10 cadaveri e nessun assassino.
Tra le più grandi scrittrici e gialliste del secolo scorso figura in tutta la sua magnificenza Agatha Christie, una donna che ha fatto scuola e continuerà a farlo nei decenni a venire. Va da sé che per celebrare il 125esimo anno dalla sua nascita, la BBC abbia deciso di fare le cose in grande, mettendo in scena per il piccolo schermo uno dei romanzi più iconici di tutta la produzione della famosa scrittrice britannica: Dieci Piccoli Indiani. Sono stati chiamati a raccolta Sarah Phelps dietro la macchina da scrivere (già autrice degli adattamenti di Great Expections di Dickens e Casual Vacancy della Rowling) e Craig Viveiros dietro la macchina da presa (già noto alla TV inglese per aver diretto alcuni episodi di X-Companies e di Silent Witness). A gironzolare sul set troviamo un bel manipolo di star, tra cui Sam Neil (il Mr.Grant di Jurassic Park), Charles Dance (che molti ricordano come Twynn Lannister di Game of Thrones), Burn Gorman (noto per la serie Torchwood), Miranda Richardson (la giornalista Rita Skeeter di Harry Potter) e altrettanti pezzi da novanta della televisione e del cinema inglese. Indubbiamente quel che salta subito agli occhi è che in questo caso, la TV britannica ha voluto fare davvero le cose in grande. Ne sarà valsa la pena? Seguiteci e lo scoprirete.
Ogni uomo (e donna) è un’isola
Per un romanzo (e il relativo adattamento) come ‘10 Piccoli indiani’ appare quasi superfluo parlare della trama, tanto dovrebbe essere radicata nell’immaginario collettivo, visto quanto è stato seminale, sia dal punto di vista tecnico che come fonte di ispirazione per creature narrative simili. Ma, siccome siamo buoni, vi spieghiamo lo stesso a grandi linee cosa sta per succedere in questo meraviglioso racconto. Un manipolo di dieci persone (sette uomini e tre donne) viene invitato su un’isola al largo dell’Inghilterra, con diversi pretesti: chi per lavoro, chi per diletto, chi per indagare. L’anfitrione è il Signor Owen, personaggio sfuggente all’inizio e quasi invisibile. I dieci prendono alloggio nella magione della famiglia Owen e quel che sembra un normale weekend di pace e tranquillità all’insegna del buon cibo (in Inghilterra??) si trasforma presto in un incubo senza fine, quando, a cena, una voce registrata urla ai quattro venti il passato oscuro dei dieci ospiti della casa. Ognuno di loro ha infatti un segreto da nascondere, una macchia che ne intorbida l’intera coscienza. Da questo momento in poi, seguendo in maniera allegorica una poesiola per bambini (Ten Little Soldiers), i vari personaggi vengono uccisi uno ad uno, fin quando non ne resta neanche uno. La domanda è: Chi è stato? Solo negli ultimi minuti si avrà la reale risposta e tutto l’enigma verrà dipanato. Del finale parleremo più giù per evitarvi spoiler (ma davvero, c’è gente che non sa nulla di 10 piccoli indiani? SERIAMENTE??)
La trama è questa. E allora cosa c’è di così bello? Ma tutto, ovviamente: la costruzione della tensione, dai momenti iniziali, così falsamente rilassati, fino alla paranoia finale, quando sull’isola restano in pochi e la diffidenza serpeggia acida e corrosiva tra i sopravvissuti. In questo senso, il telefilm BBC è molto fedele al romanzo, ma allo stesso tempo riesce a essere unico, grazie a un impianto narrativo perfettamente calibrato, costruito tra momenti al presente (all’interno della casa) e flashback in cui vengono descritte le luci e le ombre dei vari ospiti, man mano che questi li portano alla memoria. Nulla è lasciato al caso, montando i colpi di scena con un certo garbo all’inizio e facendoli correre a rotta di collo verso il finale. Tra le altre cose non mancano le trovate da ghost story, con allucinazioni e visioni, inserite come corollario della decadenza psichica in cui i personaggi stanno piombando ora dopo ora. La resa, sia della scrittura che della regia, è molto soddisfacente, regalando allo spettatore uno spettacolo sempre di ottimo livello, senza eccessi né grosse sbavature. Forse se proprio dobbiamo andare a trovare un neo, allora dobbiamo sottolineare che la sequenza dello spiegone finale è un po’ troppo diluita e affettata, per ragioni di messa in scena, visto che nel romanzo è risolta con il ritrovamento di una specie di confessione da parte dell’assassino. Immaginate quindi che quella lettera è stata frantumata i linee di dialogo, risultando un po’ lunghetta, ma nonostante tutto indispensabile, a meno di non voler lasciare un personaggio a fare il monologo con se stesso.
