Stay Nerd ha intervistato, in quel di ARF! 2017, Diego Cajelli detto “Diegozilla”, navigatissimo sceneggiatore del fumetto italiano, ma anche di format televisivi e show radiofonici. Ultimamente, ha creato Il Manuale Illustrato dell’Idiota Digitale, dizionario e saggio di critica sociale nei confronti delle storture del web, edito da Panini Comics e impreziosito dal lavoro di tanti abilissimi illustratori. Non manca nemmeno di trasmettere il suo sapere, insegnando la narrazione e la sceneggiatura nelle sue varie forme. Ecco com’è andata la nostra chiacchierata…
Iniziamo subito chiedendoti qualche impressione su questa edizione di ARF!.
È la prima volta che vengo ad ARF! e mi sta piacendo da matti: mi piace tantissimo la location, mi piace com’è stata organizzata la presenza del fumetto all’interno di questi luoghi e poi Roma è spettacolare, quindi è davvero un bel posto dove stare.
Ti va di parlarci del tuo ultimo lavoro, Il manuale illustrato dell’idiota digitale? È un progetto molto particolare…
È un manuale illustrato da grandissimi illustratori e fumettisti che hanno contribuito al progetto: Bertelè, Corradi, Giacon, Angelini, Daw, Giorgini e Antonucci. È un lavoro su tutte le idiozie che si possono trovare sul web contemporaneo: c’è una parte che è un dizionario con 450 voci, in ordine alfabetico naturalmente, dove ho segnalato tutto quanto viene condiviso a livello di bufale, frasi tipiche e castronerie colossali, andando a cercare l’origine virale. Per cui su una certa definizione tipica scoprirai anche quando ha cominciato a circolare. Il tutto è raccontato in una chiave di satira sociale piuttosto forte e infatti non è un libro di testo ma un libro per prendere in giro gli idioti digitali. Il web contemporaneo è talmente veloce che non fai in tempo a renderti conto di quello che c’è. Con questo libro il lettore avrà un punto con tutto quello che c’era fino a gennaio 2017 sul web.
A questo punto una domanda è obbligatoria: senza interrogarci sul rapporto tra gli esseri umani e il web, che sarebbe complicato da sviscerare, com’è il rapporto col web di autori e lettori?
Siccome sono molto anziano, ho cominciato a usare il web all’inizio degli anni ’90, quindi ho visto l’evoluzione dalla versione 1.0, di nicchia, in cui era necessario avere un computer fisso per accedere, fino ad arrivare alla 2.0, con web di massa e la connessione di chiunque grazie a un semplice telefono. Il rapporto con lo strumento è completamente cambiato: il problema è che, per come la vedo io, l’essere umano non era ancora pronto, dal punto di vista emotivo e cognitivo, a usare il web nella maniera corretta. Nessuno ha investito sulla formazione, sull’insegnarci a essere digitali, in un mondo in cui si parla tantissimo di digitale ma poco di essere digitale, nell’accezione filosofica del termine. Alla fine, nel corso degli anni, la mia visione è cambiata tantissimo: io facevo parte di quelli che credevano nella grande utopia del web che avrebbe migliorato la nostra esistenza reticolare nel mondo, come diceva Tim Berners Lee. Oggi mi chiedo quanto un anti-vaccinista migliori effettivamente la mia esistenza reticolare nel mondo e quanto, invece, la peggiori. Per cui, tornando al Manuale, è un testo critico perché il rapporto tra esseri umani e web è un rapporto estremamente critico. Si salvano alcune nicchie, quelle in cui c’è una connotazione molto più 1.0, come le wiki, i forum, in cui si discute per affinità elettive, mentre la grande galassia dei social network generici è un campo di battaglia dove si schierano le cinture nere in dietrologia. E questa cosa sta diventando, per me, insopportabile. Non per niente ci ho scritto un libro.
Un libro che fa ridere e riflettere, con tante illustrazioni: se una persona venisse scongelata oggi dopo un lungo sonno, grazie al Manuale potrebbe capire immediatamente cosa significano espressioni come “disagio” e tutte le altre che leggiamo correntemente sul web.
E tornerebbe subito a dormire nel ghiaccio! (ride)
Torniamo agli altri media. Tu stai lavorando per la TV, ti interessi di cinema, hai scritto fumetti: come valuti l’avvicinarsi tra i media cui stiamo assistendo? Cosa possono imparare gli uni dagli altri e cosa, invece, non può passare da un medium a un altro?
