Il mitico Leomacs ai microfoni di Stay Nerd: disegnatore talentuoso che tra le altre cose ha collaborato con Bonelli per personaggi storici come Dylan Dog e Tex Willer. Vai con l’intervista!
Vorrei cominciare da una cosa molto facile, che però ogni volta che la leggiamo sul tuo blog, ci lascia sempre un po’ nel dubbio: ti definisci fumettista volatile. Che cosa vuol dire?
Vuol dire che mi interesso e sono appassionato di diverse cose. Indica inoltre il fatto che non mi piace troppo stagnare su un argomento o su una forma. Nel mio piccolo cerco di nutrirmi con vari stimoli e quando è possibile provo a riportarli nei fumetti che disegno.
È una questione di noia o di sperimentalismo?
Sperimentalismo forse è un termine eccessivo. È probabilmente un bisogno personale.
Tu sei sulla cresta dell’onda dagli anni ’90. Praticamente sei un veterano. Secondo te che cosa è cambiato nel mondo del fumetto rispetto a quando hai iniziato, e come sei cambiato tu?
Vent’anni fa le cose erano molto più picaresche. C’era molta voglia di fare, ci si buttava con tantissimo spirito di iniziativa e tutti noi eravamo meno professionisti; avevamo un diverso modo di approcciare la cosa.
Molti aspetti di questo lavoro erano più formali, non c’era quella grande cassa di risonanza che è internet, non ci si conosceva così tanto come ci si conosce ora, nel senso virtuale del termine, pertanto le fiere erano le uniche occasioni in cui confrontarsi con il pubblico e conoscere persone con le tue stesse passioni.
In generale si cercava di fare editoria con ciò che si aveva a disposizione. Adesso invece le connessioni tra critica, pubblico e addetti ai lavori sono più fitte, per cui negli ultimi anni i prodotti sono molto più curati a livello editoriale. Per questo forse si sono anche raffreddati i rapporti, ma non dal punto di vista della passione del pubblico, che invece sembra sempre entusiasta e sempre più competente.
Come è stato approdare in Sergio Bonelli? Parliamo della casa editrice principe in Italia, che ha degli standard molto elevati. Questo passaggio come l’hai vissuto?
È stato molto difficile e sofferto perché ho dovuto tentare diverse volte prima di poter pubblicare con loro. È stato difficile anche perché una volta che l’editore mi ha dato la possibilità, ho dovuto rivedere tutto il modo di lavorare che avevo fino a quel momento.
Prima ero abituato a lavorare in maniera “anarchica”. Confrontarsi con un modo di fare fumetto più strutturato e con esigenze specifiche è stato un po’ difficile ma non privo di soddisfazioni.
Rimanendo sulle difficoltà, hai collaborato con diversi sceneggiatori, in tanti ambiti diversi. Ricordi qualche momento veramente complicato?
Veramente complicato no, nel senso che poi alla fine le difficoltà non sono state di carattere umano bensì tecnico e più o meno venivano risolte in quanto insite nel lavoro. Sono cose che ci possono stare, che vengono fuori in maniera naturale.
Bonelli negli ultimi anni sta attuando una vera e propria rivoluzione e si sta approcciando a target diversi, come per esempio col progetto 4 Hoods. Cosa ne pensi?
Posso dire che è sicuramente una cosa positiva ed inevitabile, in un certo senso. Io non sono un interno della Bonelli, ma un collaboratore, però effettivamente le cose le vedo cambiare, ma perché cambiano sempre e loro devono fare le scelte in maniera attenta, considerata la tradizione e il grande numero di autori con cui hanno a che fare.
Continuando a parlare di Bonelli, hai avuto il privilegio di lavorare sia su Tex che su Dylan Dog, che sono due dei campioni della narrativa Bonelli e che ormai sono profondamente radicati nell’immaginario collettivo del lettore di fumetti italiano e forse ormai anche straniero. Come ti sei rapportato a questa sfida? Sono due personaggi non agli antipodi, ma almeno stilisticamente molto diversi.
Mi sono approcciato col mio trascorso da lettore, perché Tex nell’infanzia e Dyan Dog nell’adolescenza, sono state due lettore piuttosto importanti. Chiaramente quando devi disegnarli e devi lavorarci non basta il coinvolgimento emotivo, ma serve quello professionale, tuttavia ci sono un insieme di fattori che si mescolano tra loro. Ad esempio all’inizio su Tex ero più incosciente che spaventato, ma stranamente non l’ho presa con molta preoccupazione anche se forse avrei dovuto perché si tratta di un’icona.
Non so se concordi, ma credo stiamo vivendo negli anni in cui dal punto di vista tecnico è in atto una rivoluzione. Siamo in un tempo in cui il disegno digitale sta iniziando ad avere successo e proporsi sempre di più.
Domanda tecnica: preferisci lavorare su carta con matita e inchiostro o hai una predilezione per le tecniche digitali? O forse la realtà sta nel mezzo?
Probabilmente sta nel mezzo. Ho cominciato da poco a utilizzare il digitale, sono ancora un po’ nel guado e ne colgo le potenzialità, ma non sono riuscito a sfruttarle pienamente; per cui la risposta ve la potrò dare tra un po’ di tempo.
Il digitale offre molte possibilità perché puoi affrontare con più facilità il lavoro e dato che oggi i disegnatori sopportano dei carichi micidiali, perché l’asticella della qualità si fa sempre più alta e gli editori – giustamente – sempre più esigenti. Uno strumento come il digitale che ti può alleggerire una piccola parte di questo carico è una buona cosa, però è sempre il disegno che conta.
Visto che hai parlato di tecnica. Siamo grandi fan del tuo blog e ci piacciono moltissimo gli sketch erotici che fai. Ci piace in particolare lo studio delle posizioni anatomiche perché sono tavole che non abbiamo visto molto spesso. C’è una sorta di sfida con se stessi nel disegnare alcune posizioni anatomiche?
La sfida c’è, ma non è tanto sulle posizioni. Gli sketch sono degli ottimi esercizi perché disegno cose che mi piacciono e l’esercizio sta nel disegnarli a pennello: è una specie di pittura zen in cui riversare a penna o con l’inchiostro una sensazione o un’immagine che ci piace.
Prima di salutarci, una domanda su l’ARF, perché probabilmente è la prima e unica manifestazione in Italia completamente dedicata al fumetto, ed anche con una certa qualità. Credi che inciderà sul modo in cui la gente comprende e comunica con il fumetto? Potrà dare un certo lustro al fumetto come forma d’arte?
Credo di sì. Conosco gli organizzatori, amici ed appassionati di ciò che fanno e che conoscono molto bene ambiente e settore. Frequentano mostre e fiere di questo tipo da anni e sanno individuarne le criticità. Credo molto in loro. L’ARF mi piace e mi è piaciuta subito; fin dalla grafica ho capito che stavano andando nella direzione giusta. E poi parlo con molti ragazzi che sono i nuovi lettori di fumetti e sento che c’è un pubblico nuovo che sta nascendo e cerca questo genere di manifestazioni dedicate al fumetto e ai suoi linguaggi. C’è sempre più interesse.
Ci sarà modo di far crescere l’ARF e dare una tendenza in tal senso.