Non solo per gli animalisti.
Quando vidi L’alba del pianeta delle scimmie, non so per quale motivo, non mi aspettavo moltissimo. Probabilmente associavo mentalmente, e non senza un velo di insensato pregiudizio, trama e contesto a qualcosa di ingenuo, banale e posticcio. Chissà, magari ero scottato dall’effettiva pochezza che ci lasciò il film del 2001 di Burton, Il pianeta delle scimmie, o forse inconsciamente consideravo il soggetto originale, risalente all’omonimo film del ’68, non solo vintage, ma proprio superato sotto tutti i punti di vista oggigiorno. Fortunatamente, spesso mi piace mettere in dubbio le mie stesse “percezioni” e questo mi ha portato a scoprire ne L’Alba del pianeta delle scimmie, un film assolutamente brillante, verosimile, intelligente e in definitiva, decisamente riuscito. Le aspettative per questo sequel di cui andremo ora a parlare, non erano quindi basse. Non nascondo che ci fosse anche una certa curiosità nel vedere lo sviluppo della storia che, per quel che riguarda il primo capitolo, è stato tutto un crescendo di pathos fino al gran finale. Pur sapendo dove si volesse andare a parare (la trilogia conta di ridefinire la genesi dell’ascesa delle scimmie per ricollegarsi al film del ’68) è riuscito a trasportarmi emotivamente fino all’ultimo istante in cui il primo tra gli scimpanzé intelligenti, Cesare, pronto a prendere coscienza del valore della libertà per sé e per la propria razza, sconfigge definitivamente la prigionia e l’assedio della civiltà umana, per costruire un destino che sia solo dei suoi simili.
E proprio in un momento completamente dedicato alle scimmie, si apre Ape Revolution. Sono passati dieci anni, lo stesso composto chimico che ha reso le scimmie intelligenti sta sterminando il genere umano sotto forma di virus letale. Da un lato abbiamo quindi una specie che sta scoprendo il mondo e vuole espandersi, dall’altra ne abbiamo una sulla via dell’estinzione, decimata e costretta a vivere il declino dell’era degli uomini. Una lunga sequenza ci mostra la vita di un padre e leader, la scimmia Cesare, che ha ormai consolidato lo status quo, pacifico e in armonia con la natura, dei sui simili. Scene di caccia tra le fratte della foresta, di socializzazione e scoperta, semplici gesti di affetto, preoccupazione e rabbia: sequenze che subito, senza il bisogno di parole (che effettivamente non ci sono per l’intero incipit) creano immediata empatia con la sponda “animale” del film. Un ruolo fondamentale in questo ce l’ha l’eccezionale interpretazione di Andy Serkis (Gollum) abituato ormai a dar vita alle emozioni di personaggi irreali e completamente (e in questo caso, splendidamente) realizzati digitalmente e perfetto nei panni di Cesare, la cui espressività risulta maggiore rispetto a quella di tanti interpreti reali. Questi ultimi d’altro canto fanno antipatia a prescindere: giocano il ruolo della minaccia, dei “cattivi”, degli intrusi, a cui manca la purezza di fondo dei principi e dei pensieri delle scimmie, che a volte sono forse troppo romanzati, quasi “Disneyani”, ma perfetti per descrivere -scusate l’ossimoro- il lato umano degli animali.
Ma il film del regista Matt Reeves, va oltre tutto questo: Ape Revolution racconta l’inizio della guerra, dei conflitti tra scimmie e umani, non distribuendo con scontata chiarezza le etichette di “giusta” e “ingiusta” tra le due “fazioni”, ma ponendo la paura per la propria sopravvivenza, le debolezze umane, l’odio e il pregiudizio, come antagonisti principali e vera miccia esplosiva di ogni sorta di conflitto. Qualcosa che può colpire chiunque, a prescindere dalla specie di appartenenza. Pur considerando il generale buonismo del film e qualche sviluppo leggermente pretestuoso o telefonato, l’evolversi della trama spesso spiazza, e le pedine in campo si mischiano, cosicché non importa più chi ha ragione e solo la personalità di ogni individuo, animale o umano che sia, fa la differenza. Visivamente il film è davvero spettacolare, gli effetti speciali sono superiori a quelli del primo capitolo e gli scimpanzé risultano talmente definiti e ben realizzati da sembrare, se non veri, almeno “tangibili”. Non solo Cesare, ma anche le altre scimmie sono state realizzate con tocchi espressivi e lineamenti assolutamente caratterizzanti e personali: ognuna di loro è sempre ben riconoscibile seppur cosi simile ai propri compagni. La regia seppur firmata diversamente rispetto al primo film, non delude le aspettative: in molti momenti in cui l’azione è completamente protagonista, trattiene il focus su dettagli e punti di vista individuali, piuttosto che lasciarci volare neutrali e distaccati sul campo di battaglia, anche nelle scene più popolate e caotiche.
Chissà, potrebbe essere un retaggio dei lavori precedenti del regista, Cloverfield e Bloody Story? Quel che è certo, è che di battaglie, in fondo, non ce ne sono poi molte, e quando prendono il sopravvento sulla narrazione, il film ha già detto tutto quello che doveva dire, e a quel punto Reeves ci accompagna semplicemente verso la conclusione, con l’immancabile e catartico momento liberatorio, fatto di funamboliche scimmie incazzate e botti assortiti. Un po’ di sano spettacolo, che in fondo non guasta (quasi) mai, che serve a ridefinire un nuovo status quo e delle nuove priorità, alzando l’asticella della posta in gioco da cui ripartire e riuscendo nel tentativo di creare della fervida attesa per il capitolo finale della saga.
VOTO 7,5