Tra numerosi compromessi e alcune idee brillanti, Arise: a simple story affronta con qualche titubanza temi complessi e profondi.
Coerentemente con la tipica mancanza di rispetto che il settore videoludico dimostra generalmente per le esperienze meno incentrate sulla competizione e sulla violenza, a giochi come Journey e Dear Esther non è stato riconosciuto il ruolo di “creatori” di un genere come invece avvenuto per Limbo (limbo-like), Dark Souls (Souls-like) o Hotline Miami (miami-like).
Ciononostante, superando agilmente i dogmi del settore e arrivando direttamente al cuore del pubblico, titoli come quelli citati sono riusciti a ritagliarsi un nuovo mercato, e persino a formare nuovi generi e modi di approccio al videogioco, incentrati sull’uso dell’interazione con funzioni diverse rispetto a quelle tradizionali.
Il successo di queste nuove forme di interazione è stato enorme, e oggi rappresenta a tutti gli effetti una nuova tipologia di prodotto che mira a certe specifiche fasce di giocatori. Il rovescio della medaglia di questa fama è stata, come sempre, la commercializzazione di quelle idee, che sono state declinate in formule produttive finalizzate al vendere un certo oggetto di consumo, e non a voler comunicare un messaggio o scatenare un’emozione.
Nel tempo, siamo dunque stati testimoni della nascita di decine e decine di pubblicazioni autoproclamatesi “poetiche”, “originali” ed “esperienziali”, sebbene di tutto questo non vi fosse traccia all’interno dell’opera stessa. Si è diffusa l’idea che a rendere un’esperienza “sperimentale” sia la superficie, il principio del rifiuto della violenza o della tradizione nelle meccaniche di gioco, piuttosto che l’assunto, evidente nelle opere che hanno dato il via a questa corrente, che debba essere il gameplay a ruotare intorno al tema, e non il contrario.
Arise: a simple story, prima fatica del team spagnolo Piccolo Studio, si inserisce esattamente a metà tra gli estremi di questa tipologia di produzioni.
Infatti, se da un lato non riesce a rimanere coerente durante tutto l’arco narrativo nei confronti dei temi affrontati e del valore delle interazioni a disposizione del giocatore, dall’altro comunque non si lascia trascinare in banali riproposizione di un gameplay finalizzato alla progressione tradizionali, e a volte sperimenta con formule più particolari e adatte al contesto narrativo del caso.
Questa alternanza qualitativa è possibile data la particolare struttura del racconto. Infatti, Arise: a simple story narra la storia di un anziano barbuto che, dopo la morte, deve permettere alla sua essenza spirituale di raggiungere una non meglio precisata destinazione finale, e per farlo dovrà prima affrontare una serie di livelli tematici, evidente metafora del percorso di vita da lui affrontato sin dalla più tenera età.
Nell’arco degli undici capitoli necessari per completare il gioco, ci troveremo di fronte alle più tradizionali e comuni delle esperienze di vita, tra amori giovanili, solitudini adolescenziali, gioie infantili e dolori della vecchiaia. La meccanica principale del gioco prevede la possibilità di controllare brevi e precisi archi temporali: con una pressione dell’analogico potremo infatti far andare velocemente il tempo in avanti o indietro, a seconda delle esigenze ludiche di quel livello specifico.
Ecco dunque che, facendo alzare il livello dell’acqua con il giungere della sera, vecchie travi in legno si trasformano in ponti di fortuna, che ci permetteranno di superare corsi d’acqua altrimenti invalicabili. Questa particolare meccanica, che in tal senso ricorda Braid, coinvolge tutti gli elementi di gioco tranne il protagonista stesso: sarà dunque il nostro posizionamento l’elemento fondamentale intorno al quale costruire la nostra progressione.
Inoltre, grazie a un’originale e creativa resa scenica degli spazi e dei livelli, questa apparentemente semplice idee di design diventa la base di alcune scene memorabili, tra girasoli che ruotano a seconda della posizione del Sole e rocce in caduta libera che potremo arrestare nella loro violenta rovina.
