aver dimostrato la propria tenacia, i due Pyramid Head si conficcheranno le loro rispettive armi nel ventre e finalmente smetteranno di darci la caccia.
Avere vent’anni
Silent Hil 2 racconta quindi una storia dell’orrore con forti sfaccettature da dramma psicologico. Partendo dalla tradizione horror giapponese, il gioco si dirama e va da Dostoevskij a Tarkovskij passando anche per il cinema di David Lynch. Un’opera che vent’anni dopo la sua uscita risulta essere ancora una vera e propria pietra miliare del medium. È rarissimo infatti trovare al giorno d’oggi un videogioco d’alta fascia produttiva con altrettanti valori contenutistici, che vada dalla profonda caratterizzazione psicologica dei personaggi alle avanguardistiche musiche composte dal maestro Akira Yamaoka. Anche dal punto di vista del game design, Silent Hill 2 si conferma grandioso insegnante di narrativa videoludica. Il gioco tiene infatti segretamente conto del comportamento del giocatore, che è in grado, tramite scelte non dichiarate, di cambiare radicalmente il finale dell’opera.
A seconda di come si tratta Maria, il sopracitato doppio della moglie di James che per buona parte del gioco ci accompagnerà nella nostra avventura, o in generale di come ci si relaziona con i nemici e la propria salute, Silent Hill 2 ci permette di raggiungere diversi epiloghi. Ad esempio, se si giocherà in maniera avventata, curandoci poco o facendo scarsa attenzione alla nostra compagna, raggiungeremo un finale dove James si suiciderà buttandosi nel Toluca Lake. Se invece dimostreremo uno stile di gioco più attento e caritatevole, potremo raggiungere una conclusione nel quale James lascia la cittadina in pace con sé stesso. La cosa interessante però, è che queste scelte fondamentali della narrazione non vengono sottoposte al giocatore come tali, attraverso scelte di dialoghi o di azioni dai connotati esplicitamente “buoni” o “cattivi”. Ma anzi, chi gioca fino alla fine non ha propria idea di essere osservato, che le proprie azioni apparentemente insignificanti abbiano in realtà un peso. La narrativa videoludica del Team Silent non trova quindi pari sia in quanto sperimentazioni tecnico-narrative, che contenutistiche ed espressive.
Nel corso di questo ventennio il genere del videogioco horror è scomparso dal panorama tripla A, per trovare riparo nell’indie o nel basso budget, unica prospettiva possibile per gli sviluppatori di raccontare in libertà le proprie storie di paura. Capolavori come Silent Hill 2 ci ricordano come all’epoca il videogioco veniva considerato da ogni parte già come un mezzo artistico, in grado di raccontare storie attraverso le specifiche del linguaggio. Una vera e propria eredità del Team Silent non è stata realmente colta, e la definitiva uccisione del brand da parte di Konami non fa ben sperare per un ritorno a quel tipo di atmosfere, anche se un degno rifugio per gli appassionati si possono trovare in titoli come Soma di Frictional Games e i due Little Nightmares dei Tarsier Studios.
Con Silent Hill 2 ora non possiamo fare altro che fermarci, farne un’analisi, e (ri)scoprirlo nella sua versione originale per poterli augurare, per la ventesima volta, un buon compleanno.