Sorellina e il principe del sogno, miniserie fantasy del 1996 diretta da Lamberto Bava, è il film delle feste che potreste considerare di guardare al posto della millesima replica di Una poltrona per due
Le vacanze di Natale, quel magico periodo in cui le persone più fortunate hanno almeno una settimana di ferie, sono un momento che – vuoi per la nostalgia del vedere un altro anno finire, vuoi per il più o meno coatto rientro in famiglia, dove veniamo spesso considerate ancora bambine e bambini incapaci di qualsiasi attività domestica – spinge al rewatch nostalgico del proprio film delle feste preferito.
Su quali caratteristiche debba possedere un lungometraggio per essere considerato un film delle feste – Die Hard è un film di Natale? Ci libereremo mai della piaga sociale costituita da Una poltrona per due su Italia Uno la sera della vigilia? – il dibattito è ancora aperto, quello che è certo è che ogni persona ha il suo personalissimo film delle feste, quello che crea immediatamente un’atmosfera di serenità e nostalgia che niente e nessuno riesce a scalfire.
Per me, uno di quei film è Sorellina e il principe del sogno, coproduzione italo-tedesca del 1996 che sfrutta il successo ottenuto da Lamberto Bava con Fantaghirò (1991) e i suoi seguiti per presentare al pubblico italiano una miniserie fantasy in due episodi con un cast che spazia da Valeria Marini a Sir Christopher Lee (e se con questa informazione non vi ho già convinto a guardarlo, non so che altro fare).
Sorellina e il principe del sogno è la storia di Alisea, una giovane orfana di padre che si prende cura della madre malata e del branco di fratellini che l’hanno ribattezzata – appunto – Sorellina. Incontriamo per la prima volta Alisea nel bosco; in spalla ha l’ascia parlante che apparteneva a suo padre e che non perde occasione per schernirla: “potresti essere un po’ più forte”, recrimina l’attrezzo alla ragazza che risponde, serena e sorridente, “lo diventerò, non preoccuparti”.
Alisea è una classica eroina da fiaba; bontà d’animo, resilienza, ottimismo e altruismo – tutte qualità da principessa in potenza – si fondono in lei con un forte senso della giustizia e una lingua affilata, che non resta al suo posto neanche davanti al pericolo rappresentato dagli uomini del re, maestri delle attenzioni non richieste e delle minacce velate. Non che debba stupire, questa rappresentazione dei soldati di sua maestà Re Kurdok, vero e proprio king della mascolinità tossica, deluso profondamente nello scoprire il frutto dei suoi lombi, il principe Demian, più interessato alla poesia che al campo di battaglia.
Nel 2021 Sorellina e il principe del sogno ha festeggiato i suoi venticinque anni di esistenza e devo ammettere di essermi approcciata a questo pezzettino fondamentale della mia infanzia (mia sorella, per colpa di questo film, ha rischiato veramente di essere battezzata Alisea) con la rassegnazione di chi ha già visto molti dei suoi film preferiti di bambina fallire la prova del tempo (avete provato a guardare L’incantesimo del lago in tempi recenti? Ecco, non fatelo e tenetevi i ricordi). Tuttavia, sono stata la prima a restare sorpresa dalla piacevolezza con cui queste tre ore di storia sono scivolate via.
Certo, l’impianto narrativo è classico nel suo presentare ostacoli sempre maggiori alla felicità dei due amanti, che coroneranno il loro sogno d’amore nella maniera più prevedibile possibile, ma è parte del fascino dei film delle feste, la presenza di un banale e scontato lieto fine che ci faccia andare a letto credendo nella bontà del mondo (poi vedete voi, ma per quanto La La Land sia uno dei miei film preferiti, magari eviterei di rivederlo in questo periodo).
Antagonista supremo di Alisea è lo stregone Azaret, interpretato – un’informazione che da piccola non mi faceva né caldo né freddo, ma che stupisce, col senno di poi – da Christopher Lee (Saruman il Bianco, non c’è veramente bisogno che ve lo dica, no?), che aveva in precedenza lavorato col padre del regista, Mario Bava, in Ercole al centro della terra, del 1961. Azaret è un Barbablu che assorbe la forza vitale delle giovani spose nel giorno delle nozze, per mantenersi sano e potente; ospitato da Alisea in una notte di tempesta, cerca prima di comprare la giovane, per poi – davanti al diniego della madre – uccidere quest’ultima e rapire i fratellini della ragazza, che si metterà in cammino per trovarli e liberarli.
La violenza di Azaret nei confronti di Alisea – poco più che una bambina – è una violenza psicologica fatta di ricatti e menzogne: “a te non è permesso avere dei segreti”, le dirà, dopo averla imprigionata nel suo castello con la promessa di liberare i fratelli – condannati a non diventare mai adulti – se la ragazza fosse diventata la sua sguattera. Alisea, abituata a correre nei boschi, a spaccare la legna, a essere la capofamiglia, viene costretta a diventare una donna di casa remissiva, la cui unica compagnia si riduce alle scope e i secchi con cui tirare a lucido – ancora e ancora – le stanze della dimora dello stregone.
Di sicuro nel 1996 il termine non era ancora di uso comune, ma quello messo in atto da Azaret nei confronti di Alisea è grooming: il vecchio cresce la ragazza sotto la sua protezione, in attesa che questa diventi abbastanza grande da poterlo sposare. Lo stregone, figura maschile negativa, ha già spezzato la vita di tre giovani donne che non hanno certo donato a lui la loro giovinezza per amore ma perché ingannate, rinchiuse nella camera di Barbablu, spezzate da un uomo adulto convinto di poter ottenere l’amore con il potere. Uno degli errori di Alisea, è proprio di non fidarsi delle sue sorelle di destino, che chiedono, urlano, alla ragazza di essere liberate, di uccidere lo stregone.
Quest’uomo – speculare al padre dell’eroe Demian, il Re Kurdok – ha paura della morte, di morire solo, ed è quello il destino che lo attende, dopo aver cercato invano di allontanare Alisea e Demian, uniti dalla reciprocità di un amore puro come solo gli amori nati in gioventù e cresciuti nel sogno possono essere. E se vi state chiedendo quale sia il ruolo di Valeria Marini in questa fiaba, ecco che vi presento lo Spirito della Fonte, protettrice della fonte magica a cui i due amanti si abbeverano – l’una dalle mani dell’altro – poco dopo il loro primo incontro, giurandosi amore eterno con la sventatezza di chi sa di aver trovato un’anima affine.
Sorellina e il principe del sogno, anche a distanza di anni, resta una storia con un’eroina che sogna di essere libera – libera di vivere, libera di amare – e un protagonista maschile – ve lo ricordate Raz Degan? – fedele ai suoi principi, innamorato dell’amore, della sua Alisea, della musica e della poesia, che mette in guardia, con le sue vicende di possessione e redenzione, dai pericoli di una mascolinità così fragile da aver bisogno di conquistare, ferire e prevaricare, per sentirsi rappresentata. E adesso che gli anni 90 sono i nuovi anni 80, è arrivato il momento di riscoprire Sorellina e il principe del sogno, un fantasy italiano che porta benissimo gli anni che ha.