Dopo l’esordio deludente di Assassin’s Creed sulle nuove console, tale da trasformarsi in un meme inneggiante (quasi) tutto ciò che c’è di sbagliato nel videogame odierno, non c’è da meravigliarsi se Assassin’s Creed Chronicles è stato accolto dal pubblico con una certa titubanza. Il progetto di Ubisoft, che mira a trasporre in una trilogia bidimensionale (o meglio 2.5) le avventure di tre personaggi ad oggi esclusi dalla serie regolare, ma noti agli adepti dell’universo espanso della serie, è stato infatti visto come una manovra del tutto superflua, a maggior ragione della serie principale che zoppica ormai sui suoi stessi errore da anni, nonostante un’uscita sin troppo calendarizzata e massiva. Ciò detto ci siamo interfacciati al gioco concedendogli il beneficio del dubbio, anche solo per vedere se questo primo capitolo, China (venduto tra l’altro ad un prezzo veramente irrisorio), sia stato capace di trasportare le meccaniche classiche del gioco in un contesto nuovo, quasi simil metroidvania. Sviluppato da Climax Studio, Assassin’s Creed Chronicles China ha dunque l’oneroso compito di coniugare il passato della serie ad un contesto totalmente nuovo il tutto immergendoci nell’affascinante mondo della Cina medievale… vediamo com’è andata!
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Dapprima concubina, poi esperta assassina, Shao Jun è un personaggio che alcuni di voi potrebbero ricordare poiché apparsa nel cortometraggio in computer grafica del 2011 Assassin’s Creed: Embers, atto a raccontare gli ultimi giorni di vita di Ezio Auditore di cui proprio Shao Jun è discepola. China si colloca dopo i fatti di Embers, e ci mostra Shao Jun intenta a rimettere in sesto la propria setta di Assassini, scontrandosi nel mentre con lo spietato clan delle Tigri, eliminando a mano a mano i suoi componenti chiavi. La storia, narrata per mezzo di una serie di illustrazioni animate (motion comics) è banalotta e stenta a decollare e si prospetta priva di spunti di interesse intriganti tanto che, sovente, complice il doppiaggio anglofono (ma con sottotitoli in italiano) potrebbe persino venirvi voglia di skippare il tutto per dedicarvi al solo gioco. Non mancano ovviamente riferimenti al background della serie, fatta di maestri assassini, cospirazioni, artefatti misteriosi e quant’altro, ma si tratta di materiale su cui stiamo rimuginando da oltre una decade, ed il fatto che il tutto sia animato per mezzo di quadri fissi, talvolta poveramente animati, non da propriamente uno stimolo a volerne sapere di più.
Dal punto di vista del gameplay, China cerca di trasportare in modo dignitoso gran parte di quelle che sono le caratteristiche a cui la serie regolare ci ha abituato nel corso degli anni, integrandole a quello che è il suo stile bidimensionale. In tal senso non manca davvero nulla, da un prontuario di gadget veramente notevole, passando per i nascondigli, i cadaveri da nascondere, la sincronizzazione della mappa e persino il Salto della fede. In China c’è davvero di tutto, il che rafforza notevolmente l’idea di avere tra le mani un “piccolo capitolo” di Assassin’s Creed. Il problema qui è l’assoluta linearità della progressione tale da non permettere quelle che sono le divagazioni tipiche della serie principale. Il gioco ci metterà in mano, in modo progressivo, tutti gli strumenti a disposizione di Shao Jun ma essi, complice anche una certa semplicità di fondo dei livelli, non si presteranno che ad un compito prestabilito, impedendoci qualsivoglia alternativa. Il gioco, inoltre, soffre di una difficoltà decisamente bassa, in cui raramente ci sentiremo parte di una sfida complessa. Ciò è dovuto sostanzialmente a due fattori: il primo è la semplicità con cui la I.A. è gestita, tale che impedisce alle guardie di guardare oltre il loro luogo di ronda creando delle situazioni decisamente paradossali ed incredibili. Le guardie, in pratica, avranno un cono visivo/auditivo sempre visibile e pur trovandosi davanti a noi, basterà non rientrare nel cono per fare quello che ci pare.
Ovviamente si tratta di una scelta contestuale, perché sarebbe certamente stato complesso creare i nemici in modo differente onde poterli adattare ad un gioco bidimensionale i cui schemi di livelli occupano il nostro intero schermo. A maggior ragione della natura “stealth” del titolo, che ci vuole sempre ben nascosti o acquattati. In seconda istanza proprio i livelli sono un freno alla difficoltà del titolo poiché essi, a differenza di titoli più propriamente “metroidvania”, per quanto immensi, sono di fatto enormi stanze chiuse, al cui completamento è possibile passare alla sezione successiva in quello che è uno schema continuativo. Vero è che nel corso delle ore di gioco nemici sempre più numerosi e coriacei si presenteranno sul nostro cammino, talvolta equipaggiati proprio per dare scacco alle nostre abilità, tuttavia è indubbio che la difficoltà non impennerà mai ed il gioco potrebbe rivelarsi ben presto privo del mordente e degli stimoli giusti per poter continuare.
Non sono da sottovalutare, poi, i vari potenziamenti che Shao Jun acquisterà nel corso del tempo ed il cui ottenimento è assolutamente passivo ed automatico. Proseguendo si ha l’impressione che i nemici, per quanto sempre più numerosi, non saranno mai davvero in grado di fronteggiarci a dovere, abbassando ulteriormente la curva di difficoltà e creando, spesso, la situazione paradossale per cui il game over è dato più dall’errore umano che dalle effettive capacità del software. Neanche i combattimenti (che il gioco cerca di farci evitare a tutti i costi) sono in alcun modo esenti da queste dinamiche e si presenteranno sempre come degli scontri semplici in cui la tempestività nella pressione del tasto, con il tipico gioco di colpi e contrattacchi, farà la differenza. Sono poche, anche in questo senso, le tipologie di nemici capaci di metterci in difficoltà e, in ogni caso, il sistema è più legnoso che mai (ecco perché volevano farceli evitare!) risultando, a conti fatti, più tedioso che divertente e comunque privo di qualsivoglia ritmo.
Tecnicamente parlando, China ha uno stile comunque apprezzabile e godibile, complice una palette cromatica acquerellata che, unita allo stile minimale ma lodevole, ricrea ambientazioni efficienti e contesti visivamente apprezzabili. In tal senso forse le situazioni con meno mordente sono proprio le cut scene, spesso limitate a poche schermate fisse con pochi elementi in movimento e comunque del tutto glissabili se non fossero gli unici mezzi per comprendere le dinamiche della trama. Anche le animazioni sono spesso inadeguate e legnose e mal si sposano con quelli che sono i movimenti fluidi e “tipici” del mondo di Assassin’s Creed. Vero è che qui parliamo di un prodotto a bassissimo budget e, probabilmente, senza neanche la pretesa del successo, tuttavia il nome “Assassin’s Creed” porta con sé ancora delle aspettative ed è un peccato che China, per quanto sia un prodotto stilisticamente appagante, non le abbia affatto sublimate.