Le anime di Edo: la seconda opera di Koichi Masahara
BAO Publishing continua ad occuparsi di manga d’autore con la sua collana Aiken e, vista la buona accoglienza del primo volume, I doni di Edo, non poteva non pubblicare anche la seconda raccolta di racconti brevi di Masahara sensei. Il manga Le anime di Edo va quindi ad arricchire i contenuti che abbiamo già visto nel primo volume autoconclusivo, esplorando nuovamente la capitale giapponese quando ancora portava il suo nome antico, ma da un punto di vista più grave e maturo.
Edo: città di piaceri e sofferenze per le anime che la popolano
L’epoca raccontata con grande dovizia di particolari, nonostante il tratto vagamente caricaturale dell’autore, è quella dello shogunato Tokugawa, dal 1603 fino al 1868 circa. Un periodo in cui il Giappone si chiuse al resto del mondo, per creare un senso di comune appartenenza nel popolo appena unificato dopo le battaglie di quello precedente, l’era Sengoku, e ristabilire le tradizioni che avevano rischiato di andare perse con l’influenza occidentale.
Lo shogun Ieyasu Tokugawa impose che i suoi daimyo, signori feudali, dovessero passare una parte dell’anno a Edo con la famiglia, pratica che divenne presto legge perché garantiva fedeltà e controllo su di loro. Ciò portò ad una grande crescita per la città: economica, perché nacquero attività di ogni tipo, che attiravano forza lavoro dalle campagne; di conseguenza demografica, la popolazione si moltiplicò in breve tempo; e naturalmente culturale, poiché la presenza dei signori permise la fioritura delle arti, come l’ukiyo-e, e la costruzione di quartieri per le diverse classi sociali, compresi quelli del piacere come Yoshiwara, nei quali uomini di tutti i ceti cercavano di intrattenersi con geisha e oiran.
Apprendere nuovi valori e prospettive, sorseggiando saké
Messa così, la vita a Edo potrebbe sembrare nemmeno troppo male ma Koichi Masahara, con i manga brevi de Le anime di Edo, ci riporta alla realtà dei fatti, mostrandoci personaggi che vivono ai margini di questa società, coloro che, in base a queste premesse, passerebbero inosservati ma che in realtà rappresentano appieno la condizione sociale generale, essendo persone normali, con i loro pregi, difetti e insiemi di valori.
Tra questi spiccano alcune figure ricorrenti, quelle di vecchi saggi che guidano, consigliano o rimproverano i più giovani, facendoli riflettere e insegnando loro per cosa vale la pena arrabbiarsi, intristirsi o lottare. Primo fra tutti, il maestro Gohei, che nella prima storia spiega il significato della “cura” fraterna con una novella semplice ma d’effetto. Oppure l’oste del secondo capitolo, che invece sfrutta un bicchierino di saké in più per dimostrare al suo commensale che basta cambiare punto di vista per rendersi conto che le cose che ci accadono non sono del tutto negative.
L’idillio di Edo, dato dalla sua enorme attività di quegli anni e mostratoci nel volume precedente, viene quindi spezzato ne Le anime di Edo dalle nuove storie di vita più comuni, di coloro che non sono riusciti ad inserirsi in questa nuova ondata di produttività e ricchezza, rimanendo indietro sia dal punto di vista economico, sia, soprattutto, quello emotivo e sociale.
Le anime di Edo, il realismo di una città da esplorare
Edo, oggi Tokyo, era già allora una città di luci e ombre, ricolma di contraddizioni, nella quale determinati comportamenti erano piuttosto ricorrenti, perché semplicemente non vi era altro modo per sopportare il peso delle disavventure vissute lì: samurai andati in rovina che finivano per ubriacarsi in compagnia di braccianti a giornata; donne che scappavano da un uomo violento, abbandonando i figli; coppie che sceglievano la via del suicidio pur di poter stare insieme, magari gettandosi nelle acque del fiume Sumida, tanto decantato dai poeti e rappresentato nelle opere di numerosi pittori.
Anche il lettore, allora, passa attraverso le vite dei personaggi di questo manga come fa il fiume: in silenzio ma pronto ad accogliere le anime che Edo gli dona. Anime tormentate e sofferenti, che hanno avuto spesso la peggio nella vita e che, nonostante tutto, donano vitalità alla città che ci permettono di esplorare, grazie ad un tratto solo in apparenza caricaturale. Lo stile grafico di Masahara, infatti, ha due focus principali: le emozioni dei personaggi, esaltate apposta da fisionomie leggermente esagerate ma d’effetto, che consentono di ricordare i personaggi ricorrenti; e la fedeltà storica, che possiamo notare sia nelle vesti e acconciature dei personaggi, sia nelle abitazioni e nei vicoli dove vedremo consumarsi le loro storie.