La crossmedialità, intesa come un’azione di narrazione che attraversa media differenti, dal mio punto di vista, è lo storytelling del futuro. Il problema reale è che, quando si parla di creatività, crossmedialità e narrazione, c’è sempre “un cugino bravo con photoshop”: bisogna affidare questa potenza narrativa alle persone adeguate, a chi ha una preparazione per raccontare una storia su più piattaforme. Da qui la grande rivincita dei nerd: siamo noi che siamo in grado di raccontare le cose in questo modo, di sicuro non un esperto di marketing che fa ragionamenti completamente diversi. Per cui, dal mio punto di vista che sicuramente è sbagliato, la formazione culturale legata all’immaginario pop, all’immaginario collettivo, all’immaginario di massa specifico è l’elemento che fornisce quel quid in più che permette di affrontare ogni tipo di situazioni crossmediali. Al contrario, chi è abituato a ragionare narrativamente in termini molto classici e molto istituzionali, in cui ogni cosa è separata, si trova completamente spiazzato di fronte a questa realtà.
Facendo l’avvocato del diavolo, ci possono essere delle distorsioni prodotte da uno scimmiottamento di un medium rispetto a un altro? Prodotti non prettamente crossmediali che si rifanno a modelli diversi, senza necessariamente ottenere risultati positivi?
La questione non va affrontata dal punto di vista creativo, secondo me. Quello che noto, lavorando in settori diversi e in ambiti molto differenti tra loro, dalla radio alla televisione, è che nel nostro Paese ci sono delle enormi competenze creative e soprattutto un’attitudine a risolvere in maniera brillante tutti i problemi di una produzione. Al contempo, però, ci sono grossi problemi di finanziamento: sempre meno aziende decidono di spendere e siamo uno dei paesi che investe di meno in questi settori. La cosa che io trovo meravigliosa è che dietro pagamenti di due olive e un bottone noi riusciamo a fare dei prodotti meravigliosi.
Una domanda proprio su Diego Cajelli, a questo punto: ci sono dei progetti futuri su cui puoi anticiparci qualcosa?
Sto lavorando parecchio per la televisione, in uno studio in cui si producono format che poi vengono venduti alle varie reti, ed è un lavoro molto divertente perché abbiamo la possibilità di creare dei “numeri 0” da rivendere. Il Manuale dell’Idiota Digitale avrà almeno un’edizione annuale, tipo il Dizionario del Cinema di Mereghetti, perché me l’hanno strappato dalle mani a gennaio per mandarlo in stampa, altrimenti sarei andato avanti ad aggiornarlo a oltranza. E poi ci sono varie altre cose in ballo: un libro fantasy, ho appena finito un fumetto particolare per la Bonelli, che molto probabilmente sarà pubblicato su Le Storie.
In occasione di ARF! hai tenuto anche una Masterclass: a proposito di insegnamento, cosa può imparare la nuova generazione di artisti dalla vecchia? Oggi ci sono tanti modi per esprimere il proprio lavoro, e anche più libertà. C’è il rischio che questa libertà faccia dimenticare le regole che, comunque, sono alla base del lavoro di uno sceneggiatore?
Quello che noto quando tengo una lezione o durante il mio corso all’università, è che si è persa l’orizzontalità degli eventi. Mi spiego: le nuove generazioni sono strutturate in modo molto verticale, sono espertissimi di un dettaglio, quando in realtà questo nuovo modo di concepire la narrazione dovrebbe portare a una visione più orizzontale, più da grandangolo. Forse perché, per questioni di formazione, si tende a tenere i vari argomenti in scatole separate: la Storia è Storia, La Storia dell’Arte è Storia dell’Arte, et cetera, quando in realtà si dovrebbe mescolarle tra di loro per avere competenze diverse e proporsi sul mercato editoriale in una maniera più vincente. La specializzazione pura può pagare fino a un certo punto, mentre in realtà la diversificazione può portare veramente a un successo professionale.
Quindi la tuttologia, in un certo senso?
“Tuttologia” è un termine, per l’italiano che uso io, dispregiativo. Quindi direi “orizzontalità”, come apertura totale: se uno vuole fare fumetti, non è detto che il fumetto come lo intende lui sarà quello che finirà a fare. Bisogna essere pronti ad affrontare le cose in una maniera più ampia.
E questo discorso si riallaccia a quello già affrontato sulla crossmedialità: varietà di argomenti, formati e storie…
Assolutamente sì, esatto.
Perfetto. Grazie mille per questa intervista a nome di Stay Nerd!
Grazie a voi!