Il Cuore Oscuro
La bellezza di questo telefilm non sta solo nel perfetto meccanismo narrativo, in cui ingranaggi oliati portano il telespettatore fino al bellissimo finale senza il minimo intoppo. Se fosse solo questo non ci sarebbe giustificazione per tanto entusiasmo. Il fascino insito di questo racconto sta tutto nel suo cuore nero e violento, nella sua drammaticità, nel suo modo insidioso e cattivo di presentare l’essere umano come unico vero predatore e nemico di se stesso. Il cast di personaggi che sfilano nei corridoi della magione ha le mani insanguinate e l’anima dannata. Non c’è nessuno, dal Dr.Armstrong al Generale McArthur, dalla bella Vera Claythorne fino al detective Blore, che non abbia qualcosa di cui vergognarsi. Tutto, gl inviti, il viaggio, la vacanzina sull’isola, sembra essere solo la parodia malata di una sorta di tribunale nero, dove ognuno è stato chiamato per espiare la sua colpa.
Il romanzo di Agatha Christie era drammatico e violento, e la sua trasposizione televisiva le rende perfettamente giustizia, senza tralasciare niente, dal sangue alle urla, per inscenare le punizioni e le allegorie che si susseguono minuto dopo minuto. Lo spettatore pian pian comincia a realizzare che forse in questo caso non troverà l’Eroe che risolverà la questione, forse non ci sarà il canonico lieto fine, niente catarsi. Inizierà a vedere i personaggi quasi con disgusto, cercando qualcuno per cui tifare, e arrivando alla conclusione che forse è meglio non tifare per nessuno, considerando anche l’idea che forse il susseguirsi di omicidi rappresenta il lieto fine. La bellezza oscura della punizione a chi se la merita mantiene sempre viva la tensione morale, laddove chi vede il telefilm si chiede fino a che punto sia giusto quel che accade in scena, e dopo la rivelazione finale, l’interrogativo rimane, forse addirittura ancora più grande.
La casa impossibile e altre bellezze dell’isola
Dal punto di vista tecnico, la produzione BBC è caratterizzata da una scenografia convincente, che fa pensare davvero a quel periodo grigio a cavallo delle due guerre, sintomo che sono state spese sterline sonanti per mettere in piedi tutto l’impianto teatrale. La fotografia sintetizza l’atmosfera sempre più folle che ricopre tutto il racconto, fino all’epilogo, cambiando di registro durante i flashback, sottolineando in maniera quasi impeccabile i cambi di umore e di ritmo della regia. Quest’ultima si muove bene, con una buona prova di Craig Viveiros, che riesce a mettere in saccoccia delle sequenze davvero ben riuscite, soprattutto verso il finale.
Non è niente di funambolico, ma non è questo che si cerca vedendo una miniserie di questo genere: invece il regista ha deciso di usare un tono quasi sommesso, per emergere solo quando la situazione richiedeva una spinta visiva in più, soprattutto per enfatizzare i comportamenti paranoici e folli degli ospiti. Per chi volesse saperlo, la struttura esterna della casa (creata in CGI) non è assolutamente compatibile con la disposizione delle stanze descritte nelle inquadrature in interno. Questo è assolutamente ininfluente ai fini del film stesso, e lo stesso tipo di gioco era stato sottolineato per la stanza del direttore di albergo in Shining di Stanley Kubrik. Ve lo diciamo solo perché sono cose sempre belle e che servono per sorprendere gli ospiti a casa il venerdì sera. Alla stessa maniera, le statuine dei 10 piccoli soldati sono state modellate sulle fattezze dei protagonisti del telefilm, per creare un vero proprio legame diretto. Inoltre, man mano che i personaggi muoiono, i nomi dei relativi interpreti spariscono nei credits… macabro, ma efficace.
