Arrivato in versione gratuita per tutti gli utenti PS Plus in questo freddo febbraio, Apotheon è un titolo artisticamente affascinante e dalle meccaniche tutt’altro che moderne. In rete si è sentito di tutto, da chi lo osanna come un moderno “metroidvania” (titolo, a nostro dire, che gli sta un po’ stretto), a chi addirittura lo definisce una versione alternativa di God of War. Quel che è certo è che Apotheon ha un certo fascino, e che la sua direzione artistica merita un plauso non per altro, ma per l’estrema originalità dell’idea. Disponibile per il resto dell’umanità ad un prezzo più che ragionevole considerate le ore di gioco per portarlo a termine (circa 8-10), abbiamo infine deciso di dare una chance a questo titolo sviluppato dal team di Alien Trap, anche solo per il gusto di tirare giù le divinità dell’Olimpo ancora una volta.
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Fare i vasi…
Non si fatica a capire il perché molti abbiano tirato in ballo God of War mettendo mano a questo particolarissimo indie. Se le dinamiche ludiche piuttosto elementari non sono neanche lontanamente paragonabili alla serie best-seller di Sony Santa Monica, quello che richiama alla mente le gesta di Kratos è certamente il setting che non solo piazza il gioco nel bel mezzo dell’ennesima scorrazzata ellenica in toga, ma mette al centro del plot gli dei dell’Olimpo e l’ennesimo colpo di testa di Zeus. Il nostro eroe, Nikandros (il cui nome significa iconicamente “vittoria di un uomo”) si troverà infatti alle porte dell’Olimpo per uccidere Zeus su commissione nientemeno che di sua moglie Hera. Il giovane, dopo aver assistito alla distruzione del suo villaggio – preambolo di una Terra in preda alla follia per l’abbandono degli Dei – comincerà quindi il suo viaggio sul Monte Olimpo alla ricerca del favore di alcuni dei per sconfiggerne altri, così da ottenere il potere che gli occorre per ristabilire l’ordine. Con il voltafaccia di Zeus all’umanità, infatti, anche tutte le altre divinità si sono messe da parte, facendo si che senza la mancanza dei loro favori, la Terra è ormai destinata all’oscurità, alla pestilenza, alla fame ed a tutto il classico repertorio di calamità divine (tra cui cani e gatti che si accoppiano ovviamente). Ora, se le premesse narrative sono piuttosto datate e per nulla in grado di svilupparsi in modo decente o anche solo avvincente, quello che tiene letteralmente incollati allo schermo è il suddetto comparto artistico con cui Apotheon si presenta come una lunga decorazione in movimento. Per spiegarci meglio, avete presente i disegni stilizzati sui vasi di terracotta che potete vedere in gran parte dei musei del mondo? Ecco, Apotheon è “disegnato” interamente con quello stile. Tutto, dai personaggi ai nemici, finanche agli effetti ambientali ha quello stile così particolare e godibile che porta al giocatore una certa curiosità, ed anche un certo livello di fascinazione. Il lavoro è stato così certosino che non mancano colpi di classe come le scalanature della terracotta del vaso su cui, in linea teorica, sono disegnate le avventure di Nikandros o anche solo certe sfumature di colore che lasciano intendere una pennellata artigianale. In tal senso, soprattutto con lo scoprirsi dei livelli, il gioco mostra una classe che e una cura decisamente difficile da trovare in altri prodotti anche solo lontanamente simili.
…raccogliendo i cocci
Ma purtroppo questo ben di dei tecnico non corrisponde a un gameplay vincente o anche solo all’altezza del proprio ruolo. Se tutta la bellezza del vasellame greco colpisce e rapisce, il piano ludico in sé soffre di alti e bassi tali da non lasciare completamente appagati. Su tutto l’incipit è di una noia e di una lentezza disarmanti e sebbene serva a prendere confidenza con la mappatura dei tasti (e sono veramente numerosi i tasti da premere per un gioco del genere!), i primi minuti smorzano quasi subito il fascino, trascinandosi un po’ a fatica. Non che quando il gioco si apre la cosa sia diversa, ma già esplorare il Monte Olimpo rispetto al proprio risicato villaggio sembrerà una vera e propria manna videoludica.
Anyway il primo e fondamentale problema (lentezza a parte) è certamente il combat system che dato il numero esagerato di armi, nemici e luoghi da visitare ci saremmo aspettati fosse strutturato con un minimo di cognizione di causa. E invece no, nella fabbrica di vasellame di Alien Trap hanno affidato la grafica al mastro di laboratorio, e il gameplay a Cletus Bifolcus Sciouccus. Nikandros può brandire una rastrelliera da capogiro, può piazzare trappole, craftare nel momento del bisogno e – ovviamente – raccogliere numerosi oggetti nel corso della sua esplorazione. Parrebbe che tutto vada come deve e poi ZACK, il sistema di collisione degli scontri arriva con una mazza a sfasciarvi il vaso e il divertimento. Questo perché le collisioni dei combattimenti sono del tutto fasulle e spesso non riuscirete a colpire un nemico neanche quando questo vi camminerà (letteralmente!) addosso! Neanche il sistema di mira a distanza si comporta poi meglio, e in quelle occasioni in cui lo scontro si farà caotico e cercherete di venirne fuori ad arco e frecce, queste non vi aiuteranno neanche se avete tra le mani l’arma più cazzuta che Efesto possa aver partorito. Non pensate che poi il resto si comporti meglio. Il sistema di salto è da museo e del tutto inefficace, soprattutto in certe sessioni in cui esso sarebbe fondamentale per risolvere certi enigmi (andate a trovare Dioniso e poi ci darete ragione…) e il sistema per arrampicarsi su scale e affini (specialmente quelle attaccate ai soffitti) è innaturale e anacronistico. In questo caos da tauromachia neanche la mappa di gioco si salva, la sua attivazione tramite touchpad è di per sé abbastanza comoda, ma la sua lettura o il suo movimento (tipo per consultare zone non centrate dall’inquadratura di default) vi farà bestemmiare in non più di un’occasione il che, considerando la natura ampiamente esplorativa del titolo, è una brutta gatta da pelare.
Riattaccare i cocci
Ma è tutto così disastroso? Il punto è che il più dipende dal giocatore e da quanto tempo e voglia ha da investire in Apotheon. I difetti di cui sopra, infatti, si presentano al giocatore quasi subito e nascondono a lungo la vera natura del titolo la cui configurazione “vecchia scuola” può regalare ampie soddisfazioni a che ama imbattersi in titoli in cui esplorare, raccogliere e uccidere sono le parole d’ordine. Negli scontri con i boss ad esempio, Apotheon dà il meglio di sé presentando alcuni scontri memorabili e ben costruiti. Alcuni, ma non tutti, che sia chiaro! Anche il level design nasconde sorprese molto gradevoli anche se, per forza di cose, esse possono mostrarsi solo a chi avrà la voglia e la pazienza di esplorare per bene ogni olimpico anfratto. Infine, molti puzzle ambientali sono costruiti con la giusta cattiveria e richiederanno almeno un paio di tentativi per essere sormontati.
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Decisamente buono è anche l’accompagnamento musicale che contribuisce all’idea di un racconto epico e perfettamente in sincrono con la scenografia che vi farà da contorno. Ultima crepa sul vostro vaso è però il doppiaggio, non tanto per l’impostazione “only eng” dell’opera tutta ma per certe voci il cui accento simil-scozzese (o comunque veramente biascicante) suona come un trapano in un orecchio se la bocca che si muove è quella di un dio greco.