In sostanza, osservandone lo scheletro puramente meccanico, Arise: a simple story si conferma un platform solido, che nelle tre ore circa necessarie al suo completamento mette in scena una grande varietà di situazioni, contesti e immaginari, che appagano la vista e che offrono una sfida leggerissima ma mai totalmente assente.
Dato che, però, il successo di una comunicazione si basa sulla solidità del suo messaggio, Arise: a simple story non può essere banalmente dismesso solo come “un platform”, ma bisogna chiedersi che ruolo abbiano queste scelte di design nell’affrontare i temi previsti dal racconto.Come detto prima, l’alternanza tematica alla base della progressione narrativa riesce a rendere più o meno efficace la struttura del gameplay, che a volte osa quanto basta, mentre in altre sembra troppo restia ad abbandonare le tradizioni e le consuetudini del videogioco.
Infatti, se nei capitoli più “cupi” e “violenti” il concetto di sfida e morte ludica può ben accompagnarsi con i temi di quei livelli, al contrario ciò non accade quando a essere al centro dell’esperienza sono emozioni come “gioia“, “amore”, “idillio” e “speranza” (come anticipato anche dai nomi dei vari capitoli).
Se dunque affrontare ripide scalate e violenti terremoti permette a un gameplay squisitamente tradizionale di mantenere coerenti meccaniche e racconto, ciò non accade con le parti della vita del nostro protagonista in cui la violenza, la morte e la solitudine mostrate dal gameplay contraddicono le sensazioni provate in quei periodi dall’eroe della nostra storia.
Al contempo, nella sua resa scenica Arise: a simple story riesce a farsi metafora dei temi affrontati, rendendo ogni livello peculiare per scelte estetiche e per alcune azioni disponibili: il livello sul conforto, ad esempio, prevede la ricostruzione di veri e propri blocchi di terreno spezzati, mentre quello sulla gioia offre delle brevi sequenze di puro divertimento privo di sfida, in cui scivolare tra tronchi immensi adornati di splendidi fiori dai colori vibranti.
Purtroppo, anche in quei livelli, un errore nelle scalate o nell’esplorazione ci farà morire o ricominciare, rischiando di far scaturire emozioni come la frustrazione, generando una dissonanza cognitiva tra quanto vissuto narrativamente e quanto provato emotivamente.
Giocare Arise: a simple story rappresenta in effetti una dissonanza emotiva abbastanza marcata, dato che personalmente ho vissuto decisi contrasti sensoriali con questo gioco. In un momento mi sentivo estasiato da un contesto sonoro e visivo appagante e ricco, pieno, mentre qualche secondo dopo mi trovavo a ripetere senza alcun senso e motivo una sessione che avrebbe dovuto dirmi qualcosa sul tema della gioia o dell’amore.
Eppure, più si gioca più ci si abitua a queste cose, ma soprattutto cresce la consapevolezza che costruire meccaniche complesse intorno a temi di questa portata sia uno sforzo creativo immane, che ben pochi, nonostante la potenza economica e mediatica del settore, riescono davvero a fare.
E dunque si chiude un occhio ogni tanto, si tira giù un boccone un po’ amaro e si decide di lasciarsi trascinare da esperienze con tanta qualità visiva e sonora, anche se inciampano più di Sam Porter Bridges sull’uso delle loro interazioni. Ciononostante, in un settore che ha dimostrato (What remains of Edith Finch) di saper costruire interazioni dalla varietà imprevedibile in funzione del tema mostrato, Arise: a simple story non riesce a scalfire la mia rocciosa e burbera anima di critico formale, perché troppe volte e con troppa regolarità mi ha lasciato interdetto nel suo uso dell’interazione.
Al contempo, non riesco a considerarla un’esperienza immeritevole, in virtù di alcune trovate interessanti e di frammenti scenici potenti e trascinanti. E in fondo, che complimento migliore si può fare a un’esperienza interattiva, se non quello di essere problematica? Significa che da qualche parte cerca di andare, solo che forse non ha trovato la strada giusta, o la migliore.