Piccola discussione sul finale
Se siete arrivati fin qui e non avete letto il romanzo o visto il telefilm, allora per favore, fermatevi! Stiamo per parlare del FINALE della serie, che forse in questo caso più di ogni altro, non vorrete rovinarvi. Quindi, se siete qui e non vi trovate a vostro agio, per piacere, saltate dieci righe più giù, e leggete le conclusioni (o andate a vedere il telefilm!). Questo adattamento per la tv di 10 Piccoli Indiani è il primo girato in Inghilterra che segue la conclusione del romanzo, in cui effettivamente muoiono tutti. Certo, alcune piccole trovate del racconto cartaceo sono state eliminate, come tutto il sistema di flashback e ricostruzioni fatte dall’Ispettore di Polizia che trova i cadaveri sull’isola, preferendo invece un montaggio quasi in tempo reale, per evitare di mettere insieme fashback su flashback. La scelta è più che condivisibile, anche perché per una buona volta chiariamo il fatto che il romanzo e il film sono due mezzi di comunicazione differenti e quello che si può fare sulla carta difficilmente (o non tanto spesso) è riproducibile sulla celluloide.
Di 10 piccoli indiani esiste anche una piéce teatrale, scritta dalla stessa Christie nel 1943 e che è stata la base per molti adattamenti cinematografici. In questa versione però, la scrittrice, su suggerimento del produttore dell’epoca, scrisse un finale differente, in cui Vera e Lombard, innocenti, si salvano, riescono a lasciare l’isola indenni e iniziare la loro storia d’amore. Questa scelta venne dalla considerazione che forse il romanzo, per quanto bello e affascinante, era forse un po’ troppo drammatico e affossante per presentarlo on stage con quel finale tragico. Inoltre, facendo morire tutti, non lasciava nessuno sul palco a raccontare la storia, il che dal punto di vista teatrale è un po’ un casino. D’altronde, la filastrocca degli indiani (o dei soldati o dei negri, a seconda della versione) aveva un finale alternativo che permetteva appunto di ovviare alla situazione: recitava che ‘degli ultimi due uno si sposò e non ne rimase nessuno…’ (He got married and then there were none). Ed ecco che il gioco era fatto. Personalmente, preferisco il finale originale, che è anche quello scelto per la miniserie, proprio perché è coerente con tutto il setting narrativo del racconto. Tutti i personaggi devono essere colpevoli dei loro delitti, tanto da far quasi sperare che vengano davvero puniti. La crudeltà di quello che è stato fatto in passato arriva all’improvviso per chiedere il conto: una storia del genere è perfetta, circolarmente perfetta, solo se alla fine tutti muoiono, anche l’assassino. Per altro, vedendolo per la prima volta, inevitabilmente si tende a pensare che comunque qualcuno si salverà, si inizia a pensare a ogni possibile modo con cui Vera, o Lombard, possano andar via dall’isola, perché siamo stati educati a cercare la scappatoia per la potenziale protagonista, proviamo a vederla in ogni inquadratura finale, in ogni sequenza. Ma in questo caso il telefilm ci gioca il suo ultimo macabro scherzo: tutto quello che stavamo cercando non esiste, perché in questa parte del mondo televisivo non c’è redenzione, non esiste nessuna Miss Marple che risolverà il caso, nessun Poirot che acciufferà l’assassino. Qui tutto è già stato scritto nello stesso istante in cui gli ospiti hanno messo piede sull’isola: questo racconto è una condanna a morte divisa in capitoli.