All’Arf di Roma abbiamo avuto la grandissima opportunità di incontrare uno dei maestri del fumetto italiano: Milo Manara, che tra un autografo e una dedica ha risposto alle nostre domande.
Buongiorno e grazie per il tempo che ci sta dedicando, lei è un vero maestro che ha fatto la storia del fumetto italiano e non solo. Per noi è un onore poterla intervistare. Proprio per questo vorremmo iniziare domandandole la sua opinione sull’attuale condizione del fumetto. Spesso ci si domanda se sia o meno in crisi, ma al netto di queste polemiche, che cosa dovrebbe imparare l’attuale generazione di artisti da quelle con più esperienza alle spalle?
Mah, io guarderei la situazione editoriale da due punti di vista: francamente non sono al corrente dei dettagli delle quantità di vendite del settore, ma senza dubbio la crisi si è sentita anche in questo ambiente, e certamente in Italia si legge molto meno rispetto agli altri paesi europei. L’altra faccia della medaglia, però, è che negli ultimi anni tra i finalisti del premio Strega sono arrivati fumetti come quelli di Gipi e Zerocalcare. Quindi, se da una parte ci può essere un calo delle vendite trasversale in tutti i campi dell’intrattenimento, dall’altra il fumetto sta acquistando sempre più un rango culturale equivalente alla letteratura che ci pone, sul piano culturale, al pari della realtà francese. Poi, per quel che riguarda i numeri, quello è un altro paio di maniche, e ci sarà da combattere per aumentarli, ma io considero il trend positivo sul piano culturale.
Anche le possibilità di esprimersi, oggi, sono molte più che in passato, per esempio attraverso il web. Ma questa vetrina social per gli artisti può essere un’arma a doppio taglio: se da un parte permette una totale libertà di espressione, dall’altra si abbandonano delle “regole” preziose insegnate dalla tradizione. C’è qualcosa che i nuovi artisti non dovrebbero dimenticare?
È vero che ci siamo spostati molto dalla carta al web, specialmente per chi è all’inizio del percorso il blog può servire poi per trovare un editore. Senza dubbio questo è uno spazio in più che hanno i giovani oggi. Contemporaneamente, però, hanno uno spazio in meno, perché non ci sono più le riviste che c’erano una volta e davano spazio agli esordienti. Quindi diciamo che la situazione si bilancia. È vero però che il blog permette di essere conosciuti in tutto il mondo, mentre le riviste di una volta erano solo locali. Perciò forse il piatto della bilancia è in favore del presente, piuttosto che del passato. Certo, forse oggi è più difficile guadagnarsi da vivere con questo mestiere, perché il blog permette di trovare un editore, ma la battaglia inizia proprio in quel momento. Ma tutto questo è legato appunto a quella questione di numeri di cui parlavamo prima.
Le facciamo un’ultima domanda: la sua carriera ha avuto spesso delle contaminazioni pittoriche, come nel caso de Il pittore e la modella, in cui mette in scena una rivisitazione della storia dell’arte attraverso le modelle ritratte dagli artisti. Questo è un punto di vista molto interessante, ma nella sua esperienza che rapporto si instaura tra chi ritrae e chi viene ritratto?
Questo è interessante, perché si instaura un rapporto veramente molto particolare. Tanto per cominciare il rapporto tra pittore e modella è erotico anche se platonico, nel senso che c’è l’esibirsi e l’essere visti, l’essere in mostra, ammirati. In più il pittore ha uno sguardo molto simile a quello di un medico, si lascia coinvolgere solo da certi aspetti della persona che ha davanti, non dalla persona in generale. Un po’ come se facesse una diagnosi. Quindi questo studio del corpo millimetro per millimetro riguarda propriamente quel corpo, ma non necessariamente la sua mente. Quindi è un rapporto piuttosto strano, che in ogni modo coinvolge anche la sfera erotica, pur restando in un particolarissimo ambito dell’erotismo, che non credo si trovi in nessun altro rapporto. Non so se sia lo stesso tra modella e fotografo, ma non credo, perché il pittore deve veramente esplorare ogni anfratto della persona che ha davanti, mentre il fotografo ha una visione più d’insieme, che poi viene ritratta dalla macchina.