Armored Core 6: Fires of Rubicon riporta in vita una serie che abbiamo creduto morta per dieci anni, confermandoci che i robottoni hanno ancora molto da dire
Dall’ultimo Armored Core sono passati dieci anni. Armored Core Verdict Day usciva infatti nel settembre del 2013 e fino a pochi mesi fa non era così scontato che ne avremmo avuto un seguito. Nel 2011 era infatti uscito Dark Souls, e nel 2014 sarebbe uscito Dark Souls 2: From Software era evidentemente già nel pieno della sua nuova vita, quella nella quale passava da software house di nicchia a software house sì hardcore ma anche sulla bocca di tutti.
Una parte della vecchia guardia di From Software però, quella legata ai robottoni, ci ha sempre sperato in un nuovo Armored Core e l’annuncio è giunto tanto inaspettato quanto rassicurante: Armored Core 6 sarebbe uscito e sarebbe stato in continuità con quelli precedenti. Niente meccaniche souls e niente open world. Niente di tutto quello che ci si preoccupava avrebbe potuto snaturare Armored Core, quindi, ma anche tutto quello che aveva reso grande Armored Core: una fantascienza dark e disillusa, un impianto narrativo che strizza l’occhio a determinati stilemi del cyberpunk giapponese e poi robottoni da costruire e missioni brevi da completare nel miglior modo possibile con tanto di punteggio.
E poi una cura incredibile per i dettagli meccanici. Avete presente l’animazione giapponese sci-fi degli anni ’80 e ’90? Ghost in the Shell, Patlabor, Mobile Suit Gundam, Bubblegum Crisis, Robot Carnival, Gunbuster, Venus Wars, ma anche cose più recenti come, ad esempio, i quattro Rebuild of Evangelion? Quegli anime in cui c’erano momenti incredibili in cui si vedevano close-up su meccanismi riprodotti in maniera “realistica” con una cura mostruosa del dettaglio? Ecco, appena inizierete Armored Core 6: Fires of Rubicon vi accorgerete come il vostro mecha attiverà propulsori ad ogni movimento, così come vi accorgerete quando le armi si ricaricheranno facendo cadere enormi bossoli a terra.
Il mechanical design di Armored Core 6: Fires of Rubicon ha un che di pornografico per gli amanti dell’animazione sci-fi giapponese nel suo essere morbosamente realistico e curato. E a quello che vediamo a schermo corrisponde una delle due anime di Armored Core, ovvero quella legata alla costruzione del mecha che è possibile personalizzare in ogni dettaglio, sia esso funzionale o estetico, a seconda del proprio approccio al gioco o di una strategia consona al superamento di una sfida specifica. Questo perché Armored Core 6 può essere giocato adeguando il nostro mecha al nostro approccio così come è possibile costruirlo per avere dei vantaggi funzionali sugli avversari.
Potete così scegliere se tarare il funzionamento del vostro AC su quello che il vostro stile di gioco – più rapido, più orientato al combattimento aereo o che investe tutto sulla forza bruta e sulla resistenza – o se cercare di capire cosa metterebbe più in difficoltà uno specifico boss, obbligando però anche voi, il giocatore, a ripensare il proprio stile di combattimento.
Quello che succede in Armored Core 6 a un certo punto è la stessa cosa che succedeva nei capitoli precedenti o che succede in altri titoli From Software: si entra in totale sintonia con il nostro avatar e lo si controlla spontaneamente, come fosse un’estensione del nostro pensiero che non passa attraverso le mani. Il fatto che nel caso specifico l’avatar sia una macchina che guidiamo crea un layer di valore ulteriore, convincendoci quasi di essere effettivamente dei piloti di AC.
Il punto è che quando cambiamo mezzo di trasporto, quando lo ridisegniamo per farlo funzionare diversamente, dobbiamo anche noi reimparare da capo a gestirlo. Ogni componente modifica il comportamento del mecha in maniera più o meno sostanziale, e così piccoli aggiustamenti possono rivelarsi utili e controllabili così come modifiche radicali possono farci trovare nella condizione di non essere assolutamente in grado di guidare il robot.
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Internet è già un coacervo di video che suggeriscono la build perfetta per un boss di un certo tipo, e se in alcuni casi alcuni suggerimento sono certamente utili, in altri è evidente che nonostante la build suggerita sia effettivamente ottima per quel boss noi – io – semplicemente non so guidare un mecha che funziona in quel modo.
Ovviamente tanta cura trova poi riscontro quando “proviamo” il nostro nuovo progetto sul campo, sia contro ondate di nemici di piccole dimensioni sia contro boss in grado di farci perdere l’accesso al Paradiso.
Tutto questo rende la sola progettazione, sperimentazione e messa a punto del mecha qualcosa che potrebbe quasi avere la dignità di essere un gioco a sé stante. Eppure, non ci si trova mai nella condizione di non riuscire a capire, di pensare di che “serva una laurea” per tarare al meglio il proprio AC. Si prova e si sperimenta, ma il gioco rimane sempre perfettamente in equilibrio tra la complessità e l’accessibilità.
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Il sistema di combattimento di Armored Core 6 è tutto costruito con l’obiettivo di restituire quella sensazione di controllo sul mezzo di cui vi parlavo prima. Si schivano proiettili e spadate, ci si nasconde dietro ai palazzi, si vola in cielo e si attacca rischiando il tutto per tutto. Un sistema velocissimo che ci obbliga a spostarci e a gestire e tenere d’occhio tre dimensioni.
Un sistema di gioco così veloce che tutti gli elementi fondamentali di UI sono anche riassunti nel mirino al centro dello schermo, funzionando sia come elemento diegetico di UI – quello che vediamo è quello che vede il pilota – sia come facilitazione per il giocatore che non ha il tempo di spostare gli occhi per lo schermo per controllare se un’arma ha smesso di essere in stato di surriscaldamento.
C’è quindi una cura in tutti gli aspetti che dovrebbero convincerci di star guidando un enorme mecha di dieci metri che è quasi spiazzante quando si smette di darla per scontata e si inizia a riflettere sull’attenzione al dettaglio riposta da From Software in ogni aspetto del gioco.
A fare da tappeto a tutto questo c’è un racconto che, a sua volta, guarda alla migliore animazione sci-fi che il Giappone ha prodotto negli ultimi anni. Senza andare a spulciare le specifiche influenze (in caso siate interessati potete leggere qui), è evidente come Armored Core 6 incorpori tutte le tematiche portanti di un certo modo di intendere la fantascienza e il cyberpunk.
Il racconto è molto semplice: siamo un mercenario che arriva su Rubicon, un pianeta che è terreno di battaglia tra megacorporazioni, e rubiamo l’identità di un pilota di nome Raven (wink wink). Ovviamente c’è qualcosa di più sotto e le fazioni hanno tutte le loro motivazioni. E poi, cos’è questa risorsa che si estrae su Rubicon, il Coral? Perché è così importante, e cosa è successo su Rubicon in passato? Serviranno tre run e le giuste scelte per arrivare al finale migliore, ma nel mezzo troveremo tutti gli elementi che abbiamo imparato a conoscere in anni di anime di questo genere: la modifica del corpo, cosa significa l’umanità, per chi decidiamo di combattere e perché combattiamo, l’esplorazione di pianeti alieni, le mega corporazioni cattive (quest’ultima è la realtà oltre che un cliché dell’animazione giapponese).
Niente è criptico come nelle altre opere recenti From Software e anzi la storia è raccontata in maniera estremamente lineare nonostante collezionabili che ampliano alcuni aspetti e dettagli da scoprire grazie alla narrazione ambientale. Complessivamente Armored Core 6: Fires of Rubicon non vuole essere il grande racconto sci-fi quanto costruire un terreno familiare ma comunque interessante a quelle stesse persone che si sciolgono quando vedono un robottone schizzare in cielo mentre spara con un mitra montato su una spalla.
Ad arricchire una narrazione come detto funzionale c’è però una direzione artistica incredibile che continua la direzione dark e decadente degli ultimi quattro Armored Core (il primo dei quali è stato peraltro il primo gioco di From Software diretto da Miyazaki). Il concetto alla base di questo tipo di fantascienza mecha è quello del real robot, ma in Armored Core viene portato quasi all’estremo mettendo da parte tutto quello che rende comunque i robot cool nel tentativo di traghettarli quasi alla realtà tratteggiandoli come armi. E se molti mecha di Armored Core sono comunque cool nel loro realismo, molti altri sono semplicemente delle macchine da guerra più o meno brutte e più o meno funzionali allo scopo.
Il mondo che vediamo è un mondo davvero devastato dalla guerra, che sembra davvero sull’orlo del collasso, e chi lo abita è un figlio di quella realtà dove esiste solo la morte, il combattimento e l’accumulo di risorse e quindi di denaro.
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Ci sono così due anime in Armored Core 6: Fires of Rubicon: una ci racconta degli orrori e dell’insensatezza della guerra, e l’altra stuzzica un certo tipo di passione per robottoni meccanici realistici. Nonostante sembrino elementi in antitesi, a fare da cappello a questa ambiguità c’è la realtà del fatto che il Giappone ci ha sempre raccontato l’ambiguità della tecnologia, la fascinazione per qualcosa che può essere – ed è stato nella storia – motivo e fonte di morte per molti all’interno delle guerre.
Se vi appare come qualcosa di cui è difficile venire a capo, come una contraddizione, certamente non troverete in Armored Core 6: Fires of Rubicon la risposta. Potreste però trovare, nel gioco di From Software e nelle opere che lo hanno ispirato, diversi spunti di riflessione, che forse sono più importanti delle risposte stesse.